Académie du Champagne, parte 3: il tempo dello Champagne con Nicola Roni

Académie du Champagne, parte 3: il tempo dello Champagne con Nicola Roni

di Andrea Gori

Da quest’anno il Comitè Champagne per l’Italia punta su formazione e comunicazione con l’Académie du Champagne, durante tre giornate di approfondimenti e lezioni su temi importanti per coinvolgere il pubblico e gli operatori, e fornire elementi di conoscenza della materia approfonditi e accurati. Abbiamo pubblicato qui la prima parte, e qui la seconda. La terza ed ultima, oggi, con l’intervento di Nicola Roni.

Ci siamo mai chiesti come e perché evolve lo Champagne? La risposta è ovviamente “non tutto alla stessa maniera”, ed è un bene. C’è chi lo concepisce solo fresco, immediato e beverino, ma il suo invecchiamento può essere interessante. Capiamo insieme da cosa dipende sua longevità.

Scelta e comportamento dei vigneti
Innanzitutto i vigneti che hanno potenziale molto diverso a cominciare dal vitigno, poi suolo, sottosuolo, esposizione, drenaggio, ventilazione… Compito del viticoltore è stare dietro a tutto e garantire che l’acidità venga conservata (facile da raggiungere, non preoccupa mai) assieme al raggiungimento della maturazione ottimale fenolica e zuccherina. Poi protezione da malattie e parassiti, rigore nella conduzione del vigneto (bio, convenzionale, naturale, biodinamico). Lo scopo è la complessità e la struttura, per permettere un’evoluzione interessante. Ogni viticoltore deve saper conoscere al massimo un certo appezzamento, nei minimi dettagli, per farlo rendere al massimo sempre. Lo stesso clima aiuta la conservazione, sia per l’acidità che per la freschezza in genere: il clima oceanico è ostile alla vite e al suo sviluppo ma in Champagne è un aiuto eccezionale, grazie al bilanciamento di gesso e pendii. L’acidità è un dono naturale in Champagne, ma solo di recente l’uomo ha capito bene come conservarla.

Elementi della vendemmia
45 persone al giorno per ogni ettaro di vigneto: tante ne servono per garantire che in cantina arrivino uve integre. Lo stesso CIVC impedisce che la raccolta parta, rigorosamente manuale, prima di una determinata data, proprio per garantire la conservazione nel tempo. Le uve sono costantemente selezionate, pulite e portate prima possibile ai centri di pressatura senza intoppi. Da sempre si usano i muli, perché più affidabili e tranquilli dei cavalli, che potevano scuotere troppo le uve.

Queste arrivano ai centri di pressatura che sono spesso di proprietà delle maison, ma a disposizione di tutti quanti coltivano attorno. La pressatura degli acini ancora integri, senza contaminazion,i è leggera e delicata, lenta e progressiva. Il grappolo viene immesso intero, non diraspato. Ogni acino esplode e suo mesocarpo, la parte più ricca di zucchero acidi e sali, si versa sul fondo del pressoir. Il succo viene frazionato (e sotto frazionato) in maniera che ogni volta si estraggano note diverse. Le parti che invecchieranno meglio sono le prime, quelle della cuvée. La cuvée o prima spremitura può essere ulteriormente frazionata così come la taille. Alcuni dei produttori decidono di togliere i primi litri di spremitura per non raccogliere agenti esterni sulle bucce. Lo sfecciamento successivo rimuove, pure quello, gli agenti esterni.

Elementi da fermentazione
In cantina con la prima fermentazione si generano nuovi aromi, giovani, stabilizzati con filtrazioni, e infine i vini stessi vengono stoccati e protetti da temperatura, ossigeno e luce. Durante la presa di spuma si sviluppano Co2 nel vino ma anche alcoli superiori ed esteri, via via che i lieviti consumano ossigeno proteggendo il vino da O2. Ma comunque nel tempo c’è sempre qualcosa che provoca una microossigenazione, perché la tappatura non è mai ermetica e anzi in certi casi (bouchon liège) viene favorita in qualche modo.

La stessa permanenza sulle fecce e sui lieviti è molto importante per la vita futura dello Champagne: si può decidere se debba passare più o meno tempo sui lieviti o affinarsi i bottiglia. Poi lo stress della sboccatura avvia l’innesco della maturazione, con un’ossigenazione più rapida di quella in cantina.

Nei vini prima della sboccatura ci sono mannoproteine e glutatione, che lo hanno protetto fino a quel momento, ed uscendo assieme ai lieviti lasciano il vino più esposto a fattori evolutivi. Lo zucchero, successivamente, aiuta a conservare il vino più a lungo e lo rende più immediatamente godibile per chi non lo vuole conservare. Per i prodotti meno dosati occorre aspettare di più, per poterlo consumare. Importantissimo poi il tappo, che è la barriera più importante per proteggere lo Champagne nel tempo: ci sarà un lentissima perdita di C02 ed una lentissima entrata di O2 che ossigena e fa evolvere il vino. Nella nave Jonkoping, affondata nel Mar Baltico la conservazione era perfetta, compresa l’effervescenza. L’atmosfera sopra le bottiglie (le 6 atmosfere dei 60 metri di profondità) non hanno fatto uscire C02 dalle bottiglie e il sughero non è stato consumato dall’acqua di mare. L’invecchiamento avviene quasi sotto al livello del mare, nelle cave gallo-romane, con temperatura controllata e umidità e senza luce o quasi.

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Ecco quindi i vini in assaggio durante quest’ultimo incontro.

Boizel Grand Vintage 2007
50% pinot nero, 40% chardonnay, 10% meunier. Annata più piccola, con minori aspettative di invecchiamento, ma come sempre dipende dalla maison. Dal 1860 sei generazioni della la stessa famiglia: stile molto classico, con millesimi che escono dopo molti anni. Chardonnay da Choully, Avize, Vertus, Oger, pinot nero da Mareuil e Le Riceyes, meunier da Aube. Colore più dorato anche se luminoso, leggermente ambrato, intensità e struttura, biscotto di zenzero, cannella, mele caramellate al forno, liquirizia da meunier. Bocca con tanta freschezza, cremoso, bello fine e intenso, con carattere rustico ma elegantissimo, bella armonia e sensazioni dolci in evoluzione.

Collet 2006
La prima cooperativa in Champagne fondata nel 1921: 46% pinot nero, 54% chardonnay. Annata da 10 gradi alcolici, acidità 7 gr/l. Chardonnay da Avize e Oger, Viller sur Marmery (Montagna), mentre il pinot nero viene da Aÿ e Verzenay, due Grand Cru. La sede della cantina è proprio ad Aÿ. Intenso dorato e verdolino, spinta acida molto ben presente, belle bollicine, ginestra, canditi, zafferano, mele e torta di mele, zenzero e struttura, bel ritmo e gusto, lungo fine e persistente.

Lanson Noble Cuvée 2002
144 mesi sui lieviti, niente malolattica, 70% chardonnay da Avize e Oger, 30% pinot nero da Verzenay: annata grandiosa 10,5 gradi alcolici e 7,2 gr/l di acidità. Aprile ottimo, maggio bello, vendemmia sotto il sole dopo un’estate classica, secca, con le giuste piogge. Uve incredibili e meravigliose senza muffe: naso cangiante, ricco, suadente, scintillante e completissimo, dorato e verdolino, ricchissimo di bollicine, zenzero agrumi pompelmo, limone sfusato poi confetto, zest di agrumi, cedro, bignè alla crema: ad ogni olfazione c’è qualcosa di diverso. Bocca giovanissima, pronta e multidimensionale che stupisce per corpo sensazioni e densità tra gesso, vaniglia, lime, pompelmo, tocco di miele. Lunghissimo, ricco, fantastico nella sua freschezza e dimensione temporale che si prospetta interessante, lenta e ricca di sorprese (tutte belle).

Veuve Clicquot Vintage 2008
61% pinot nero,34% chardonnay, 5% meunier, grande annata: 9,8% alcol e acidità 8,6 gr/l. Proprio Veuve inventò il millesimato nel 1811, quindi una specialità della maison, potremmo dire. Classica annata da millesimati e in casa non si fanno spesso: negli anni 2000 per ora abbiamo unicamente il 2002, 2004 e appunto 2008, con un totale di soli 65 millesimati in tutta la sua storia. Floreale, ricco e fruttato, crostata di mirabelle, appena fumé da MdR, pasticceria, sale, frutta disidratata. Bocca di sostanza, la risposta al palato è ampia e piena, bollicina sfaccettata e completa, grande freschezza.

Albert Le Brun Vieille France Millesime 2004
120 mesi sui lieviti, un prodotto così deve avere struttura importante per sopravvivere al meglio. 60% pinot nero da Ay, Bouzy, chardonnay da Avize, Chouilly, Cramant, Oger. Annata con alcol notevole (9,6%) e acidità bassa sui 7,1. Vendemmia difficile ma con settembre favoloso e grande abbondanza di produzione, di buona qualità complessiva. Spuma cremosa e abbondante, note caseiche con ossidazioni interessanti e caratteristiche: vinoso, rum, caramello, frutta di bosco e frutta a polpa gialla candita, si sente bene il gesso, pan di Spagna con liquore, pasticceria, zabaione al caffè, zuppa inglese da esteri, alcoli superiori che regalano queste note. Bocca densa, ampia, ma comunque fine ed elegante, moka e torrefazione, acidità sempre viva pur in una ossidazione controllatissima. Da foie gras e non solo.

Andrea Gori

Quarta generazione della famiglia Gori – ristoratori in Firenze dal 1901 – è il primo a occuparsi seriamente di vino. Biologo, ricercatore e genetista, inizia gli studi da sommelier nel 2004. Gli serviranno 4 anni per diventare vice campione europeo. In pubblico nega, ma crede nella supremazia della Toscana sulle altre regioni del vino, pur avendo un debole per Borgogna e Champagne. Per tutti è “il sommelier informatico”.

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