A pranzo con i Medici c’è un po’ di storia del vino d’Italia

A pranzo con i Medici c’è un po’ di storia del vino d’Italia

di Pietro Stara

La fortuna dei banchetti medicei è altalenante, a seconda dello stile impresso dai singoli regnanti: se da una parte l’ascesa al papato di Leone X porta nel 1513 a un sontuoso banchetto di celebrazione dell’Avvento seguito da eventi mondani di rilievo, il suo successore, anch’egli della famiglia de’ Medici, prende il nome di Clemente VII, torna a un più consono regime di morigeratezza. Allo stesso modo si configura il regno di Cosimo I de’ Medici, che raggiunge il potere nel 1537, noto per la sua parsimonia, vivacemente stravolta dal figlio Francesco nel 1565: «Ricchi banchetti accompagnarono i festeggiamenti. Francesco non mostrava la sobrietà paterna. La sua tavola era ricca ed estrosa, proprio come la sua vivace personalità. Era capace di mangiar “paste e torte con tutta sorte di spezierie, gengiovi, noce moscada, gherofani, pepe”. Si faceva servire “polpe di cappone, fagiani, francolini, pernici, starne e passere, minutissime grattugiate intrise con rossi d’uovo, crusca di zucchero e farina inzafferanata”. Non esitava ad “empirsi di cibi grossi […] come agli d’India con pepe nero, cipolle, porri, scalogni, aglietti, cipolle maligie crude, ramolacci, radice, rafano tedesco, raperonzoli, carciofi, cardoni, gobbi, sedani, ruchetti, nasturzi indiani, castagne, pere, funghi, tartufi e in strabocchevole quantità sorte di ogni formaggio”. I piatti erano poi accompagnati da “vini crudi, frizzanti, fospati e indigesti: Grechi fumosi e gagliardi, vin di Spagna, di Reno, di Portecole, Lacrima, Centola, Chiarello, vino di Cipro, Malvagia di Candia, vino secco di Spagna, di Riva d’Avia, di Corsica e di Pietranera, con la neve”1».

Occorre aspettare il regno di Cosimo III de’ Medici, salito al trono nel 1670, per avere un vero e proprio salto di qualità nel riconoscimento dell’origine di un vino. Il primo passo viene compiuto da Ferdinando II, padre di Cosimo, che invita a corte nel 1666 uno scienziato-cortigiano, Francesco Redi, il quale rimane anche sotto la corte di Cosimo III sino al 1694, anno della morte dello stesso: «Pochi scienziati moderni sono riusciti a svolgere, in modo così organico e continuo come Redi, il doppio ruolo di scienziato e di cortigiano. Medico e figlio di un medico, egli rinunciò consapevolmente alla prospettiva dell’insegnamento universitario, che aveva da sempre costituito l’unico mezzo per garantire agli scienziati la possibilità di fare ricerca a tempo pieno, e trascorse quasi tutta la vita a Corte.

Il naturalista aretino sperimentò così la dimensione dello scienziato-cortigiano in modo più completo e coinvolgente di altri scienziati della propria generazione come Borelli e Viviani; forse più dello stesso Galileo. A differenza di quanti avevano fino ad allora ricoperto l’incarico di “Matematico” o di “Filosofo” del Granduca, infatti, Redi svolse per oltre trent’anni le funzioni di Archiatra, cioè di medico personale e di confidente segreto di due Granduchi successivi, Ferdinando II e Cosimo III, con i quali intrattenne uno speciale rapporto di intimità e collaborazione. […]2 »

Ed è proprio Francesco Redi a comporre il famoso ditirambo Bacco in Toscana, che è concepito come un’azione scenica e somiglia, da questo punto di vista, al Trionfo di Bacco e Arianna di Lorenzo de’ Medici. Dopo alcuni versi introduttivi parla Bacco che, rivolgendosi ad Arianna, tesse alla presenza di Satiri e Baccanti un lungo e tripudiante elogio del vino. L’opera, pur sotto la trama giocosa, è ricchissima di erudizione. Una grande libertà metrica favorisce procedimenti ritmici che sono molto simili a quelli della tecnica musicale. Il testo, concepito nel 1666 ed elaborato nel 1673 (si stima che avesse circa 400 versi), viene dato alle stampe soltanto nel 1685 dopo una stesura definitiva di 980 versi3: Bacco passa in rassegna i vini della Toscana, in particolare del contado fiorentino, insieme ad alcuni non toscani, che egli conosceva per esperienza personale o semplicemente letteraria, in tutto 57, eleggendo infine il migliore di tutti i vini, il Montepulciano, e facendo l’elogio di alcuni degli uomini migliori dell’epoca, con in testa il Mecenate Granduca Cosimo III. Proprio sul vino di Montepulciano, elogiandone le grandiose qualità, scrisse un’ode al Conte Federico Veterani in quegli anni, per ringraziarlo di alcuni assaggi di vino che gli aveva mandato:

In quel vetro, che chiamasi il tonfano
scherzan le Grazie, e vi trionfano;
ognun colmilo, ognun votilo,
ma di che si colmerà?
Bella Arianna con bianca mano
versa la manna di Montepulciano;
colmane il tonfano, e porgilo a me.
Questo liquore, che sdrucciola al core
o come l’ugola e baciami, e mordemi!
O come in lacrime gli occhi disciogliemi!
Me ne strasecolo, me ne strabilio,
e fatto estatico vo in visibilio.
Onde ognun, che di Lieo
riverente il nome adora,
ascolti questo altissimo decreto,
che Bassareo pronunzia, e gli dia fe,
Montepulciano d’ogni vino è il re.
A così lieti accenti
d’edere e di corimbi il crine adorne
alternavano i canti,
le festose Baccanti;
ma i Satiri, che avean bevuto a isonne,
si sdraiaron sull’erbetta
tutti cotti come monne

Diversi anni dopo, il 24 settembre 1716, a Firenze, il Granduca Cosimo III de’ Medici emana il Bando Sopra la Dichiarazione de’ Confini delle quattro Regioni Chianti, Pomino, Carmignano, e Val d’Arno di Sopra, nel quale vengono specificati i confini delle zone entro le quali possono essere prodotti i vini citati (in pratica una vera e propria anticipazione del concetto di denominazione di origine), e un decreto con il quale istituisce una Congregazione di vigilanza sulla produzione, la spedizione, il controllo contro le frodi e il commercio dei vini (una sorta di progenitrice dei consorzi). La Congregazione, oltre dover vigilare sulla qualità dei vini, deve indicarne la quantità prodotta e, allo tesso tempo, se si tratta di produzione di “poggio di piano, se puro o governato”.110 Anche coloro che comprino del vino per esportarlo devono comunicarlo alla Congregazione, la quale, riferendosi al bando del 18 luglio che imponeva la costituzione della Congregazione per il commercio, il 24 di settembre, come già citato, indica la delimitazione delle zone menzionate. I vini non prodotti in queste zone non possono avvalersi dei nomi di origine4.

Sarà poi con Ferdinando III di Toscana, alla fine del Settecento, che il Granducato si dividerà in comunità e province. La provincia del Chianti è costituita dalle comunità di Radda, Gaiole e Castellina: «Arroge a ciò che la Repubblica Fiorentina divise, e il Granducato Mediceo conservò il distretto politico del Chianti in tre terzi, cioè, Terzo di Radda, Terzo di Gajole e Terzo della Castellina, conosciuti rapporto alla disposizione militare col nome di Lega della Castellina del Chianti e rapporto al potere civile dipendenti dalla potesteria di Radda, allora subalterna al Vicariato di Certaldo, mentre quella della Comunità di Greve alla stessa epoca dipendeva dal Vicario di S. Giovanni in Val d’Arno.

Dal che ne consegue che per regione, o vogliasi dire provincia del Chianti, si dovrebbe intendere la contrada circoscritta a grecale dal crine dei monti che stendonsi da Monte Muro a Monte Luco; cioè fra le sorgenti della Greve e quelle dell’Ambra; a levante da quella stessa criniera che continua da Mone Fenale per Cita mura e S. Gusmé dove la montuosità si declina per aprire l’adito alle Valli dell’Ombrone e dell’Arbia; mentre a libeccio si rialza una diramazione di poggi che da Cerreto Ciampoli s’innoltra per Vagliagli alla Castellina. Ivi la giogaja biforca per dirigere un braccio a maestro verso S. Donato in Poggio, l’altro a levante-grecale per Radda e Cultibuono, dove collegasi ai monti che chiudono il Chianti dal lato di grecale. Quest’ultimo braccio, che attraversa il centro del Chianti, divide le acque del fiume Pesa, che vuotasi nell’Arno, da quelle del fiume Arbia, che in direzione contraria a quella del fiume Pesa va a fluire nell’Ombrone senese. In guisa che il Chianti può dirsi il pernio di divisione fra due fiumi reali e fra le due Valli maggiori della Toscana5»


1 – G. Cipriani, Il vino a corte, in Z. Ciuffoletti (a cura di), Storia del vino in Toscana. Dagli Etruschi ai nostri giorni, Polistampa, Firenze 2000, p. 72.
2 – Francesco Redi, Scienziato e cortigiano. Il sito è interamente dedicato alla figura della scienziato di corte.
3 – Cfr. F. Redi, Bacco in Toscana. Con una scelta delle annotazioni, a cura di G. Bucchi, Antenore, Roma-Padova 2005
4 – A.M. Pult Quaglia, La legislazione sul vino nella Toscana moderna, in La vite e il vino. Storia e diritto (secoli XI-XIX), Carocci, Roma 2000 pp. 209-227
5 – E. Repetti, Dizionario geografico fisico storico della Toscana, Firenze 1833, link qui, e qui.

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Pietro Stara

Torinese composito (sardo,marchigiano, langarolo), si trasferisce a Genova per inseguire l’amore. Di formazione storico, sociologo per necessità, etnografo per scelta, blogger per compulsione, bevitore per coscienza. Non ha mai conosciuto Gino Veronelli. Ha scritto, in apnea compositiva, un libro di storia della viticoltura, dell’enologia e del vino in Italia: “Il discorso del vino”.

4 Commenti

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Chiara Pisani

circa 7 anni fa - Link

L'immagine a corredo dell'articolo è un particolare del banchetto di Amore e Psiche opera di Giulio Romano a Palazzo Te a Mantova. Non c'entra nulla con i Medici. Il diritto d'uso dell'immagine è inoltre soggetto a specifica autorizzazione e liberatoria con pagamento dei diritti di immagine. Potete fornire gli estremi dell'autorizzazione?

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Fiorenzo Sartore

circa 7 anni fa - Link

Immagine sostituita col più consono Cosimo I de' Medici, public domain, grazie della segnalazione.

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Sergio

circa 7 anni fa - Link

cioè? davvero per un'immagine di Giulio Romano bisogna pagare i diritti a qualcuno?

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Lucia

circa 7 anni fa - Link

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