A tu per tu con Giancarlo Marino, tra vino, Borgogna e il suo nuovo libro

A tu per tu con Giancarlo Marino, tra vino, Borgogna e il suo nuovo libro

di Simone Di Vito

Ho conosciuto Giancarlo Marino quest’estate in un locale a Roma; una persona a modo, disponibile, con la quale avevo avuto qualche scambio di battute. Un’intensa carriera da avvocato penalista, ma conosciuto nel mondo del vino come un assoluto riferimento per la Borgogna, al punto di esserne stato l’iniziatore di tanti bravi divulgatori come Castagno e Pulcini. Da quel giorno mi balenava in testa l’idea di farci una chiacchierata, magari un’intervista, l’imminente uscita del suo libro poi mi è sembrata l’occasione giusta per chiedergliela.

Appuntamento anche stavolta da Matierè, ad una settimana da Natale, fuori fa freddino ma da accanito fumatore come me il Magister sceglie comunque di stare all’aperto, alla fine qualche brivido, tanti caffè, sigarette e iniziamo.

Cos’è il vino per te?
«Lo scoprirai leggendo il libro». Iniziamo bene, ne ho appena preso una copia e devo ancora scartarla, poi si sbottona un po’ «Il vino non è solo bere, è un percorso fatto di studio, di viaggi per conoscere le persone e quel che c’è dietro; la bottiglia è solo il risultato finale di questo percorso, e nel caso della Borgogna è una storia di quasi 1500 anni».

Altre passioni?
«Anche di questo ne parlo nel libro…», poi sorridendo, «Calcio a parte (tifa Roma come il sottoscritto), solo quella per il vino, perché se ho una passione mi prende a 360°, per cui non c’è spazio per altro. In passato invece ero innamorato del bridge, un gioco che mi coinvolgeva molto, giocavo tutti i giorni. Poi gli impegni di lavoro e la famiglia mi hanno un po’ allontanato da quel mondo. Sono stati proprio alcuni amici del bridge ad iniziarmi al vino, io ero astemio».

È uscito il tuo “Quaderno di Borgogna”, com’è nata l’idea di scriverlo?
«L’idea del libro è nata a marzo durante il lockdown. Nei primi giorni di clausura passavo il mio tempo davanti alla tv ad ascoltare telegiornali e report sulla pandemia, oppure con questo maledetto telefonino in mano…» . Bevevi? «Non bevo quasi mai da solo, non mi piace farlo, è capitata qualche bottiglia durante una videochiamata tra amici, ma nulla più. Dopo una settimana mi sono detto “se non trovo qualcosa da fare divento pazzo”. Così ho iniziato a scrivere, anche perché è una cosa che mi è sempre piaciuto fare e che ovviamente ho sempre fatto per la mia professione di avvocato. Di vino avevo scritto relativamente poco, mai un libro vero e proprio».

Cosa ci troverà un appassionato della zona?
«È stato un grande impegno, lavoravo anche dieci ore al giorno, per sei mesi. Avevo mille idee in testa, ma non avendo mai scritto un libro non sapevo da dove iniziare. Diciamo che è un po’ il riassunto di quaranta anni con il vino, di trenta anni di viaggi in Borgogna; una sorta di diario di bordo, dagli incontri con i vigneron e con i vini di quella regione, ai tanti aneddoti. E’ la mia storia con il vino e con la Borgogna in particolare».

Quant’è cambiata oggi la Côte d’Or rispetto a quando hai iniziato a frequentarla?
«Molto. Quando ho iniziato ad andare in Borgogna, in Italia non era conosciuta molto e anche nel mondo non aveva la fama che ha oggi. Quando partecipavo alle manifestazioni come “Grands Jours de Bourgogne” o “Vosne-Romanée millesime” raramente incontravo altri italiani. Uno dei pochi è stato Dario Cappelloni, del Gambero Rosso, e incontrare lui o gli altri pochi italiani era sempre un piacere. La Borgogna è cambiata sia in positivo che in negativo; trent’anni fa se non avevi una buona preparazione era facile imbattersi in vini pessimi…» interrompo – cioè? «se andavi in Borgogna e compravi qualche bottiglia dal primo produttore che incontravi lungo la strada, scegliendo a caso, era molto probabile rimanere delusi per la modesta qualità del vino; se facevi la stessa cosa nelle Langhe, era di gran lunga più probabile scoprire che avevi acquistato buoni vini. Oggi la qualità media dei vini è decisamente superiore. Uno degli aspetti negativi, probabilmente il più negativo, è quello dell’aumento inarrestabile dei prezzi, e questo rappresenta ormai un grande problema per chi ha una passione per la Borgogna: mi chiedo, come diavolo faranno gli appassionati a soddisfarla? Una volta erano tutto sommato pochi i vini davvero cari, il resto potevi comprarlo magari a costo di qualche piccolo sacrificio (ricordo di aver pagato una bottiglia di La Tache DRC 200.000 lire), potevi andare e visitare la maggior parte dei produttori uscendo con qualche bottiglia. Erano pochi quelli inavvicinabili, d’élite. Oggi si vedono più “Ferrari” che auto dal costo accessibile.

Se un giovane neofita volesse approcciarsi alla Borgogna cosa gli consiglieresti?
«Cercherei di fargli capire che non esistono solo le denominazioni e i produttori famosi; che è inutilmente dannoso per le tasche rincorrere solo ed esclusivamente le etichette dei “miti” della Borgogna, come il Domaine de la Romanèe-Conti, Leroy, Rousseau, o Roumier per citarne solo alcuni. Forse non esiste un altro La Tache da qualche altra parte, o almeno io non l’ho ancora trovato, ma si possono trovare vini meravigliosi anche in denominazioni meno note che non hanno nulla da invidiare a quelle più blasonate.

Pinot nero in altre zone cosa ne pensi?
«Il pinot nero è un vitigno dal carattere difficile, scontroso, lascia emergere le sue qualità solo nei luoghi dove si trova a suo agio. E questi luoghi sono davvero pochi.” In italia? «Ne ho bevuto qualcuno molto buono, e mi viene subito da pensare al Casentino o al Mugello. Ma sarebbe bene smettere di pensare in termini di “Pinot Nero del luogo x” e di rimanere legati al raffronto con i vini della Borgogna. Del resto, in Borgogna i vini non sono “Pinot Noir” ma il terroir che il vitigno contribuisce a esprimere. Ecco, mi piacerebbe che trovassimo i nostri Gevrey-Chambertin e Vosne-Romanée, nel senso di vini che mettono in evidenza la propria origine, l’irriproducibile altrove “genius loci”.

Lo chardonnay invece?
«Dove lo metti sta, e infatti lo trovi un po’ dappertutto, in giro per il mondo. Certo, in Borgogna sembra aver trovato un luogo ideale».

Altro vitigno e zona preferiti?
«Sicuramente il sangiovese, il Chianti classico, e in particolare quello di Radda, ma è un vitigno che in generale da origine a vini che mi piacciono molto. Sono vini che preferisco a quelli di Montalcino e qui, a dirla tutta, mi capita sempre più spesso di preferire il Rosso al Brunello. A volte mi viene da pensare che i disciplinari siano di fatto un freno per i produttori. Il vino dovrebbe essere imbottigliato quando è il momento di farlo, in base a quello che hai raccolto in vigna e alla sensibilità del produttore che assaggia il vino nel corso del suo affinamento, senza che sia il disciplinare a fissare a priori i tempi minimi di invecchiamento in botte. Su questo dovremmo forse prendere esempio dalla Borgogna. Un’altra zona del cuore è Dolceacqua e i suoi rossese. Ma sono rimasto curioso e ultimamente trovo molto interessanti anche altre zone relativamente meno note, come quelle del Cirò, del Faro, e da ultimo quella dei Campi Flegrei».

Tra le tante parcellizzazioni fatte e che si stanno facendo, cosa ne pensi di quelle in zone storicamente famose per l’assemblaggio?
«Penso sia più sensato mantenersi il più fedeli possibile alle proprie origini, ma non è sbagliato portare avanti il discorso di zonazione, perché anche all’interno di una Doc sono riscontrabili differenze che caratterizzano i diversi vini: Radda è diversa da Panzano, ma nelle Langhe è uguale, ovunque è così. Vedo che ci si sta lavorando, un po’ ovunque, e questo è un bene».

E invece eventuali classificazioni?
«Temo sia impossibile, oggi. La Borgogna è quella che conosciamo perché per 1500 anni i monaci cistercensi e benedettini hanno assaggiato la terra e vini che traevano origine dalle varie vigne, stabilendone poi le caratteristiche e classificandole in base ad un giudizio di merito, senza che nessuno gli rompesse le scatole: semplicemente, i migliori vini delle migliori vigne erano destinati al papa, ai cardinali e ai vescovi, quindi ai regnanti e alla nobiltà, via via il resto. Rispetto alla classificazione empirica opera dei monaci, qualche modifica è stata fatta nei due secoli scorsi, ma se si va ad esaminare bene si vedrà che in realtà è cambiato ben poco. Oggi tu prova a dire ad un produttore di Montalcino o delle Langhe che la vigna del vicino è “grand cru” e la sua è solo “premier cru”, figuriamoci  “village”, e scoppia la guerra civile. Chi conosce davvero i luoghi del vino, alla fin fine già sa quali sono le vigne da cui vengono i vini migliori, credo dovremo accontentarci di questo. Chissà”.

Cosa ne pensi della biodinamica?
«Gli aspetti filosofici della biodinamica, la visione spirituale antroposofica di Steiner, francamente mi lasciano perplesso, ma sono i risultati che contano e penso che l’importante sia avere consapevolezza della importanza di conservare e proteggere la salute della terra. Molti produttori in Borgogna mi hanno raccontato che negli anni 70/80 non c’era più un lombrico, la terra era morta. Che si adotti il regime biodinamico, biologico o la semplice lotta ragionata, la cosa davvero importante è che ci sia maggiore sensibilità e rispetto per la propria terra. Sono tornati i lombrichi in Borgogna. Evviva».

Dopo sei caffè, mezzo pacchetto di sigarette, pinot nero e sangiovese, due ore sono volate via e Giancarlo deve scappare. Oggi mentre scrivo qui è passato qualche giorno dalla nostra chiacchierata, e ieri sera ho finalmente iniziato a leggere il suo Quaderno di Borgogna. Un libro dove ogni appassionato “cronico” ci si ritroverà in pieno e che in poche ore ho letteralmente divorato.

Non sono potuto tornare in Borgogna a Marzo, ed era tutto pronto e organizzato ma poi… sapete bene il motivo. Leggerlo mi ha comunque restituito un po’ delle belle sensazioni di quel viaggio, che sono sicuro avrei provato come fosse la prima volta. Questo libro è il click che da il via al countdown del mio ritorno in Borgogna, il timer girerà per mesi, forse anni, ma ci sarà tempo per tornare, l’importante è farsi trovare preparati.

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Simone Di Vito

Cresciuto a pane e corse automobilistiche (per via del papà pilota), sceglie la sostenibilità di bacchette, tamburi e corde grosse, tra batteria e basso elettrico. Si approccia al vino grazie a una breve carriera da scaffalista al supermercato, decidendo dopo anni di iscriversi ad un corso AIS. Enostrippato a tempo pieno, operaio a tempo perso. Entra in Intravino dalla porta di servizio ma si ritrova quasi per sbaglio nella stanza dei bottoni. Coltiva il sogno di parcellizzare tutto quel che lo circonda, quartieri di Roma compresi.

10 Commenti

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Rino

circa 3 anni fa - Link

bella intervista, complimenti per l'articolo….nel corso dell'intervista Giancarlo Marino fa riferimento a vini meravigliosi anche in zone meno nobili e a prezzi più accessibili. Volevo sapere se anche nel libro magari si può trovare qualche consiglio utile su questo aspetto

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Marcolanc

circa 3 anni fa - Link

Sì, nel penultimo capitolo ci sono alcuni consigli. In realtà però è un libro che racconta più le persone che i vini, è la descrizione di un percorso di scoperta più che una “guida”. Personalmente, mi è piaciuto molto (l’ho letteralmente divorato in un paio di giorni).

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Simone Di Vito

circa 3 anni fa - Link

Mi ha preceduto Marcolanc, comunque grazie per i complimenti

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Vinogodi

circa 3 anni fa - Link

....forse l' intervista non rende giustizia , per chi legge, dell' enorme spessore umano e di conoscenza dell' intervistato. Giancarlo Marino oltre vent' anni fa mi ha dato gli strumenti per approfondire l' argomento Borgogna fino a farla diventare una piccola ossessione, sia bianca e sia, soprattutto , rossa. Mi ha fatto comprendere cosa significa superficialità della conoscenza, quando con boria di autosufficenza sbavavo solo per DRC , Leroy o Jayer, ignorando completamente un mondo che stava cambiando con la velocità della luce, affrancandosi da un triste destino di conferitori a macchine da guerra enologiche. Posso solo ringraziare Giancarlo per le riunioni nel suo buen retiro dove accoglieva i giovani smaniosi di imparare ed elargire perle di saggezza e conoscenza. Sto cercando il libro dappertutto ma non lo trovo, certo che lo leggerò tutto d' un fiato come se fosse il Magister Burgundiae in persona a raccontarmelo...

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Simone Di Vito

circa 3 anni fa - Link

Marco, se vuoi il libro lo trovi sul sito www.quadernodiborgogna.it

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Nelle Nuvole

circa 3 anni fa - Link

Un libro che ha come argomento centrale il vino, ma non solo quello. La lettura comunica un senso profondo di amicizia maschile, a cominciare dalla dedica. Un'amicizia transgenerazionale stratificata nell'esperienza del viaggio e dell'assaggio. Un libro anche molto ben scritto, che spero possa travalicare la "nicchia" vinosa ed essere letto anche da chi è meno interessato all'argomento in sé, ma è curioso di novità ben scritte.

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hakluyt

circa 3 anni fa - Link

Sarei curioso di capire cosa intende una donna quando scrive "amicizia maschile"...

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Nelle Nuvole

circa 3 anni fa - Link

Un rapporto schietto e diretto, resistente e senza tanti contorcimenti mentali. "Un amico ha innanzi tutto il dovere di stare dalla tua parte quando sei nel torto. Quasi tutti sono dalla tua parte quando sei nel giusto" - Mark Twain - . Si potrebbe obiettare che anche l'amicizia femminile ha queste caratteristiche, certamente, ma è più complicata, più delicata e più sfumata.

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Vinogodi

circa 3 anni fa - Link

...continuo a preferire quella femminile, anche se irta di complicazioni accessorie...

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Angelo D.

circa 3 anni fa - Link

Bella conversazione. Dà grande soddisfazione che un Magister come Giancarlo Marino citi tra gli altri i Campi Flegrei. E' davvero sensazionale!

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