18 cose che ho portato a casa dopo quattro serate su Bordeaux con Samuel Cogliati

18 cose che ho portato a casa dopo quattro serate su Bordeaux con Samuel Cogliati

di Simone Di Vito

Non bastano 4 appuntamenti e 44 bottiglie per diventare esperti di una zona ma per invaghirsene assolutamente sì. E dopo il Rodano con Stefano Amerighi è toccato a Bordeaux: quattro serate organizzate da quel diavolo tentatore di Claudio Celio in cui il cicerone è stato Samuel Cogliati, degustatore sopraffino, autore ed editore per Possibilia nonché grande esperto di Bordeaux; chi meglio di lui per esplorare una delle zone del vino più famose del mondo?

Quello che segue è un elenco di 18 punti, tra cose imparate serata dopo serata e bottiglie che mi hanno colpito, non necessariamente in positivo.

Premessa: pur conoscendo il tema prestabilito dei quattro appuntamenti (Riva destra e sinistra, classificazioni, al di fuori delle classificazioni e i bianchi di Bordeaux), in ogni serata la degustazione si è svolta rigorosamente alla cieca, motivo per cui non sono mancate sorprese.


 

da Winescholarguild.org


1. Una confusione di Aoc e classificazioni
Se siete tra quelli che pensano che il sistema italiano tra Igt, Doc e Docg confonda spesso i consumatori (specialmente esteri), provate ad approcciarvi alle denominazioni bordolesi e ne riparliamo. 57 Aoc divise tra le tipologie, tre classificazioni principali in cui poi si susseguono variabili come Grand Cru Classé, Superieur, Cru Bourgeois e Artisan, Grand Cru, Premier Grand Cru, tipo A, tipo B: una sorta di Codice da Vinci del vino.

2. Con Bordeaux ero partito male ma poi ho visto un paio di luci da Pauillac e Pomerol
Durante la prima serata dedicata a riva destra e sinistra alcuni eccessi legnosi e di concentrazione mi avevano messo più di un dubbio ma poi ho assaggiato due vini e da lì è andato tutto in discesa. Le premesse negative c’erano per entrambe le bottiglie. Non una grande annata e un sentore di tappo che si faceva sentire a intermittenza per Château Lynch-Bages 2002, tra forti vampate di peperone, spunti di the nero e foglie secche, sorso bello avvolgente e tanta freschezza, ostentando ordine, pulizia: una veste acida e verdognola ma indossata con stile. Vieux Château Certan 1995 invece era un po’ avanti con la maturazione, ematico e anche qui pirazine come se piovesse ma un tannino misuratissimo e una spiccata acidità uniti ad un corpo abbastanza snello lo rendevano un vino ancora goloso ed estremamente compulsivo.

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3. Chateau Margaux 2002: quando l’annata negativa si mangia pure il blasone
Serata dedicata alle classificazioni e la mannaia della degustazione coperta non l’ha risparmiato. Naso a metà strada tra il tostato e il legnoso dolce, alcolico e molto concentrato, con tannino talmente invadente da sovrastare tutto il sorso. Una percentuale ridotta di merlot (mai così bassa da quando viene prodotto) e diversi problemi negli andamenti stagionali di questa 2002 ne fanno un vino che non brilla: capita anche ai più grandi.

4. Chateau Cheval Blanc 1999: un purosangue che merita la corona
È bastato accostarci il naso per capire che era un qualcosa di speciale. Scorza d’arancia, pietra sgretolata, mirtillo in confettura e vampate di eucaliptolo, denso, profondo, potente ma incredibilmente affabile, scorrevole, ornato da una calibratissima trama tannica: ho visto i fuochi d’artificio. Indubbiamente il re della serata.

5. Chateau Larcis Ducasse 1990 
Se Cheval Blanc è stato il re, qui ero al cospetto della regina. Un concentrato di eleganza mista a generosità, tra note fumè, cannella, liquirizia e composta di more, prosperoso e a dir poco avvolgente, con un bel graffio tannico e una lunga scia acida a condurre il sorso. Bellissimo e per costi molto più accessibile di tanti altri.

6. Chateau Latour 1989: quando l’oggettività prevale sul gusto personale
Un lievissimo sentore di tappo che non tutti hanno percepito, toni scuri, concentrazione, beva imponente, austero: al primo impatto non mi aveva conquistato ma l’ho tenuto il più possibile nel calice e con l’ossigeno ho iniziato a comprenderlo, perché può non rientrare nei propri gusti personali ma non si possono negare anima e rifiniture del grandissimo vino.

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7. Chateau Haut-Brion 1974 e la longevità inarrivabile di Bordeaux
L’ultimo vino della seconda serata – annata abbastanza negativa e bottiglia in parabola discendente – eppure il nonnetto Chateau Haut-Brion 1974, con quasi mezzo secolo di età, dimostra che se parliamo di longevità nel vino i Bordeaux non hanno probabilmente eguali. Lieve frutta scura sotto spirito, china, spunti medicinali e pellame, bocca diluita e un po’ scarica, tannino spuntato e quasi impercettibile ma acidità ancora piuttosto viva, per una bevuta tutto sommato fluida e godereccia.

8. Il Classement de Saint-Émilion e le sue revisioni
A differenza di quello più famoso di Médoc e Sauternes − che però da quel lontano 1855 è pressoché rimasto lo stesso – nel classement di Saint-Émilion le revisioni avvengono più o meno ogni dieci anni, non senza qualche grattacapo. Dopo varie denunce di proprietà mal classificate, quella datata 2006 fu invalidata; quella del 2012, redatta sotto l’occhio vigile dell’INAO, dopo la pubblicazione ha subito pesanti critiche ma il vero terremoto si è scatenato nell’ultima del 2022: chateau del calibro di Cheval Blanc, Ausone (già nel 2021) e Angelus ne sono usciti. I motivi? L’eccessivo peso attribuito dal council a criteri come enoturismo e visibilità digitale, sfavorendo di conseguenza aspetti ben più importanti e in passato maggiormente considerati come territorialità e degustazione (l’assaggio in verticale delle ultime dieci annate). Qui la situazione attuale.

9. Si parla sempre e solo di Cru Classé
Quando qui da noi si parla di questo territorio inevitabilmente il discorso cade sempre e solo sull’élite delle classificazioni, eppure parliamo di 110 chateau (tra rive droite, Médoc e Graves), che rappresentano solo 3.500 su 115.000 ettari di superficie in produzione. Mentre a Bordeaux c’è tanto altro da esplorare…

10. Gli outsider bordolesi dimostrano che di vino buono e a prezzi ragionevoli ce n’è eccome
Nella terza serata ne abbiamo avuto una bella prova. 11 vini (nessuno superava i 50 €) dove anche il meno interessante aveva comunque il suo perché, e alcuni di essi addirittura non sfigurerebbero al cospetto di tanti blasonati. I più interessanti a seguire.

11. Chateau Moulin Pey-Labrie 2016, Aoc Canon-Fronsac
Per me il migliore della serata. All’apparenza timidino, con un po’ di frutta e qualche sfumatura speziata ma in bocca dimostra tutto il suo potenziale: un tannino largo ma gestito alla grande, fresca acidità, ricami e rifiniture in un sorso carnoso, pulito e profondo. Tanto margine di crescita e quell’eleganza da grande vino pur non possedendo titoli nobiliari. Chapeau.

12. Chateau le Puy, Emilien 2015
Altra bella scoperta. Meno rifinito ma più imprevedibile del precedente. Parte dal fiore appassito per poi sfumare sull’oliva nera, con spunti terrosi, sanguigni e di naftalina, in bocca è bello fluido e decisamente agile per via di un’acidità abbastanza sopra le righe, richiama frutti come ribes, spunti selvatici e salamoia, un tannino ruvido ma educatissimo. Come per il precedente, già molto buono così ma può solo crescere.

13. Chateau Monplaisir 2020
Un Bordeaux giovane, facile e di pronta beva suona strano, vero? Di corporatura media, agile e tutto giocato sulla freschezza, naso di succo di pomodoro, mirtillo e note di caramella gommosa (tipo Fruit joy), tannino lieve ma tanta bevibilità, forse un po’ corto di bocca ma veramente carino, facile, golosissimo. 8 € in cantina, 10 € online: cosa volere di più?

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14. Planquette 2019 e 2004: un piccolo ago nel pagliaio del Médoc
Piccola e artigianale produzione in una zona di mostri sacri, un solo vino prodotto ed etichettato come Médoc Aoc o Vin de France a seconda dell’annata. La distanza tra i due millesimi ci ha dato una dimensione di dove può arrivare con 15 anni sulle spalle. Fine e già molto buona la 2019, con tanta frutta da naso a bocca, cenere, spunti ferrosi e sfumature erbacee, corposa, piaciona ma con ogni cosa a posto. Toni scuri e ovviamente più maturi nella 2004, che conserva l’eleganza della 2019 ma appare decisamente più compiuta e di carattere, con un particolarissimo sentore di sanguinaccio.

15. A Bordeaux fanno anche il vino bianco secco ma…
Se ne parla veramente poco e un motivo potrebbe essere che rappresenta solo il 9% della produzione totale (contro l’85% dei rossi) ma forse il vero motivo ci arriva proprio dagli assaggi: pochi valevoli di considerazione ma nulla o quasi che ci abbia fatto ricredere sul perché dal 1969 (ultimo anno di prevalenza dei bianchi secchi: sì, negli anni Cinquanta erano il 60% della produzione totale, un dato quasi incredibile) si punti più sui vini rossi.

16. Il miglior bianco secco: Chateau Latour-Martillac 2010
A mio avviso l’unico meritevole di menzione, blend di sauvignon blanc (54%) e sémillon (46%). Tanta salinità nelle narici, cera d’api, miele, pesca sciroppata e camomilla, denso e importante, con bella scorrevolezza e una sapidità quasi tannica che persiste a lungo in bocca. Un buon prodotto certo ma a quel prezzo (circa ±40 €) non so se il gioco valga la candela.

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17. Chateau d’Yquem appare molto meno magnifique quando è in mezzo ai suoi fratelli
L’unico Premier Grand Cru Classé Superieur, annata più che buona, ma alla cieca e in mezzo ad altri cinque Sauternes non ha spiccato su tutti, anzi. Vini come Rousset-Peyraguey 1995 e Climens 1990 sono sembrati molto più realizzati e brillanti, mentre lui, un po’ troppo glicerico e pastoso, è apparso pesante e poco attraente. Come per Chateau Margaux, capita anche ai migliori. Detto questo, sui Sauternes glicerina e solfiti non mancano di certo quindi aspettare almeno 10 o 20 anni prima del consumo è tendenzialmente sempre buona cosa.

18. Grazie a Bordeaux ho fatto pace con i vitigni bordolesi
Con un passato da adoratore di Supertuscan e tagli bordolesi nostrani, da qualche anno non riuscivo più a bere merlot, cabernet e compagnia con una certa fisionomia. Legno e alcolicità, concentrazione, pesantezza: ne avevo abbastanza e li assaggiavo saltuariamente ma senza andarli a cercare. La terapia d’urto di 3 serate e 32 bottiglie (di soli rossi) mi ha aiutato. Certo non è tutto oro quello che luccica, nemmeno se arriva dalle rive della Gironda, ma sono contento che le bottiglie che ho apprezzato (e non sono state poche) mi abbiano fatto tornare la voglia di riprovarci.

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Simone Di Vito

Cresciuto a pane e corse automobilistiche (per via del papà pilota), sceglie la sostenibilità di bacchette, tamburi e corde grosse, tra batteria e basso elettrico. Si approccia al vino grazie a una breve carriera da scaffalista al supermercato, decidendo dopo anni di iscriversi ad un corso AIS. Enostrippato a tempo pieno, operaio a tempo perso. Entra in Intravino dalla porta di servizio ma si ritrova quasi per sbaglio nella stanza dei bottoni. Coltiva il sogno di parcellizzare tutto quel che lo circonda, quartieri di Roma compresi.

13 Commenti

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Samuel Cogliati

circa 12 mesi fa - Link

Grazie Simone. Qualche piccola inesattezza, ma è normale, in un tale dedalo affrontato inevitabilmente di fretta. Solo una doverosa precisazione, però: non faccio consulenza a nessun produttore, tanto meno bordolese, bensì a un importatore di vini, Stefano Sarfati. Un saluto!

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Simone Di Vito

circa 12 mesi fa - Link

Ciao Samuel, allora ho capito male io, correggo subito, grazie

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Vinogodi

circa 12 mesi fa - Link

...da "vecchio" bordofilo incallito, mi viene voglia di ririririririricimentarmi con Bordeaux ...contestualizzato ( mi piace perche' ci sono cresciuto , con i Bordeaux, anche se preferisco quelli post guerra e prima delle "pressioni Parkeriane")... PS: non specifico "post guerra" a quale guerra mi riferisco...

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marcow

circa 12 mesi fa - Link

Mi è piaciuto l'articolo. E, in particolare, il punto N⁰ 18. All'inizio, poi, c'è questo passaggio: "in ogni serata la degustazione si è svolta rigorosamente alla cieca, motivo per cui non sono mancate sorprese" che valorizza tutte le degustazioni.

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Simone Di Vito

circa 12 mesi fa - Link

Grazie marcow

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vinogodi

circa 12 mesi fa - Link

...nulla di nuovo sul "fronte 2002" , anno horribilis sia a Bordeaux che in Toscana e Langa ( salvo eccezioni , Monfortino epico...) . Di Bordeaux non se n'è salvato uno...

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Simone Di Vito

circa 12 mesi fa - Link

Ciao Marco, dei tre assaggiati effettivamente solo il Lynch-Bages se l'è cavata bene... Mentre della 1974 che mi dici? Immagino un po' la stessa cosa eh

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Vinogodi

circa 12 mesi fa - Link

...diversa, decisamente. 2002 irrecuperabile o cin pochi casi di " accettabilita", Linch Bages a parte, direi poco piu' che apprezzabile per il suo standard. Le annate calde, per caratteristiche di prontezza, erano rare e considerate grandi, a Bordeaux, per oggettiva difficolta' , nelle altre annate, di portare a maturita' fenolica le uve, uscendo il piu' delle volte vini duri e sgarbati all'uscita. In realta', molte annate " medie" e caratterizzate da durezza subito, si sono rivelate nel tempo straordinarie o , per lo meno, superiori alle aspettative con la prova del tempo. La 1974, pur annata considerata scarsina, a Bordeaux, mi ha sempre dato soddisfazioni per finezza e tensione con i decenni trascorsi.

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Simone Di Vito

circa 12 mesi fa - Link

Buona notizia per me allora, visto che ho un '74 a cui a breve tirerò il collo... sperando sia ancora vivo 😅

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Vinogodi

circa 12 mesi fa - Link

...se non l'hai conservato in mansarda e portato a temperatura nel microonde, avrai soddisfazione...

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Vinogodi

circa 12 mesi fa - Link

...dipende poi da che cru e', non generalizziamo...

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leonardo

circa 12 mesi fa - Link

Non avete assaggiato il bianco di Domaine de Chevalier? Io l’ho preferito addirittura al rosso, e parliamo, a mio modestissimo parere, di un gran bel rosso. Entrambe 2018.

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Simone Di Vito

circa 12 mesi fa - Link

Ciao, si era una 2008 ma era ossidata e abbastanza pungente... Saluti

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