Premio Giulio Gambelli: sono questi gli enologi del futuro?

di Andrea Gori

Terminati gli assaggi dei 74 vini finalisti del Premio Giulio Gambelli, è giunto il momento di trarre qualche conclusione prima ancora di conoscere il vincitore (si saprà solo il 19 Febbraio). Ricordiamo che al concorso erano ammessi vini da tutta la penisola prodotti da enologi under 35, ovvero, i probabili protagonisti degli anni a venire.

Curiosamente registriamo pochissimi candidati dalla patria di Gambelli, la Toscana, forse per timore reverenziale o perchè è una regione nella quale c’è poco spazio per i giovani. Tante presenze, invece, dalla Romagna, Marche, Piemonte e Abruzzo.

La selezione era aperta a vini spumanti, bianchi e rosati e questo, unito al fatto che non fosse limitata alla Toscana e al Sangiovese, ha reso necessaria prima delle degustazione dei vini una introduzione per definire lo stile del vino gambelliano.

Ancora prima di giudicare un vino in termini di punteggio (da 7 a 10 inclusi mezzi punti) i membri della giuria (Kyle Philips, Aldo Fiordelli, Stefano Tesi, Francesca Pinochi, Marco Gemelli, Carlo Macchi, Roberto Giuliani, Paolo Valdastri) erano infatti tenuti a decretarne l’aderenza allo stile di Giulio Gambelli.

Ecco come ha introdotto il concetto Carlo Macchi:

Da questo punto di vista, tranne che in pochi casi, i vini si sono dimostrati molto rispettosi del vitigno e spesso anche del territorio con un legno di barrique quasi assente. Il maggior problema in questa degustazione è stata senz’altro la pulizia, primo aspetto fondante del pensiero di Giulio che non tollerava puzzette nè in cantina nè in bottiglia. Qualcosa di rivoluzionario 40 anni fa e che oggi torna prepotentemente di moda viste le polemiche su Intravino della scorsa settimana. All’interno dei 74 vini in concorso, anche qualche epigono della “naturalità” variamente detta che ha finito con il dividere la commissione perchè apparso più attento alla moda che al vitigno o al territorio. Al contrario interpretazioni disinvolte come un Nebbiolo spumantizzato in rosato hanno mostrato rispetto e passione.

Elementi confortanti sono da ricercare nei terroir e nelle loro espressioni: i giovani enologi italiani partecipanti sono riusciti a far emergere, quando presenti, storia e tradizione (Barbaresco, Lessona, Bramaterra, Montalcino, Roero, Etna, Valtellina) rinunciando agli effetti speciali e producendo vini più semplici e diretti. Insomma, il vinone sempre e comunque pretenzioso sembra un ricordo del passato e quelli presentati al concorso sono vini che nascono davvero dal territorio e dal vitigno senza che la visione enologica li renda simili e omologati. Più che la precisione conta il terroir, ma questo cambiamento richiederà anche un rimodellamento della prospettiva critica e comunicativa non da poco.

Che sia questa la vera eredità del Maestro? E se sì, ne sarebbe contento?

La lista degli enologi in gara:
Claudia Galterio, Matteo Bertè, Mattia Filippi, Luca Faccenda, Erik Dogliotti, Fabio Rossi, Elena Fucci, Paula Cook, Sieghard Vaja, Rocco Vallorani, Arianna Occhipinti, Marta Rinaldi, Dino Dini, Angelo Molisani, Francesco Bordini, Fabrizio Torchio, Gabiele Gadenz, Davide Fasolini e Cristiano Garella.

Foto credits: montalcinonews.com

Andrea Gori

Quarta generazione della famiglia Gori – ristoratori in Firenze dal 1901 – è il primo a occuparsi seriamente di vino. Biologo, ricercatore e genetista, inizia gli studi da sommelier nel 2004. Gli serviranno 4 anni per diventare vice campione europeo. In pubblico nega, ma crede nella supremazia della Toscana sulle altre regioni del vino, pur avendo un debole per Borgogna e Champagne. Per tutti è “il sommelier informatico”.

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