Vini rosati nel mondo: due o tre cose sorprendenti che ho saputo di loro

di Pietro Stara

L’ultimo report di FranceAgriMer sul consumo dei vini rosati nel mondo è davvero interessante. L’anno di riferimento è il 2012, ultimo in termini di dati disponibili. La sintesi introduce la difficoltà di definire in maniera certa una produzione mondiale dei vini rosati poiché in alcuni paesi le statistiche propongono degli aggregati sul colore dei vini che suddividono i rossi e i rosati da una parte e i vini bianchi dall’altra. L’incrocio delle differenti fonti permetterebbe, comunque, di ottenere delle stime affidabili.

I dati rilevanti per punti:
Produzione.
1. La produzione mondiale di vini rosati si attesta intorno a 22, 8 milioni di ettolitri: circa il 9% della produzione complessiva di vino che è pari a 252 milioni di ettolitri.
2. La Francia rimane il più grande paese produttore e consumatore di vini rosati al mondo. Stiamo parlando di 6,3 milioni di ettolitri, di cui l’A.O.P. (Appellation d’origine protégée) figura con oltre il 40% della produzione complessiva. L’Italia è il secondo paese produttore di vini rosati con 4,6 milioni di ettolitri.
3. Seguono a ruota gli Stati Uniti con 3,3 e la Spagna con 2,3 milioni di ettolitri. Nel complesso i quattro paesi citati coprono l’80% della produzione totale dei vini rosati nel mondo. La Spagna è seguita dalla Germania e dal Sud Africa a cui si aggiungono, a breve distanza, Cile, Argentina ed Australia.
4. Vi sono, poi, alcuni stati, come l’Uruguay (settimo) e la Tunisia (quattordicesimo) che investono, da tempo “immemore”, la loro produzione in vini rosati.

Zucchero e colore.
1. La metà della produzione si attesta su vini rosati secchi calcolata per un residuo zuccherino inferiore ai 4 g/L.
2. I vini rosati dolci, con residui zuccherini superiori ai 20 g/L, da cui la dicitura “blush” (arrossire, arrossimento) sono prevalenti negli Stati Uniti, anche se hanno perso quote del mercato a discapito dei rosati “abboccati”.
3. La gamma dei colori dei vini rosati è molto varia (da rosa tenue al buccia di cipolla). Prevale una tendenza produttiva sui colori tenui, con bassi residui zuccherini.

Consumi.
1. I Francesi consumano il 36% della produzione mondiale (8,1 milioni di ettolitri), con un incremento tre volte superiore rispetto al 1990. Nel consumo di vino interno, il vino rosato rappresenta il 27% del consumo totale.
2. Gli Statunitensi sono secondi con 2,9 milioni di ettolitri (13%)
3. La Germania si attesta terza con il 7% del totale, mentre Italia e Regno Unito sono, ognuno, al 6% del consumo totale. Ma vi è una differenza tra i due: in Italia il consumo di vino rosato segue il calo generale della produzione e del consumo del vino. Nel Regno Unito la tendenza è opposta. La Spagna è al 3%; Russia e Paesi Bassi rispettivamente al 2%.
4. Uruguay e Tunisia sono consumatori dei rosati locali, che sono anche i vini più bevuti nei rispettivi stati. Nel primo si parla del 60% del consumo totale. Per il secondo, la Tunisia, si arriva fino al 75%.

Importazioni.
1. Il più importante importatore di rosati è la Francia (28%) seguita dal Regno Unito (19%), dalla Germania (12%), dai Paesi Bassi (8%), dal Belgio (8%, dalla Russi (3%) e dal Canada (2%).
2. L’80% dell’importazione di vini rosati spetta al continente Europeo.
3. La Germania è stabile negli acquisti ad almeno 10 anni.
4. I paesi Bassi e il Regno Unito hanno triplicato le importazioni di vino rosato in dieci anni.
5. Il Belgio ha incrementato le importazioni del 60% nello stesso arco di tempo.

Esportazioni.
1. L’Italia è il più grande esportatore di vini rosati al mondo: 3,5 milioni di ettolitri nel 2012 pari al 42% dell’export totale.
2. Il primato italiano parte dal 2006 e arriva sino ad oggi.
3. La Spagna è il secondo grande esportatore di rosati (20%).
4. La Francia è il terzo (12%) e gli Stati Uniti il quarto (8%).

Conclusioni non perentorie.
La richiesta di vini rosati è in crescita tanto che influenza i colori di altre bevande: in Francia si producono comunemente birre, pastis, B.A.B.V. (si intende una bevanda ottenuta da vino nuovo ancora in fermentazione, da vino atto a diventare vino da tavola, da vino spumante o da vino frizzante che ha subìto una aromatizzazione ed una eventuale dolcificazione) e sidro declinati nel colore rosato.
Attendiamo impazienti.

avatar

Pietro Stara

Torinese composito (sardo,marchigiano, langarolo), si trasferisce a Genova per inseguire l’amore. Di formazione storico, sociologo per necessità, etnografo per scelta, blogger per compulsione, bevitore per coscienza. Non ha mai conosciuto Gino Veronelli. Ha scritto, in apnea compositiva, un libro di storia della viticoltura, dell’enologia e del vino in Italia: “Il discorso del vino”.

10 Commenti

avatar

maurizio gily

circa 10 anni fa - Link

Il fatto che l'Italia sia il primo esportatore e la Francia il primo consumatore traccia un itinerario abbastanza chiaro del rosato venduto sfuso. La forza del rosato in Francia, dove ha superato il consumo di bianchi oramai anche in valore e non solo in volume, è stata la forte identificazione con una regione, la Provenza, che ha puntato tutto sulla tipologia. In Italia questo non c'è, se non per aree molto piccole come la Valtenesi sul Garda lombardo. Per lo più il rosato è un vino di completamento di gamma e mai considerato un cavallo vincente. http://millevigne.it/index.php/il-periodico/59-n-4-luglio-agosto-2012/economia/111-vini-rosati-in-francia-e-boom-l-italia-ci-crede-a-meta

Rispondi
avatar

armin kobler

circa 10 anni fa - Link

in italia nell'immaginario di tanti, soprattutto della categoria "te lo dico io", il rosato per definizione non può essere un vino serio. infatti alle degustazioni arrivando al rosato storciano il naso e dicono: "no, passiamo direttamente alla riserva." in corrispondenza a ciò le vendite del rosato tramite distributore e ristoratore/enotecario vanno così così. se invece le persone vengono in azienda lo vendo in automatico come gli altri vini: 1/3 bianco, 1/3 rosso, 1/3 rosato. cosa fare per migliorare l'immagine in italia?

Rispondi
avatar

Giuseppe

circa 10 anni fa - Link

il rosato secondo me non ha nulla a che vedere,con la tradizione italiana di fare vino. Il rosato è stato una grande invenzione dei francesi, perchè l'uva non arrivava mai alla maturazione necessaria per produrre vini importanti. il vero vino rimane e rimarrà sempre il rosso........

Rispondi
avatar

Angelo Peretti

circa 10 anni fa - Link

è una barzelletta, vero? dai, ditemi che è una barzelletta

Rispondi
avatar

Il chiaro

circa 10 anni fa - Link

Forse è una barzelletta, ma secondo me Giuseppe esprime nel modo sbagliato un concetto quasi giusto. Il vino ovviamente non è solo rosso, ma di vini buoni e interessanti rosati ce ne sono ancora pochi rispetto al panorama nazionale. E parlare di Garda Bresciano, facendo riferimento al Chiaretto, per portarlo ad esempio di qualità significa avere un'idea "strana" di qualità. Sempre imho naturalmente.

Rispondi
avatar

bruno

circa 10 anni fa - Link

.credo che lo sia!!!!

Rispondi
avatar

armin kobler

circa 10 anni fa - Link

ecco, ci siamo di nuovo.

Rispondi
avatar

matteo

circa 10 anni fa - Link

Giuseppe scusa ma non sono per niente d'accordo con te..in primo luogo ci sono molte regioni italiane che hanno una grande tradizione di vini rosati: Abruzzo, Salento, zona del Lago di Garda (solo per citarne alcune). In secondo luogo le zone tipiche dei rosati in Francia hanno quasi tutte clima mediterraneo e asciutto e non penso che abbiano mai avuto problemi di maturazione di uve (forse nella "piccola glaciazione" del '600 ma non ho dati in proposito). Quello che so per esperienza personale è che vinificare in rosato (come Dio comanda!)è veramente una sfida non indifferente: bisogna scegliere il vitigno giusto prima cosa (in base a quadro acido, fenolico e dotazione aromatica), scegliere il momento giusto della raccolta(bastano pochi giorni di anticipo per ottenere un vino "serb" come diciamo in Piemonte, cioè acido, verde.. e pochi giorni di ritardo per avere un vino eccessivamente alcolico o scarso in acidità e quindi di freschezza) e le uve devono essere SANISSIME. Ma le difficoltà sono solo all'inizio: occorre stare molto attenti alla fase di pressatura (se si decide di fare la pressatura diretta delle uve) per non estrarre troppo colore e non è per niente facile prevedere come resterà dopo le fermentazione. Se si effettua la tecnica del "salasso" invece, (sgrondare del mosto da una vasca in fermentazione con le bucce) tocca stare attenti a non estrarre dei vinaccioli che rendono il vino eccessivamente tannico.. e ce ne accorgiamo troppo tardi! E ci sono infiniti problemi anche nelle fasi successive (malolattica o non malolattica??), chiarifica (farla? con cosa?come?)conservazione (il colore dei rosati è fragilissimo), imbottigliamento... Comunque per farti cambiare idea ti consiglio di assaggiare "il Mimo", rosato dell'azienda Cantalupo o il Monferrato Ciarét "zerolegno rosé" di Gaudio oppure...ti consiglio un viaggio in Provenza (in particolare la zona di Tavel") o in Languedoc Roussillon!

Rispondi
avatar

Eretico Enoico

circa 10 anni fa - Link

Ammetto imbarazzo nel leggere dei post di presunti conoscitori ed amanti del vino e gioia nel leggere Matteo ed Armin. Fare un rosato ,oltre ad essere una tradizione in alcune zone,e' certamente un lavoro vitivinicolo non semplice e farne uno eccellente e' una arte che non si improvvisa. Ancora oggi molti appassionati sedicenti esperti non sanno distinguere o definire un rosato o un "orange" e figuriamoci se sono in grado di fare enocultura in quel senso... A coloro che indica il solo rosso come vino vorrei suggerire di assaggiare la magia di un buon Tavel o di un Bandol rose' ed il alternativa farò un nome della Valtenesi ovvero il chiaretto " la moglie ubriaca" di La Basia ( Garda bresciano ) . p.s. I nomi rose' italici naturali o non convenzionali sono diversi e dal Garda scendendo in Abruzzo ,saltando in Sardegna e veleggiando verso la Sicilia per approdare il Salento.

Rispondi
avatar

Andrea Pagliantini

circa 10 anni fa - Link

Durante le fasi della vendemmia 1990, riuscimmo a convincere la proprietaria dell'azienda presso la quale all'epoca lavoravo di creare un vino diverso che si mettesse in mezzo fra il Chianti Classico e il Bianco Val d'Arbia. Arrivammo al compromesso che sarebbe dovuto uscire dalle viti e dall'uva messe nelle posizioni meno felici, ma invece, quando si trattò di realizzare il primo rosato aziendale feci di testa mia salassando quelle che a rigor di logica e di bicchiere erano le uve provenienti dalle zone migliori destinate a far leccare i baffi e i palati di tanti assaggiatori. Dopo la diraspatura e la sistemazione dell'uva in una vasca di cemento con l'uva colta di mattina e con temperatura piuttosto bassa aspettavo la macerazione e il colore che più mi piaceva andando ogni venti minuti all'assaggiavino per vedere la toanlità e i profumi che ne uscivano. Non ricordo i tempi, ma al momento che colore e profumi mi soddisfacevano vennero tolti per salasso da due vasche sui 45 hl di mosto e trasferiti immediatamente in una botte da 37 hl e una vaschetta di cemento da 10, ovviamente scolme. Per il tempo che servi alla fermentazione non ci furono nè aggiunte di lieviti, nè controllo della temperatura. A memoria mi sembra che la fermentazione lentissimamente e senza soste si prolungò per una ventina di giorni, più tardi magari ricontrollo gli appunti dell'epoca per pura curiosità, quindi il rosato venne travasato dalle fecce e messo tutto nella botte e in qualche damigiana aggiungendo 4 g/hl di metabisolfito. Rimisi volutamente nella botte un paio di secchi di fecce fini e li tutto rimase fino alla fine di febbraio, colmando la botte con il vino rosso con cui venivano colmate tutte le altre, fin quando, verso la fine di febbraio il vino venne travasato e refrigerato a meno 3 per evitare odiosi sedimenti di tartrati nelle bottiglie. Rimesso in botte con due g/hl di metabisolfito e imbottigliato ai primi di aprile senza che avesse svolto la malolattica, iniziando a mandare dei campioni in giro dopo qualche decina di giorni. Freschissimo di fragola, mirtillo, lampone, ciliegia, sorretto da una bella acidità, in breve le circa 5000 bottiglie fecero come il vento e da allora il rosato venne prodotto ogni anno. All'epoca, se la memoria non mi inganna, nella zona del Chianti Classico fra i pochi rosati gustosi c'erano quello di Badia a Coltibuono e di Volpaia. A novembre del 2013 ho riesumato una di quelle bottiglie di rosato del 1990 ed è stata stappata davanti ad un arrosto girato nel camino. I presenti ancora si ricordano la bontà e la raffinatezza di quel vino tenuto insieme dall'acidità e con dei risvolti di sottobosco e umidità che nessuno si potrà dimenticare. Questo per dire che il rosato, oltre ad essere un vino che da ossigeno all'azienda per la sua breve permanenza in cantina, è un signor vino che merita attenzione e rispetto. D'estate, accanto a prosciutto buono e popone è sempre meglio che assistere ad una messa cantata in latino.

Rispondi

Commenta

Sii gentile, che ci piaci così. La tua mail non verrà pubblicata, fidati. Nei campi segnati con l'asterisco, però, qualcosa ce la devi scrivere. Grazie.