Un Sauternes solidificato come un piccolo sole in miniatura trascinato da sette ippocampi

di Pietro Stara

Se non ci avesse scritto sopra Leonardo Sciascia, nel lontano 1971, forse sarebbe ancora più sconosciuto di quello che non è già: Raymond Roussel morì a Palermo, nella stanza 224 del Grand Hotel delle Palme, il 14 luglio del 1933. Scrittore, drammaturgo, poeta, ispiratore suo malgrado e in sua assenza di patafisici, surrealisti, scrittori automatici e rocamboleschi, Roussel non ebbe mai in vita quella fama che neppure la morte gli elargì a piene mani. Geniale nella scrittura, come rammenta uno scritto postumo “Come ho scritto alcuni miei libri”, in cui Raymond Roussel svela le sue tecniche compositive.

Il procedé è costituito da due operazioni successive, molto diverse tra loro, e generalmente riconosciute e variamente denominate dai principali critici:
A) Creazione di frammenti di materiale narrativo (parole-chiave) mediante procedimenti di manipolazione del linguaggio.
B) Assemblaggio di queste unità linguistiche mediante collegamento logico di gruppi di esse, che costituiscono brevi fabulae da “infilzare” nel tessuto connettivo di una cornice narrativa (Andrea Martines, La letteratura combinatoria).

«Sceglievo due parole quasi simili (sul tipo dei metagrammi). Per esempio billard [biliardo] e pillard [predone]. Poi vi aggiungevo parole simili ma prese in due sensi differenti, e ottenevo così due frasi quasi identiche. Per quanto riguarda billard e pillard le due frasi che ottenni erano queste:

1. Les lettres du blanc sur les bandes du vieux billard…
2. Les lettres du blanc sur les bandes du vieux pillard…

Nella prima, lettres [lettere] era preso nel senso di “segni tipografici”, blanc [bianco] nel senso di “gesso” e bandes [bande] nel senso di “sponde”: “le lettere tracciate col gesso bianco sulle sponde del vecchio biliardo”. Nella seconda, lettres era preso nel senso di “missive”, blanc, nel senso di “uomo bianco” e bandes nel senso di “orde guerriere”: “le missive inviate dall’uomo bianco a proposito delle orde del vecchio predone”. Trovate le due frasi, si trattava di scrivere un racconto che potesse cominciare con la prima e finire con la seconda. «Dalla soluzione di questo problema ricavavo tutti i materiali.» Poi la sintesi e la tecnica combinatoria.

Perché, dunque, dovrebbe esserci un’attenzione vinosa ai suoi scritti? Nel suo testo più famoso, Locus Solus, pubblicato nel 1914, in cui si narra delle scoperte del dotto amico, l’eminente Martial Canterel, si giunge circa a metà del racconto, proprio nel bel mezzo del terzo capitolo, ad una creazione a dir poco stupefacente: l’aqua-micans. Simile a fluido diamante, sembrava soddisfare le esigenze delle gole assetate: il maestro ne bevve tre bicchieri, la cui eccessiva ossigenazione gli procurò un’ebbrezza particolare. Fu a quel punto che il maestro volle aggiungere all’ebbrezza del liquido scintillante, l’ubriachezza del vino: «Si fece portare dunque un Sauternes molto forte e cominciò a riempirne il bicchiere che aveva appena adoperato; ma sul fondo rimaneva un po’ d’acqua, e il maestro, vedendo il primo fiotto di vino bianco mutarsi immediatamente in un blocco compatto, si fermò; il bizzarro liquido prestava la sua prodigiosa luminosità al nuovo solido immerso, che, per la sua tinta, assumeva uno sfolgorio di sole. La composizione dell’aqua-micans impediva ogni mescolanza dei due liquidi, e un’improvvisa ossigenazione determinava l’indurimento del vino. Canterel palpando con le dita il blocco lo trovò molto malleabile. Tralasciando l’esperimento di duplice ubriacatura, poco prima concepito, formulò un progetto basato sulla docile elasticità del vino solido e sulla sua irradiazione solare.»

Il dotto Canterel si stava occupando, da un po’ di tempo a quella parte, di abituare certi pesci di mare a vivere nell’acqua dolce, attraverso una lenta desalinizzazione del liquido nativo, che veniva puntualmente sospesa ogni qualvolta si fosse presentato un minimo disturbo organico nei soggetti in causa. Il primo successo Canterel lo ottenne con un piccolo gruppo di ippocampi: sette su dieci si adattarono egregiamente all’acqua dolce. Si era promesso, in seguito, di immergere gli ippocampi nel grande diamante e di addestrarli a trainare la sfera formata da Sauternes solidificato, che grazie ai riflessi dell’aqua-micans avrebbe avuto l’aspetto di un piccolo sole in miniatura. «Il maestro giudicò degno di interesse lo spettacolo del Sauternes solidificato al contatto dell’aqua-micans e decise che solo all’ultimo minuto avrebbe versato la razione intrusa; addestrò gli ippocampi a dare essi stessi forma al globo solare, comprimendo tutti insieme con il fianco sinistro convenientemente appiattito da uno strato di cera dello stesso colore, i pezzi informi che venivano propinati loro. Non appena l’addestramento ebbe la riuscita desiderata, come pure la saldatura dei blocchi che non lasciò alcuna traccia, Canterel abituò i suoi allievi prima ad abbandonare d’un colpo la loro sfera, poi a piazzarsi rapidamente su una sola fila, in modo che le coperture metalliche dei setoni, incollandosi una a fianco dell’altra al piccolissimo astro bloccato quasi al volo nella sua lenta caduta, potessero formare un regolare e corretto tiro a sette. Infine insegnò loro ad effettuare, a un segnale, il percorso stabilito, gareggiando per superarsi mutuamente.»

I cavallucci marini a cui spettava un nome latino in ordine numerico ed un colore basato sulle screziature dell’arcobaleno, in un equilibrio tra la somma dei privilegi accordata ad ognuno di loro e le rispettive capacità, avevano così ottemperato all’obbligo di trainare quel Sauternes solare conservando, eternamente, gli stessi numeri di fila.

[Immagine: Filhot.com]

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Pietro Stara

Torinese composito (sardo,marchigiano, langarolo), si trasferisce a Genova per inseguire l’amore. Di formazione storico, sociologo per necessità, etnografo per scelta, blogger per compulsione, bevitore per coscienza. Non ha mai conosciuto Gino Veronelli. Ha scritto, in apnea compositiva, un libro di storia della viticoltura, dell’enologia e del vino in Italia: “Il discorso del vino”.

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