Uliassi Lab 2018, l’Adriatico al potere

Uliassi Lab 2018, l’Adriatico al potere

di Andrea Gori

Sgombriamo subito il campo da qualsiasi equivoco dicendo che il menu “Uliassi Lab 2018” è tra i migliori al mondo che potete trovare questa estate per creatività e capacità di suscitare i migliori istinti goderecci. Una carrellata di piatti che dipingono un magnifico crescendo, una sequenza mirabile di colpi di genio, scelte audaci ma anche tanta voglia di casa, di terra, di mare, di “adriaticità” vissuta da ogni angolatura.

Non ha paura di osare anche nelle frattaglie e nei gusti forti e non certo adatti a tutti come già ha fatto più volte (vi ricordate il fosso?) ma, alla fine, il bello è che tutto quello che ti sbatte in faccia, per quanto brutale possa sembrare all’inizio, richiama esattamente il ricordo limbico ancestrale che hai di quello che stai mangiando e sperimentando.

Ingresso tra ricordi e classici di casa con il Wafer di foie gras e nocciole, la Finta oliva ascolana con mandorla e un magnifico Crostino alici burro e tartufo che danno comunque la cifra stilistica di quello che seguirà tra classicismo eseguito alla perfezione, finzioni sceniche mai fini a se stesse e precisione millimetrica nella realizzazione.

C’è una carta di vini al bicchiere (senza troppe sorprese), nessun percorso di abbinamento ai piatti e in pratica “solo” la bellissima e ricca carta dei vini dove in certe zone piacerebbe trovare più profondità di annate e appunto proposte più legate ai menu. Sono dettagli certo ma secondo noi la famosa terza stella (fosse per la cucina saremmo ben oltre di già) tarda ad arrivare anche per questi motivi.

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Il “lab” vero e proprio inizia con Gambero rosso crudo e spremuta di testa di Gambero e fingerlime un concentrato di umami e sensazioni marine dove dolcezza e note di tartufo sono continuamente ravvivate dall’acidità del limone per un gioco che dura a lungo nel palato, eventualmente prolungabile all’infinito se giocate di abbinamenti delicati e suadenti come con il bellissimo Verdicchio che abbiamo scelto per accompagnare il pasto.

Il Priore 2016 Verdicchio dei Castelli di Jesi I Frati Bianchi di Sparapani ha note di salvia e timo, poi note marine e floreale bianco tra tiglio e gelsomino, elicriso, meringa e vaniglia. Bocca acida, fresca ed essenziale, si srotola pian piano regalando ad ogni sorso emozioni che assecondano i piatti chiudendo con un tocco di mandorla tostata incantevole.

In realtà si rivela un grande tuttofare perchè oltre che su questo piatto sa esaltare la rucola per contrastare la triglia e il suo sugo quasi di carne per intensità e persistenza sui paccheri a chiusura del menu e sui quinto quarto di mare, non finendo di stupire nemmeno sul predessert di fragole cardamomo e meringa. Difficile trovare una tipologia di vino più capace di abbinarsi a tavola di questa.

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Arriva quindi uno degli highlight della giornata, il piatto che vorresti avere sempre pronto accanto a te in una schiscetta a qualsiasi ora del giorno o della notte e in qualsiasi compagnia, ovvero, il Pancotto, mandorle e ricci ghiacciati dell’amico Roberto Petza. È una sorta di biancomangiare salato, iodato e affumicato con continui rimandi dolci, con lo iodato che scopre con la mandorla una nota terrosa di argilla a sottolineare una dolcezza perfettamente calibrata tra riccio e pancotto. In realtà, pur essendo un piatto da mangiare con il cucchiaio a grandi boccate, ha anche una bellezza delle singole parti e colori con un uso importante di verdure e alghe.

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Eccoci ad uno dei primi schiaffi al sistema limbico ovvero il Benvenuti al mare, con interazione e lavoro pratico del cliente che deve agitare con una mini frusta il brodo per mettere in sospensioni gli elementi che ricreano tutta l’emozione e la magia del mare all’interno di una conchiglia di splendida madreperla ovvero anemoni di mare, alghe disidratate e cozze. Difficile l’abbinamento ma anche qui il Verdicchio o altro vino che nasca fronte mare non può che duettarci piacevolmente a patto che la sua struttura sia lieve e non mossa.

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Arriva una bella concessione alla classicità e alla scuola di hotellerie con la Sogliola alla maître d’hotel, servita impanata e fritta con spinaci, burro e prezzemolo, basilico in polvere tritati e spalmati sul piatto in croce. Il trito è così fino che riesce a tirar fuori un tocco di amaro del basilico che si aggiunge allo spinacio e il tutto viene bilanciato da una collinetta di burro montato a neve. La ciliegina è qui però il Verdicchio che trasmuta in dolcezza sottile e dinamica i tocchi amarognoli rendendo ogni boccone una scommessa nuova. Un piatto magistrale di alta classe e ispirazione francese, ma realizzazione di pancia italiana.

Eccoci al secondo schiaffo, ovvero Il mare dentro con  tutto quello che avete sempre desiderato mangiare del mare ma non avete mai osato chiedere: trippa di baccalà, rana pescatrice, cuore di rombo e fegato di seppia serviti con acetosella, rabarbaro e menta. Il piatto è magnifico e difficilmente descrivibile senza usare iperboli e mugolii di piacere, il suo eccezionale salmastro è stuzzicante nel midollo e ha un fascino viscerale sotterraneo e sottomarino che si riverberano nel tripudio di sapori al limite del trash, ma sempre supportati dalle trame delle erbe aromatiche. In primis il fegato di seppia svetta sul resto ma ci vorrebbero un piatto di ciascuno per andare davvero a fondo. Di certo l’insieme è sublime.

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Sublime anche il piatto, o meglio, l’esperienza successiva: Acqua di insalata, pane e lumache composto da acqua dell’insalata estiva con cetriolo sedano e un gelato di mallo di fave (esatto la buccia pelosa verde e spugnosa che contiene le fave stesse), pane croccante e lumache in cui l’acqua ricorda una panzanella toscana e rinfresca e assorbe la nota selvatica della lumaca, perfetta per consistenza e sapore. Hai come l’impressione di essere quella lumaca a spasso nell’orto a cogliere prelibatezze poi all’improvviso cambi prospettiva perchè la lumaca la stai mangiando adesso. Al contempo, è come se mangiando quella lumaca ne assorbissi esperienze e sapori dell’orto stesso: piatto psichedelico e incantevole al tempo stesso.

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Arriva un extra carta molto gradito, il Crudo di ricciola e scampi alla puttanesca con capperi, acciughe in micropezzetti e oliva, velo di pomodoro, origano. Un piatto fatto di trattini da unire con il palato che vanno a comporre una sinfonia innata di umami mediterraneo. Si arriva senza avvertire stanchezza e pesantezza (anche se si esagera con il pane e il burro infuso di acqua di ostriche) al “primo” ovvero i Paccheri au beurre blanc, triglie e fegato di triglie, un piatto ricco e speziato, quasi di carne per intensità e struttura, un altro schiaffo ben assestato ma che giunge al momento opportuno.

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La triglia viene nascosta nel pacchero e spunta fuori fondendosi al prezzemolo che a stento riesce ad alleggerire la grande presenza scenica e gustativa del sugo di riduzione della triglia. Un altro capitolo nella vivisezione gustativa e culturale di questo meraviglioso pesce dei nostri mari.

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Il menu Lab prevede a questo punto la scelta come piatto principale tra Mare e Selva e ci buttiamo senza esitazioni sulla selva ovvero il Colombaccio alla marchigiana e crostone con le sue interiora, un insieme di burrosità, grassezze e senso palpabile di rusticità e passione, un coacervo di aromi intensi e speziato che culmina nel crostino con i suoi fegatini, dove il finocchietto anima la festa spezzando il grasso nei posti giusti per farcelo assaporare appieno. E poi questo petto così carnoso cotto al giusto punto di rosso rianima il Grand Cru Ambonnay di Beaufort alla perfezione.

Andrè Beaufort Champagne Ambonnay Reserve Grand Cru, uno dei campioni della biodinamica nella regione, con un chiaro e netto profilo ossidativo importante e ricco che ne ha fatto la fortuna: canditi e mele cotte, zafferano e ginger, miele di eucalipto e ribes bianco, acidità importante ma non aggressiva al palato dove i ritorni fruttati bianchi e rossi si fanno importanti e decisi fino alla vinosità più carnosa. Vino che non vuole piacere a tutti ma che si rivela eccezionale sui piatti più corposi e ricchi del menu, non certo su crudo e pesce delicato.

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Siamo ai pre-dessert e ce lo gustiamo senza problemi di coscienza anche perché così finiamo il Verdicchio e lo usiamo per resettare e rinfrescare il palato in maniera elegante. Tutto necessario per godersi al meglio il dolce, lo Squacquerone, cioccolato bianco, camomilla e granita di sedano, polline d’ape, un piatto meraviglioso che potremmo inserire in qualsiasi punto del menu perché ha un vegetale intenso, fresco eppure cremoso, con il polline a impreziosire e intensificare i rimandi gialli della camomilla e un sedano che tonifica il morso e alleggerisce la coscienza.

Ci si alza rinfrancati proprio nella coscienza di avere assistito ad un concentrato di bellezza ricerca e passione, ma ovviamente, si rimarrebbe sotto questa veranda all’infinito, a contemplare il mare per tutta la notte aspettando l’alba del giorno. Tanto le stelle, a questi livelli, ci interessano ben poco.

Andrea Gori

Quarta generazione della famiglia Gori – ristoratori in Firenze dal 1901 – è il primo a occuparsi seriamente di vino. Biologo, ricercatore e genetista, inizia gli studi da sommelier nel 2004. Gli serviranno 4 anni per diventare vice campione europeo. In pubblico nega, ma crede nella supremazia della Toscana sulle altre regioni del vino, pur avendo un debole per Borgogna e Champagne. Per tutti è “il sommelier informatico”.

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