Riconoscere i profumi. Uno studio scientifico spiega perché è difficile

di Fiorenzo Sartore

Uno degli elementi in grado di scatenare la maggior quantità di dibattiti è la capacità di elencare i descrittori nei riconoscimenti olfattivi, croce e delizia di ogni enofilo: è il genere di attitude che attira sugli assaggiatori l’ironia del resto del mondo, ed è anche il perenne scoglio che incontra la divulgazione nei corsi professionali per sommelier o assaggiatori. In un articolo su Scientific American si riportano le conclusioni ottenute da uno studio della Rockefeller University. Secondo il genetista Andreas Keller “l’olfatto di ognuno è un mondo unico e particolare”.

Tali conclusioni partono dall’osservazione che l’olfatto umano ha percezioni profondamente differenti da individuo a individuo. Queste differenze sarebbero aumentate durante l’evoluzione: l’uomo ha perso parte della capacità olfattiva (a favore del senso della vista) e i nostri recettori olfattivi hanno cominciato a modificarsi geneticamente: al punto che anche per gli incroci successivi hanno ridotto la possibilità di codifica delle sensazioni odorose, finendo per determinare “una specie di situazione tipo codice a barre, dove ognuno però ha un codice a barre differente”.

Negli esperimenti su un panel di 500 individui quelle differenze hanno generato a parità di input risposte notevolmente variabili: l’intensità andava da debole a forte, e la valutazione da piacevole a sgradita. Infine, a queste scoperte, si è aggiunto uno studio dell’Università di Dresda, secondo cui su un panel di 1500 adulti a contatto con 20 diversi profumi, ognuno ha mostrato un “punto cieco”, cioè l’incapacità specifica a rilevare un certo recettore. Solo la citralva (un profumo di agrume) è stato rilevato da tutti.

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Fiorenzo Sartore

Vinaio. Pressoché da sempre nell'enomondo, offline e online.

4 Commenti

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paolo tamiro

circa 10 anni fa - Link

Finalmente, dopo anni di banana, mela verde, fiori di campo e citronella, abbiamo capito che ognuno annusa e sente in bocca a modo suo. Ciò nonostante, ciò che mi piace ancora quando scopro un vino, è proprio respirare a lungo, pazienza se io sento agrumi, e tu pesche.

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Stefania

circa 10 anni fa - Link

Questo ed altri studi confermano ciò che in molti da anni affermano (e che nei corsi di avvicinamento alla degustazione enoica e non, ci si ostina a non capire): l'assaggio non è matematica. Non esistono nasi e palati assoluti (si rilassino i super degustatori). Quel che è certo è che esistono vincoli neurologici, psicologici e sociali. Esistono soglie di percezione e di assuefazione. E noi si sta ancora qui a discutere tra "l'abbastanza sapido e il sapido"..

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Rossano Ferrazzano

circa 10 anni fa - Link

ma per l'amor di dio, no! non buttiamo tutto in vacca, per cortesia con la debita educazione, tutti sono in grado di tararsi reciprocamente, e di usare lo stesso nome per le stesse proprietà organolettiche, anche se l'immagine mentale di ognuno è più o meno leggermente diversa da quella degli altri anche la vista è soggetta allo stesso identico fenomeno, ricordo addirittura un acuto albo di Martin Mystere, il numero 100 uscito eccezionalmente a colori, che fra gli altri affrontava proprio questo tema, in una maniera semplice ed efficace, che faceva capire che l'importante è avere codici compatibili, mentre la diversità di ricostruzione interiore è solo fonte di arricchimento relazionale e culturale, non di incomunicabilità

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Rossano Ferrazzano

circa 10 anni fa - Link

esse est percipi, mica lo si scopre oggi ma questa natura relativa ed estetica dell'essere non incrina affatto la possibilità di un'ontologia, e di una gnoseologia condivisa no, niente affatto altrimenti, come mai potrebbe essere il vino quella cosa capace di verità che tutti conosciamo? come mai avrebbe potuto il vino attraversare i secoli, crescendo sempre di potenza narrativa e rappresentativa, anziché scoprirsi in breve come un bluff da classe borghese annoiata, ipocrita e pure un po' cojona? per l'amor di dio, no teniamoci stretta l'esperienza empirica del vino, e alla luce di quella interpretiamo i dati che ci offre la scienza - non viceversa! perché se c'è contraddizione con il principio empirico, allora è la scienza a doversi chiedere se non sta tradendo sé stessa, non noi a doverci professare fedeli della scienza

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