Agnolotti al ghiaccio, il cuore caldo dell’Osteria Arborina

Agnolotti al ghiaccio, il cuore caldo dell’Osteria Arborina

di Graziano Nani

C’è un caldo e c’è un freddo. C’è un richiamo come un urlo da dentro e c’è l’invito ineffabile a una riflessione intrigante. C’è il primo chakra che va dritto nella terra e il settimo chakra che trascende le espressioni più alte. C’è Elvis che suona con the pelvis e John Cage che suona il silenzio, c’è Napoli che ti esplode in faccia e Trieste tutta da ragionare, c’è il porno e Milo Manara, Tarantino e Kaurismaki.

C’è un caldo e c’è un freddo nell’approccio a un piatto, quelli bravi ti fanno fare avanti e indietro mille volte – caldo, freddo, caldo, freddo – tutto in un menù. E alcuni addirittura in un solo piatto. Come Andrea Ribaldone di Osteria Arborina con i suoi “Agnolotti in due servizi”. Un primo servizio ardente, viscerale, caldo. Un secondo servizio mentale, studiato, freddo. E non solo come metafora: parlo proprio di agnolotti su ghiaccio.

Sono sempre gli stessi, ripieni di coniglio, maiale e vitello. Il primo servizio li salta in padella per spedire un messaggio diretto allo stomaco. Il secondo li adagia su una superficie di ghiaccio, dopo un’affumicatura con legno di ciliegio e ossa di pesce che è un codice sottile da meditare con calma.

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Prima tutti i caldi e poi tutti i freddi, penso. No, non sia mai. Al contrario,  l’invito è a saltare di continuo da un polo al suo opposto. Un agnolotto caldo, e poi uno freddo, poi uno caldo,  poi ancora uno freddo. Prima il richiamo primordiale delle tre carni che competono intrappolate in una meravigliosa pasta ai quaranta tuorli. Poi l’invito misurato della versione su ghiaccio, che stavolta porta a ragionare sulla sua stessa callosità. Con il ripieno che, come in un salotto, fa spazio all’affumicatura, un gentleman in doppiopetto e ovviamente sigaro tra le labbra.

Il gioco è ancora più divertente se davanti ci sono cinque vini scelti da Davide Canina, il sommelier di Osteria Arborina che ha introdotto l’innovativa carta suddivisa per cru. Un lavoro titanico, basato sulle mappe di Enogea firmate Alessandro Masnaghetti.

La prima delle sue proposte anticipa gli agnolotti e prepara al dibattito. Si chiama Kaskal ed è firmato Rivetto, un metodo classico da uve nebbiolo che passa 77 mesi sui lieviti e non li fa pesare. Perché il suo impatto riesce ad essere leggero e fresco, fino a raggiungere note agrumate e sprizzanti. Il tempo trascorso sui lieviti si traduce in un’eleganza tutta piemontese e il nebbiolo, che raramente tocca questi livelli in spumantizzazione, dona un tocco minerale e croccante.

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Cuvée des Forgets 2016 di Patrick Javillier è più mentale che fisico e mi piace perdermi in elucubrazioni abbinandolo agli agnolotti freddi. Arriva da Mersault con un carico di fiori delicati e un’eleganza gentile. Si ferma quanto basta invitando alla riflessione su quanto la pasta degli agnolotti sembri cruda, più che fredda, da quanto è consistente. E poi riparte subito, diretto verso chissà dove.

Il suo posto lo prende Herzù 2011 e lo fa senza chiedere permesso. Il riesling di Ettore Germano arriva dritto per dritto e sa perfettamente cosa fare. Sul piatto caldo risponde d’istinto con una struttura importante. Su quello freddo sfoggia un terziario che sa di barca quando si lascia il porticciolo per uscire in mare aperto, un idrocarburo che va a sommarsi ai profumi di affumicatura del piatto. C’è poco da ragionare, perché il bicchiere è già finito.

Potrebbe un pinot nero di Borgogna non essere riflessivo? Questo di Alain Gras si chiama Tres Vielles Vignes, è del 2016 e si poggia sull’agnolotto freddo con una grazia infinita. È giovane, finemente speziato, vivace di frutti rossi e vibrante come un intellettuale ai primi anni di università. Inizio a meditare sulla possibilità di provarlo con la versione calda del piatto, ci penso e ci ripenso, ne bevo ancora un po’ e poi mi perdo in mille pensieri fino a non ricordare più a cosa stavo pensando.

Ci pensa Fossati 2014 a farmelo venire in mente. È il Barolo di un piccolo produttore di nome Cesare Bussolo, cantiniere di Roberto Voerzio. Buonissimo, bilanciato e senza spigoli, giovane mai già in grado di esprimersi alla grande. Una nota di scorzetta di arancio lo rende irresistibile, fa l’amore con gli agnolotti caldi e pure con quelli freddi. È un Barolo poligamo, chi siamo noi per reprimere la sua indole caliente?

Serra dei Turchi 2010, Osvaldo Viberti. Esiste un equilibrio tra stomaco e meningi e questo Barolo è qui per dimostrarcelo. Una prima vampata di calore arriva sotto forma di frutta sotto spirito e sono innamorato a prima vista. Ma non è una di quelle storie destinate a spegnersi come una fiammella, le terziarizzazioni sui toni del tabacco sono la prova che abbiamo molti interessi in comune e iniziamo a discuterne insieme come una vecchia coppia affiatata.

Un Barolo che si esprime meglio con gli agnolotti caldi o con quelli freddi? Sono ancora qui che ci penso, ma a un certo punto mi verrà fame e azzannerò i primi che capitano.

Osteria Arborina
Frazione Annunziata, 27 12064 La Morra (CN)
tel. 0173 500340
info@osteriarborina.it

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Graziano Nani

Frank Zappa con il Brunello, Hulk Hogan con il Sassella: per lui tutto c’entra con tutto, infatti qualcuno lo chiama il Brezsny del vino. Divaga anche su Gutin.it, il suo blog. Sommelier AIS, lavora a Milano ma la sua terra è la Valtellina: i vini del cuore per lui sono lì.

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