Joško Gravner | L’anfora è come l’utero

di Antonio Tomacelli

Ieri Gravner mi ha segnalato sulle pagine di Facebook l’intervista che ha rilasciato al settimanale sloveno Dobro Jutro. Appena finito di leggerla, gli ho chiesto di pubblicarla su Intravino: era troppo interessante per confinarla sulle pagine di un social network..

Joško Gravner è probabilmente il più importante, ma di sicuro il più noto viticoltore sloveno. Opera in Italia, precisamente nel Collio, in prossimità del confine, in una piccola località denominata Oslavia/Oslavje, dove vivono anche altri maestri viticoltori sloveni. Il posto nell’attuale storia vinicola mondiale il Gravner lo ha ottenuto con una costante ricerca del vino migliore, del più puro e si può aggiungere di un vino ecologicamente ineccepibile. I suoi prodotti però non sono soltanto ecologici o biodinamici. Il Nostro cerca quel gusto che l’uomo da millenni crea esclusivamente in sintonia con la natura. Negli ultimi anni è diventato famoso soprattutto in Occidente per la produzione di un vino proveniente da vigneti ecologicamente assolutamente puliti che poi lo fa maturare in cantina dove lo custodisce in anfore e in grandi botti di legno per un periodo che non è mai minore di un lustro.

Qualche anno fa le anfore nella viticoltura erano una rarità, negli ultimi tempi invece le consuetudini stanno mutando. Un numero sempre maggiore di viticoltori usa le anfore. Cosa ci può dire in merito essendo stato il primo a portarle dalla Georgia, una delle culle del vino?
Vi risponderò con le parole che mio figlio Miha, deceduto recentemente, ha usato nel corso di una visita di alcuni giornalisti inglesi nella nostra azienda. Alla domanda se anche altri preparano il vino nelle anfore, ha risposto: “No, siamo gli unici.” Mi sono intromesso smentendolo: “No, Miha, non siamo gli unici; anche altri hanno le anfore.” E lui rispose: “Papà, avere un’unica anfora non significa preparare il vino nelle anfore.” La differenza sta proprio in questo: noi teniamo tutti i vini nelle anfore, tanto i bianchi quanto i rossi. Tutto il vino prodotto nella nostra azienda passa attraverso le anfore. Il motivo è semplice – non sono un circense, capace di cavalcare due cavalli insieme. Perché ho iniziato a usare le anfore? Tutte le tecnologie provate prima, dopo cinque o dieci anni diventavano obsolete e dovevo modificarle. Ho sostituito completamente l’attrezzatura della mia cantina ben quattro volte. I recipienti in acciaio inossidabile sono una maledizione per la viticoltura. Il vino non può vivere nei contenitori sterilizzati. Il vino nelle anfore vive, se è invece prigioniero dell’acciaio inossidabile, non può respirare e si annienta. La tecnologia moderna vuole liberarsi dell’ossigeno, ma il mosto senza di esso non può fermentare e vivere. Il vino necessita dell’ossigeno come i motori delle automobili. L’uso dell’anfora è il metodo più appropriato per la produzione dei migliori vini. Devi però avere anche l’uva buona. Le anfore sono importanti per il vino quanto lo è l’amplificatore per la musica. Aiutano, se hai una buona partitura, altrimenti creano soltanto caos.

Può un viticoltore operare bene anche senza anfore preparando il vino nelle botti?
Certo. Le botti sono l’unica alternativa alle anfore. Se desidero che la maturazione del vino duri sette anni, posso farlo soltanto usando le botti. Dalle anfore, infatti, passa prima o poi nelle botti; dopo nove mesi deve nascere e respirare. L’anfora è quindi l’utero, mentre la botte rappresenta la successiva educazione, a condizione che non si tratti di un piccolo barrique, ma il più grande possibile, in modo che la sua influenza sul vino sia ridotta al minimo.

Dopo quanti anni i suoi vini arrivano all’acquirente ovvero al degustatore?
I vini bianchi, per ora, dopo cinque anni; adesso ci siamo presentati sul mercato con l’annata del 2005. Il vino rimane nelle anfore un anno e successivamente altri quattro anni nelle botti di legno. Ora aspettiamo un lustro per concludere la fase di maturazione prima dell’imbottigliamento, ma tra qualche anno intendo arrivare ai sette anni di maturazione.

Perché proprio sette anni?
Sette anni sono un numero magico, è il periodo lungo il quale l’uomo sostituisce tutte le proprie cellule. Questo fenomeno è importante soprattutto nei bambini – intorno ai sette anni i bambini modificano il carattere. Lo ha sottolineato Rudolf Steiner, padre della biodinamica e fondatore della Scuola waldorfiana; in quel tipo di scuola i bambini non entrano a sei anni, ma al settimo anno d’età. Voglio affermare questo principio con il mio vino – i vini bianchi matureranno sette anni. Nessuno riuscirà a convincermi che il vino imbottigliato dopo sei mesi possa essere di qualità; ha invece bisogno ancora di crescere e ciò significa almeno tre anni. Se prolunghiamo tale periodo, il vino, come l’uomo, aumenta le proprie esperienze. Se lo imbottigliamo dopo sei mesi, è come se i genitori comprassero al ragazzo in crescita già le scarpe più grandi.

Quale è l’uso della chimica nei vigneti e nelle cantine?
Ho eliminato dalla produzione tutte le sostanze chimiche ad eccezione di una piccolissima quantità di zolfo. Sapere produrre vino significa sapere usare lo zolfo. Produrre vino senza zolfo è un’utopia.

Qualcuno afferma che ciò sia possibile…
Non credo si possa cancellare due millenni di storia. Nel 1990 ho provato anch’io a produrre del vino senza l’uso dello zolfo. Stavo leggendo allora un libro di Emile Peynaud, il celebre enologo di Bordeaux che confermava l’impossibilità di produrre del vino senza zolfo. Per tre anni mi sono dato da fare per poi ammettere che aveva ragione. Non è stato lui a convincermi, ma ho imparato da solo con una ricerca personale. Per produrre vino non è importante l’enologia, ma la storia. L’uso dello zolfo nella produzione del vino è stato scoperto dai Romani e ciò significa che la presenza dello zolfo nella viticoltura è antica duemila anni. Per il vino, che del resto non ha un’importanza vitale, si sono battute innumerevoli generazioni e quindi non me la sento ormai di affermare di volerlo produrre senza lo zolfo. E’ importante anche un’altra cosa: allora ero convinto che il vino non sia prodotto dall’uomo, ma dalla natura. Ho sbagliato anche in questo caso. Il prodotto primario dell’uva, infatti, non è il vino ma l’aceto. E’ l’uomo che indirizza l’uva a diventare vino. Qualcuno produce l’aceto e afferma si tratti di vino naturale. Il vino senza lo zolfo non esiste, ma è vero che non bisogna abusarne. Molti affermano di produrre il vino senza zolfo, ma usano altre sostanze chimiche, ancora peggiori. La chimica forse facilita il tuo impegno in un primo momento, ma poi si vendica. La vite assorbe le sostanze chimiche usate e alla fine entrano nel tuo organismo. Anche aggiungere sostanze chimiche direttamente nel vino non migliora la situazione. Dopo ogni mio tentativo di migliorare la qualità aggiungendo sostanze chimiche, il risultato peggiorava. Non appartengo a nessuna organizzazione ecologica o biodinamica, ma dai primi e dai secondi prendo quanto mi interessa. La miglior cosa è essere anarchici. Se vuoi operare correttamente e bene, non devi seguire nessuna eco o bio etichetta, ma devi rimanere al di sopra di tutte.

Mi sembra che secondo Steiner il vino da solo non sia sufficiente, per un ottimale quadro biodinamico deve esserci una cornice ambientale completa, formata da campi, da animali…
Sono d’accordo, ma io tutto questo non possiedo. Ho le vigne e i frutteti e l’orto, ma mi manca il bestiame. Non ho tempo per gli animali. In maggio, giugno, luglio e agosto siamo tutto il tempo tra le vigne. In quel periodo non ho nemmeno il tempo di sbirciare l’orto. E poi non ho la capacità di accudire gli animali. Ho un cane che mi segue ovunque, per il resto non sono abituato alle bestie. Mi piacerebbe avere un cavallo, ma non sono la persona adatta. Per il resto cerco di seguire gli insegnamenti di Steiner. Per esempio, sto approntando in tutti i miei vigneti delle pozzanghere, perché nell’acqua stagna inizia tutta la vita e accanto alla mia casa avrò il bosco. Inoltre, per avere un sistema completo è necessario piantare tra le terrazze delle vigne alberi da frutto, ulivi e anche qualche quercia.

Quando, in famiglia, ha assunto il ruolo di viticoltore?
Avevo 14 anni quando mio padre per la prima volta mi permise di travasare da solo il vino. Mi ripeteva sempre: “Joško, il vino non si fa così, ma va bene lo stesso, sei giovane, devi provare.” Mi spiegava di lasciare l’uva con gli acini arricchiti dalla butrite nobile sulla vite, perché è la parte migliore. A scuola invece ci insegnavano di eliminare tutte le parti ‘marce’. Non ebbi l’occasione di confermagli quanto fosse nel giusto, poiché è morto quando avevo appena 25 anni.

Quanta parte dei suoi vigneti si trovano in Slovenia e quanta in Italia?
Quasi la metà si trova in Slovenia, il resto in Italia.

E quante bottiglie produce all’anno?
Alcuni anni fa ne riempivo da 35.000 a 50.000, ora invece da 25.000 a 35.000. La quantità del vino non dovrebbe essere misurata in vagoni ferroviari, ma in bicchieri; è da essi che lo beviamo. Del resto, intendo diminuire la produzione. Voglio raggiungere il traguardo di avere in cantina sei annate di vino – una nelle anfore e cinque nelle botti. In cantina ho interrato 45 anfore, ma non sono tutte colme. In dodici di esse tengo il vino bianco e in tre quello rosso.

Come è stata la vendemmia quest’anno?
Proprio qualche giorno fa ho assaggiato il vino di quest’anno. Di solito non lo faccio fino alla fine della fermentazione, ma non ho saputo resistere. Ero troppo curioso di sapere cosa aveva portato quest’annata veramente speciale. Abbiamo avuto tanta pioggia e i grappoli si resentavano con la butrite nobile. Molte persone affermano che si tratta di marciume acido e provano a convincermi di sbagliare quando affermo di avere dell’uva buona, ma in realtà è necessario conoscere la differenza tra la butrite nobile e quella marcia. Quando la buccia è di colore marrone e l’acino sotto di essa è verde, si tratta di butrite nobile. E’ il massimo che tu possa ottenere.

Il 2010 sarà quindi una buona annata?
Non semplicemente buona, si tratta di una grandissima annata. Parlo evidentemente di vini bianchi. Per quelli rossi quest’annata non può essere buona. Questo è il vantaggio delle specie bianche rispetto alle rosse – con le bianche puoi ottenere la butrite nobile, le rosse invece non ne hanno.

Il Suo vino rosso, Rujno, ha un prezzo piuttosto alto. Perché è tanto più caro degli altri?
Per le specie di vite rossa l’annata è molto importante. Tanto il Rujno, quanto il Rosso Riserva e il Rosso Gravner provengono dallo stesso vigneto, ma soltanto le annate migliori diventano Rujno. In tutti i casi si tratta di merlot con il cinque o il dieci percento di cabernet sauvignon; è un vino convenzionale che però raggiunge i prezzi più alti. Cosa posso farci, se per il vino rosso mi pagano, per il bianco, che è migliore, invece no?

Questa Sua affermazione è piuttosto critica…
Assolutamente no. Il merlot e il cabernet sono due buone specie, ma sono convenzionali, possono crescere ovunque. La specie che prospera su ogni terreno non può essere eccezionale. Il Rujno è molto lontano da quanto diventerà invece il pignolo che da noi è una specie autoctona, un vino veramente primitivo. Non lo vendiamo ancora, l’annata 2003 sarà in vendita soltanto tra qualche anno.

Cosa invece avverrà con il Suo vino più ambito, il bianco cuveeje, denominato Breg?
Nel Breg ci sono il savignon, il pinot grigio, il chardonnay e il riesling italico, ma questa specie di viti la curerò ancora per tre o quattro anni, in seguito mi dedicherò esclusivamente alla ribolla. Ambisco uno stallone da premio e so che la ribolla è la scelta migliore, perciò non perderò più tempo con le altre specie. La ribolla nel Collio è una specie autoctona e la sua resa è la migliore se paragonata ad altre viti. Ha profondità e ricchi minerali che le altre specie non riescono ad ottenere. Mio figlio Miha era convinto che dovevamo indirizzarci esclusivamente verso la ribolla. Ora che non c’è più, non mi rimane altro che portare da solo a termine il progetto. Il buon vino lo produrrò per lui.

Alla fine rimarranno quindi solo la ribolla e il pignolo?
Tra le specie bianche soltanto la ribolla, i cuvee non ci saranno più, delle specie rosse invece il pignolo, visto che lo ho impiantato. Se dovessi iniziare ora da capo, coltiverei soltanto la ribolla. Se possiedi qualcosa di eccezionale, devi concentrarti soltanto su quello.

Si dice che lei si presenta in osteria con la bottiglia di vino di propria produzione.
Certo. Il vino lo produco per me, quanto ne rimane invece lo vendo. Cosa c’è di male se mi presento con una mia bottiglia oppure ordino il mio vino? Enzo Ferrari non guidava mica una Porsche!

Se però dovesse bere del vino di altri produttori, quale sceglierebbe?
Il vino di Damjan Podveršič. Bevo il mio vino e quello di Damjan Podveršič, gli altri li assaggio soltanto. Riguardo i vini da bere sono di gusto molto difficile. Non bevo più neppure i miei vini di qualche anno fa, quando ancora li filtravo. Li tengo sì in cantina per venderli, ma alle persone che desiderano acquistarli, confesso sempre che io non li bevo più. Ora so che nel vino ci sono tre aspetti fondamentali – oltre ad essere buono deve contenere batteri, enzimi e lieviti. Senza di essi non si tratta di vino, ma di bevanda che ti nuoce più che farti del bene.

Intervista di Miha Štamcar e Nina Vogrin – Per gentile concessione della rivista slovena Dobro Jutro

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Antonio Tomacelli

Designer, gaudente, editore, ma solo una di queste attività gli riesce davvero bene. Fonda nel 2009 con Massimo Bernardi e Stefano Caffarri il blog Dissapore e, un anno dopo, Intravino e Spigoloso. Lascia il gruppo editoriale portandosi dietro Intravino e un manipolo di eroici bevitori. Classico esempio di migrante che, nato a Torino, va a cercar fortuna al sud, in Puglia. E il bello è che la trova.

55 Commenti

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www.playwine.blogspot.com

circa 13 anni fa - Link

Bellissima intervista ad uno dei miei produttori preferiti, con delle perle all' interno. Estremista per questo lo adoro, vini bianchi tannici, complessita assurde, colori impenetrabili, anfore, 5 anni di attesa, vini che andrebbero insegnati all' A.I.S. e che meritano più dei 100 punti, altro che le classifiche di "winequelcheè". Un unico problema, la difficolta di tornare indietro.

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leodorme

circa 12 anni fa - Link

Bellissima intervista... pensa che al 3 livello Ais i vini di Damjan Podveršič di cui parla nell'intervista sono stati oggetto di mezz'ora di preambolo del calibro "anche questi sono vini", "vanno capiti", "sono strani". Gravner e Podveršič sono vini a mio avviso strepitosi, dovrebbero essere la normalità in ogni corso, non l'eccezione.

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Marco Lugli

circa 13 anni fa - Link

qualche perplessità rimane.. del tipo " il vino nell'acciaio non respira e si annienta " mah :/

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Andrea Gori

circa 13 anni fa - Link

se pensi marco alla conducibilità elettrica dell'acciaio e dei metalli in genere capisci bene che un liquido come il vino dentro l'acciaio non possa rimanere certo fermo e stabile, nè dal punto di vista filosofico che chimico fisico

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Marco Lugli

circa 13 anni fa - Link

appunto.. E se per caso la portella del tank la lasciamo aperta (cosa che spesso si fa in fermentazione) il vino non "respira" ? che poi semmai respirano i lieviti e gli altri microrganismi in esso contenuto, di certo non "respirano" i costituenti organici quali acidi, zuccheri, polifenoli, ecc.

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Francesco Bartoletti

circa 13 anni fa - Link

Mi permetto di intervenire in questo dibattito su ossigeno e vino solo per chiarire alcuni aspetti consolidati dalla ricerca enologica. Il rapporto tra ossigeno e vino è molto complesso e assolutamente determinante per la vita del vino stesso. L'ossigeno reagisce con moltissimi componenti organici e inorganici presenti nel vino, in modo particolare nei confronti dei Polifenoli e tra questi nei riguardi dei Tannini e degli Antociani( pigmenti coloranti dei vini rossi ). L'azione dell'ossigeno è molto forte in particolar modo nei vini bianchi e può essere devastante ( ossidazione e imbrunimento ) con formazione di composti ossidati che fanno virare il colore giallo più o meno paglierino verso toni scuri molto carichi o fortemente tendenti al giallo oro. Lo stesso dicasi per i rossi dove l'ossigeno svolge un ruolo fondamentale nel cambiamento della tonalità di colore di un vino nel corso del tempo. L'argomento è molto vasto e potrebbe risultare insopportabile, ma vale la pena dire due battute sull'acciaio. Sicuramente è pratico, igienico e ricco di tecnologia. Per la fermentazione delle uve bianche e rosse può essere molto valido, ovviamente durante la fermentazione si può intervenire facilmente per ossigenare e far respirare i lieviti. Non c'è alcun dubbio sul fatto che durante la conservazione del vino dopo la fermentazione la respirazione è praticamente nulla. Non c'è dubbio che la capacità di isolamento termico sia praticamente nulla Non c'è dubbio che sia soggetto a correnti elettromagnetiche Ognuno sceglie liberamente la propria via, ma se i Francesi lo prediligono per i loro bianchi è per proteggerli al meglio dall'ossigeno e se molti produttori di vini rossi non lo scelgono per la conservazione è perché il cemento è sicuramente molto più rispettoso nei confronti del vino. Saluti

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bacillus

circa 13 anni fa - Link

Andrea Gori che si abbandona a disquisizioni scientifico-tecniche sul vino è un vero piacere. ...e poi c'è gente che si eccita a vedere Belen Rodriguez... non sanno cosa si perdono qui, su Intravino. 8O

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Antonio Tomacelli

circa 13 anni fa - Link

Occhio Bacillus, che col Gori ti fai male... :-)

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bacillus

circa 13 anni fa - Link

... dài, Antonio, non mettere in imbarazzo l'Andrea.

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kenray

circa 13 anni fa - Link

c'è qualcosa che non capisco Perché ho iniziato a usare le anfore? Tutte le tecnologie provate prima, dopo cinque o dieci anni diventavano obsolete e dovevo modificarle. L’uso dello zolfo nella produzione del vino è stato scoperto dai Romani e ciò significa che la presenza dello zolfo nella viticoltura è antica duemila anni. quella delle anfore e dello zolfo è una tecnologia vecchia di duemila anni, obsoleta parecchio. detto questo gira e rigira alla fine sempre di utero si finisce a parlare. (perchè l'acciaio no? ma se i francesi rompono il cazzo a mitraglia con i loro vinacci bianchi "invecchiati" in silos d'acciaio che non ammettono interferenze tanniche legnose dove sbagliano?) alla fine mi toccherà comprare anche questi vini. da quando sono un modesto frequentatore di intravino il mio budget alcolico è schizzato alle stelle. maledetti. addendum non accalcatevi a rispondere mi raccomando

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Nelle Nuvole

circa 13 anni fa - Link

Ken, fai tanto lo strano ma spesso i tuoi commenti hanno la saggia solidita' di una massaia padana. Il Breg l'ho bevuto una volta sola, a Roma, circa tre anni fa. Ero un insieme ad un tizio, fulminato da poco sulla strada del vino e per fare la sciolta e disinvolta ho scelto questo vino, tanto pagava lui. Che dire? Mi sono sentita come davanti ad un quadro d'avanguardia, avvertivo che c'era qualcosa di estremamente affascinante e speciale ma ero come intimidita. Piu' un'attrazione intellettuale che fisica. La bottiglia l'abbiamo finita e dopo tutti questi anni ancora me la ricordo, qualcosa vorra' dire. Col tipo siamo rimasti amici.

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Mara

circa 13 anni fa - Link

Beata te che ci sei rimasta amica. Mio marito me l'ha proposto due volte e, non avendo un approccio filosofico, gli ho vietato per due mesi di scegliere i vini. Intendiamoci, non potrei definirlo poco buono, ma solamente molto difficile. E' un pò come il pesce crudo, ti basta un aquantità più piccola di quello cotto per saziarti. Così la penso. Ciao.

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Andrea Gori

circa 13 anni fa - Link

ken, vini come questo e altri bio hanno una componente filosofica dietro da conoscere, è molto difficile misurarli con il metro che usiamo per altri prodotti. Quando all'acciaio vedi sopra, non è inerte per niente, tant'è vero che i biodinamici puri usando solo cemento e legno per il vino. Gravner pensa che questa fase non sia una fase ma un approdo definitivo un ritorno alle origini che non poteva che avvenire dopo che "se semo provati di tutto". Sono i vini preferiti degli enostrippati nel bene e nel male, non significa che siano il futuro ma di sicuro sono utili per ragionare sull'idea del vino che abbiamo. vedi ad esempio a milano... http://vinodaburde.simplicissimus.it/2010/11/30/semplicemente_uva_altro_non_il_vino_se_non_la_luce_del_sole_mescolata_con_lumido_della_vite/ Quando a vino = uva + zolfo ricordati le discussioni su dettori al vinitaly. http://www.intravino.com/vino/alessandro-dettori-e-letichetta-trasparente-del-vino/

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Luca Cravanzola

circa 13 anni fa - Link

scusa Gori pero' anche le vasche di cemento non sono inerti per niente.. sono costruite con all'interno una fitta rete di ferro. Il cemento di per se forse è inerte ma le vasche no (il ferro fa da condutture) Quando lavi una vasca di cemento, magari con gli stivali di gomma, si crea un pochetto di elettrostaticità ( o come si dice) e mi è capitato alcune volte di vedere i peletti della maglia che avevo indosso attratti verso le pareti della vasca stessa. Chiaramente non sono un' esperto di elettro-qualcosa ma posso assicurarti che non è inerte al 100%. Quindi, secondo me, la storia dell'inox tutt'altro che inerte è vera ma non "degna di nota" Secondo la tua esperienza incide parecchio?

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gianpaolo paglia

circa 13 anni fa - Link

solo la morte e' inerte. Tanto per sdrammatizzare un po :) sotto Natale...

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Sirk Mitja

circa 13 anni fa - Link

l'uso delle anfore inizia con sperimentazione nel 1997 quando dopo una degustazione di vini bianchi Georgiani di 40-50 anni qualcosa nel produttore è scattato..... lui lo zolfo lo utilizza, anche se in quantità ridottissime, me c'è... anzi afferma apertamente che fare un vino senza SO2 è molto difficile e controproducene... l'acciaio invece sarà si un contenitore molto usato dai tìfrancesi (citerei anche Terlano) che invecchiano i vini tantissimo con grandi risultati ma parliamo di due mondi differenti, quì si ha una permanenza di 4-5 mesi del mosto/vino sulle bucce e poi altri 3-4 anni in botti da 35-40 Hl di rovere.... la complessità e lo stile del vino è un'altro anche se il fine, bere un bianco molto maturo e buono, è il medesimo.... spero di essere stato chiaro....

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Eugenio

circa 13 anni fa - Link

Si, l'intervista è interessante. Si parlava di Gravner con Antonio Boco del Gambero ad una degustazione recente di bianchi macerati dove una sua Ribolla 2004 è stata "impallinata" tra chi non la capiva e chi capiva che non gli piaceva. In effetti le sue ultime interpretazioni lasciano diversi dubbi: vini sottili e lisi, nasi con pungenze alcoliche e rimandi più all'universo whisky. E le sue idee sullo zolfo sono rispettabili ma attaccabili in un secondo: basta stappare una bottiglia di Radikon o di Antonuzi de Le Coste. Ai quali basta la SO2 prodotta naturalmente dalla vinificazione.

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Tomaso Armento

circa 13 anni fa - Link

Davvero in gamba, punta sull'autoctono (solo Ribolla, no cuvèè, al max Pignolo) ora che il mercato vuole quello. Parallelamente riduce il numero di bottiglie, e aumenta le annate in sosta: mai momento fu più opportuno. Cambia quattro volte l'attrezzature di cantina senza mai fallire per arrivare all'anfora: davvero un maestro, vede prima degli altri e continua. Da parte mia solo complimenti, buoni o non buoni probabilmente dei suoi vini non cene sarà mai abbastanza e non si finirà mai di parlarne. Chapeau [da produttore].

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Sirk Mitja

circa 13 anni fa - Link

purtroppo ti sbagli, almeno per quanto riguarda l'amico Radikon.... I risultati senza solforosa non sono all'altezza delle aspettative... infatti i vini non riescono ad avere un'evoluzione adeguata che è la base della filosofia del produttore...

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Cristiano

circa 13 anni fa - Link

Aldilà delle (anche molto) discutibili scelte, beato lui che può permettersi certe cose !

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Eugenio

circa 13 anni fa - Link

Assolutamente. Un monumento per la sua storia e anche solo per aver pronunciato la parola "anarchico". Poi è nel bicchiere, l'anarchico e senzadio per eccellenza, che è tutta un'altra storia. E continuo a preferire i suoi vini pre-anfora.

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Fabio Cagnetti

circa 13 anni fa - Link

Concordo che tra il 1988 e il 1992 i vini di Gravner abbiano raggiunto vette di eccellenza non più ripetute, con la possibile eccezione della Ribolla 1999, anche quella, a ben vedere, pre-anfora. Ma il plauso più grande va alla sua capacità di rimettersi in discussione, di rendersi conto che a partire dal '93 i suoi vini non avevano più quell'armonia e quella finezza che avevano avuto fin lì e qualcosa andava cambiato. Anche a me i suoi ultimi vini lasciano qualche perplessità, l'unica certezza che ho sul suo futuro è che non voglio perderne nemmeno un episodio.

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Eugenio

circa 13 anni fa - Link

Sono con te fino all'ultima goccia...

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Massimo Cattaneo

circa 13 anni fa - Link

Ho assaggiato la sua Ribolla gialla come quella del suo amico/nemico Radikon, sono simili (si arrabbierà sicuramente), complesse, difficili, con un'acidità di base allappante e difficili negli abbinamenti. Forse troppo impegnative per me e per il mio palato. Lode al mito e al bio ma preferisco bere altro.

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Marco Lugli

circa 13 anni fa - Link

Il bio va bene ma bisogna usare lo stesso metro di giudizio. La ribolla di Radikon piace e colpisce per la sua unicità certo, ma sostanzialmente è un vino derivante da belle uve, tanta materia e struttura ma la sorpresa regge sull'ossidazione estrema del vino. Al neofita questo può infastidire, all'"enostrippato" BIO-ADDICT (biologico, biodinamico, naturale...)invece può provocare un orgasmo enogastronomico. L'importante è riconoscere i vini in modo oggettivo; poi subentrano i gusti personali. Io personalmente non li amo, se penso ai vini bianchi che ho più amato (Borgogna, Champagne, Riesling, Sancerre ..) la nota ossidativa non copriva mai la nota varietale dell'uva e del vigneto (terroir) di provenienza. Lo stesso non posso dire per Gravner e Radikon (gli unici da me assaggiati su cui mi esprimo). Poi immaginiamoci se tutti i vini fossero fatti in anfora con colori aranciati, note superossidate...CHE PALLE. Per fortuna qualcuno ha fatto vini di terroir (as esempio Coche Dury, Marc Colin, Marc Morey per i bianchi / Renè Engel, Henri Jayer...ecc. per i rossi). Poi ripeto "DE GUSTIBUS NON DISPUTANDUM EST"

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Nic Marsèl

circa 13 anni fa - Link

"L’importante è riconoscere i vini in modo oggettivo"... secondo me non esiste un modo oggettivo

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Marco Lugli

circa 13 anni fa - Link

un ossidazione in un vino è oggettiva, una riduzione pure. Il dolce, il salato, l'acido, l'amaro e il sapido sono oggettivi. Poi la soggettività sta nel piacere o meno. Esempio. Se bevo un caffè (caffeina) senza zucchero è OGGETTIVAMENTE amaro. Poi mi può piacere o fare schifo (questo è il gusto soggettivo), l'importante però è riconoscere che è amaro.

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Armando Castagno

circa 13 anni fa - Link

Però io che ho vissuto 30 anni sul pianeta CGX4455-9, nono dall'interno del sistema di Antares, il caffè ero abituato a correggerlo con la stricnina, e talvolta con il denatonio benzoato; pertanto, qui sulla Terra, il caffè "senza zucchero" non mi pare una bevanda così amara, anzi.

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Nic Marsèl

circa 13 anni fa - Link

Non è che abbia tanta voglia di filosofare ma l'amaro di quel caffè lo percepirai ogni volta in modo diverso per un miliardo di fattori tra i quali, non ultimo, il fatto che tu stesso non sei la stessa persona della degustazione precedente.

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Marco Lugli

circa 13 anni fa - Link

Non sono assolutamente d'accordo. Se non ci fosserò parametri oggettivi la vinificazione sarebbe guidata solo dal FATO. Inacettabile. Io bevendo uno champagne brut dosato a 10 g/l lo sento molto differente da un extra-brut dosato a 3 g/l. Poi verissimo il fatto che magari prima mi piacciano quelli dosati a 10 e dopo qualche anno quelli dosati a 2. Ma devo ricnonoscerli anche all'assaggio.

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Cristiano

circa 13 anni fa - Link

@Marco-non sono d'accordo: il dosaggio è percepibile in base all'acidità del vino.

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Marco Lugli

circa 13 anni fa - Link

Ok che il dosaggio è relazionato all'acidità ma sulla punta della lingua diventa molto difficile sentire l'acidità mentre è molto facile diventare la dolcezza.

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Nic Marsèl

circa 13 anni fa - Link

@Marco: penserai mica di convincermi con ste argomentazioni...senza offesa me ne sto sulla mia nuvola

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Cristiano

circa 13 anni fa - Link

Ma è l'insieme delle componenti gustative a determinarne il gusto. A vedere bene credo che i parametri analitici, senz'altro importanti siano in realtà solo relativi all'armonia gustativa complessiva.Senza parametri oggettivi potrebbe essere sì come dici tu il fato a determinare il risultato della vinificazione, ma potrebbe anche essere il "gusto" od il palato del vinificatore esperto a sorvegliare il tutto, perchè no ?

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Eugenio

circa 13 anni fa - Link

Sull'ossidazione in Radikon posso in parte concordare sui vini fino al 2003. Poi 2004 e 2005 sono potenti e puliti olfattivamente (Oslavje andrebbe scambiato come segno di pace tra i popoli). Quella della ossidazione (e delle volatili, altra cosa tirata spesso in ballo) è un problema per me relativo: nel senso che nei tanti macerati buoni o è quasi assente o disturba poco rispetto ai pregi. Oppure se, come negli ultimi Gravner, si associa a strutture carenti e forti distorsioni al naso, si parla di vini difettosi tout court. E spesso sono i francesi che lavorano più sull'ossidazione/legnosità che rispettosamente amo poco.

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Massimo Cattaneo

circa 13 anni fa - Link

Ma che discorsi sono: anche ad un neofita può piacere ed anche ad un enostrippato biologico, biodinamico e naturale... può non piacere altrimenti sono pregiudizi di base ancor prima di stappare la bottiglia.

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falletto

circa 13 anni fa - Link

E pensare che il vino italiano è famoso nonostante Gravner o Valentini, se solo aveste un Aubert De Villaine...

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enrico togni viticoltore di montagna

circa 13 anni fa - Link

proprio lunedì sera a cena abbiamo bevuto un bianco di Damjan Podveršič, che dire, non sono nella stagione della vita adatta a capire un vino così, è talmente fuori da ogni schema che o lo ami o lo odi, la parola che usa gravner nell'intervista è perfetta e riassume tutto, anarchico! cmq la chicca dell'intervista è questa: " Cosa c’è di male se mi presento con una mia bottiglia oppure ordino il mio vino? Enzo Ferrari non guidava mica una Porsche!" grande risposta, grande gravner

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gianpaolo paglia

circa 13 anni fa - Link

grande risposta, pero che p....e bersi solo i propri vini.

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Luca Cravanzola

circa 13 anni fa - Link

I vini saranno anarchici ma lui non troppo... Produce tagli bordolesi quando il mercato vuole quelli poi gira tutto in autoctono quando il mercato vuole quelli. Produce chard-sau-reis quando il mercato vuole quei bianchi da quella zona e poi gira tutto in autoctono quando il mercato vuole quelli. In tutto cio' vedo poca, pochissima anarchia. Poi, se il vino lo fa' per "autoconsumo" perchè produrne 35-50 mila bottiglie e quelle che avanzo le vendo? (basterebbe produrne 1000-2000 all'anno per un larghissimo autoconsumo) Poi, ""E’ importante anche un’altra cosa: allora ero convinto che il vino non sia prodotto dall’uomo, ma dalla natura. Ho sbagliato anche in questo caso. Il prodotto primario dell’uva, infatti, non è il vino ma l’aceto"" Benissimo, daccordissimo. Nulla di più vero ma allora adesso tutti ammetteranno che i lieviti sono di cantina e non del vigneto? Ammiro questa tipologia di "anarchici" del vino anche se poi sono produttori come tutti gli altri. Ne più ne meno.Solo fanno vino in modo particolarissimo che loro definiscono naturale. Nulla contro i suoi vini o la tipologia, ma a volte ci vorrebbe la stessa "anarchia" anche nella parte commerciale dell'azienda.

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Nic Marsèl

circa 13 anni fa - Link

Per colpa sua vago da cinque sei anni per il vinitaly alla ricerca del padiglione georgiano, puntualmente indicato in mappa e mai trovato. Leggo sempre con curiosità di Gravner ma non ne ho mai assaggiato un vino : troppo caro per le mie tasche.

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Eugenio

circa 13 anni fa - Link

Di georgiani ce n'erano 3 a ViniVeri. Di vini, non di produttori, e li serviva direttamente uno dei Gargano's della Velier. Cose discrete, addirittura quasi "standard" aromaticamente, Un viaggio più bello mentalmente che per effettiva soddisfazione gustativa. E Gravner è caro ma non sconvolgentemente caro (stiamo sui 45 euro la Ribolla): con un buon gruppo d'acquisto d'amici una volta l'anno si può provare.

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Antonio Tomacelli

circa 13 anni fa - Link

Io ne ho letteralmente "sgargarozzato" uno di recente proprio della Velier e ti dirò che mi è piaciuto un sacco proprio per la pulizia, l'intensità e i profumi. L'unico difetto di 'sti georgiani sono le etichette: talmente complicate che le dimentichi in un amen, acc...!

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Eugenio

circa 13 anni fa - Link

Vero, erano vini di ottima pulizia e intensità di frutto (in particolare uno che aveva un nome che pareva un tipo codice fiscale in aramaico). E forse perché mi aspettavo puzzette e affascinanti velature, non mi hanno fatto scattare la scintilla. Ma sempre di assaggi veloci e un po' isterici si parla a cui dovrò al più presto rimediare (e sembra incredibile, ma si, un paio di posti dalle mie parti hanno i georgiani in carta penso proprio sotto la voce "Reietti").

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Antonio Tomacelli

circa 13 anni fa - Link

Oh, il mio era un rosso, eh! (questo me lo ricordo bene)

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Fabio Cagnetti

circa 13 anni fa - Link

a Cerea 2010 c'era anche un produttore, David Kapanadze (Prince Makashvili Cellar), il cui Tsarapi Grand Cru 2007 era al mio palato nettamente il miglior vino georgiano presente, e, per la mia limitata esperienza sui vini georgiani, anche il migliore in assoluto che abbia mai degustato. Un vino ovviamente privo di difetti evidenti, di grande personalità, e la cui moderata tannicità trovava perfetto equilibrio in una vivida acidità che il profano non penserebbe propria di un bianco sottoposto a lunghe macerazioni.

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Antonio Tomacelli

circa 13 anni fa - Link

Il reparto "reietti" lo trovi in fondo al padiglione della Puglia, dietro l'abruzzo. CI trovi pure quei "poveracci che fanno gli icewine :-)))

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Eugenio

circa 13 anni fa - Link

Si, anch'io parlavo dei rossi. E ricordo, guardando le etichette nel catalogo Velier, che il più buono mi era sembrato quello di Prince Makashvili del chissà-che-diavolo-è vitigno Rkatsiteli. Ma forse è che capivo la parola "Prince" e pensavo alla nobiltà e a Sign O' The Times.

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Fabio Cagnetti

circa 13 anni fa - Link

Rkatsiteli è un vitigno a bacca bianca, e se volessi lanciare una provocazione lo indicherei come il prossimo vitigno internazionale...

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Eugenio

circa 13 anni fa - Link

Si, letto troppo in fretta il catalogo. La nostra "great white hope" è Rkatsiteli e, per completezza d'informazione, il rosso è fatto di Saperavi. Adesso vado dal mio pusher di fiducia e vedo cos'ha...

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Emanuela Tiboni

circa 13 anni fa - Link

Alcuni anni fa mi sono trovata (io per caso) a visitare la cantina di Gravner, condotta dal mio compagno.....un'esperienza unica e non solo per la competenza e la qualità del vino, ma anche per la magia della cantina nella sua struttura e personalità. E' stata un'esperienza nuova, come trovarsi all'improvviso su una nave da trasporto romana, fuori dal tempo e in uno spazio inconsueto.....da ricordare e, se possibile, rivivere. Qualche volta una bottiglia ce la permettiamo anche per questo. Grazie a Gravner

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Josko Gravner

circa 13 anni fa - Link

Ho fatto leggere a Josko i commenti all'articolo sopra riportato, quello che segue è il folgietto che Josko mi ha lasciato sulla scrivania in risposta dopo averli letti ... Filippo Ho letto con grande curiosità i vari commenti... credo che di fondo il problema più grande nel Vino siano le tante parole che si usano attorno al Vino, oggi se ne parla di più di quanto se ne beve, tutto questo ha creato un pubblico addomesticato, un pubblico che beve con gli occhi e con le orecchie... Credo che per giuduicare un Vino bisognerebbe prima berne tanto, non un bicchiere e poi scriverne dei libri come fanno molti giornalisti, seconda cosa bisognerebbe conoscere il contadino che lo produce (non l'imprenditore, non il consulente, non l'enologo....). Io sono soddisfatto del mio lavoro, non mi interessa se i mie VIni di oggi piacciono meno di quelli di un tempo, io dopo 43 vendemmie sono arrivato alla mia sorgente. Josko

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Marossi

circa 13 anni fa - Link

Chapeau.

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Sebastiano

circa 13 anni fa - Link

Siamo stati ad Oslavia da Gravner lunedì 1 Agosto ed abbiamo avuto l'onore di ascoltare e degustare i vini con Josko, dalle anfore, alle botti ed infine anche dalle bottiglie per completare il ciclo. Leggendo questa intervista sono di nuovo ritornato emotivamente in cantina con Josko. Sebastiano e Marina

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