Un altro Trebbiano è possibile e qui facciamo pure qualche nome

di Redazione

Marina Ciancaglini ha contribuito all’organizzazione di Trebbiano – Un grande bianco italiano, manifestazione svoltasi a Firenze mercoledì 11 giugno, e ha scelto per noi alcuni tra gli assaggi più significativi.

Diciamolo chiaramente: il trebbiano è un vitigno un po’ sfigato, considerato alla stregua di un mulo da lavoro, produttivo, mediamente resistente, acido poco meno di un limone e neutro come uno shampoo dal ph di 6.5. Usato, nella maggioranza dei casi, come uva da taglio in molti disciplinari, oltre che presente nel tradizionale Vin Santo.

C’è da dire, a onor del vero, che quello che è considerato da molti il miglior bianco italiano è il Trebbiano d’Abruzzo di Valentini ma, amato e odiato che sia, fa regola a sé, come l’altra mosca bianca di Emidio Pepe.

In realtà, la parola trebbiano indica una famiglia di varietà spesso molto diverse tra loro: quello di Toscana, d’Abruzzo, il romagnolo, il modenese, di Soave, lo spoletino, il trebbiano giallo, mentre in Francia è conosciuto come ugni blanc. La numerosità di questa famiglia lo porta a essere il secondo vitigno più diffuso in Italia, dopo il sangiovese.

A me il trebbiano piace. Non è sempre anonimo e in questi anni ho incontrato vini che mi hanno folgorato e che mi hanno fatto nascere una domanda. Può una presunta neutralità varietale trasformarsi nello specchio eccellente di un determinato territorio e in una cartina di tornasole del lavoro in vigna e delle tecniche di vinificazione?

Facendo una panoramica, seppur parziale, tra alcuni trebbiani, in purezza o in forte prevalenza, se ne riesce a trarre una una fotografia determinata da molti fattori, quali condizioni pedoclimatiche, età delle vigne, periodo di vendemmia (soprattutto in Toscana, veniva vendemmiato insieme al sangiovese, non considerando che ha un maturazione più tardiva) e vinificazione, che riflette una differenziazione di stili che possono essere accomunabili anche a biotipi diversi. Importante anche il lavoro di selezione massale fatto da alcuni produttori.

Chiaramente, in linea generale, il trebbiano abruzzese è leggermente più espressivo e caratterizzato al naso del toscano e lo spoletino fa scuola a sé, essendo geneticamente più simile al greco. Inoltre, ricordiamoci che il trebbiano, se trattato a dovere, non ha paura di invecchiare, quindi, lasciatelo pure in cantina, da un paio di anni a qualcosa in più.

Nota a margine: i vini citati hanno, per me, una loro identità precisa e originale, che rappresentano espressioni diverse, senza volersi incanalare, per forza, in ideologie prestabilite. Solo un caso – ma forse non lo è poi tanto – che la maggior parte di queste aziende lavorino con metodi che, non entrando nel merito di certificazioni varie, possiamo definire naturali.

Da bere a litri. Non sempre la facilità di beva fa rima con banalità. Questo è il caso di vini come quello della chiantigiana Erta di Radda, di Leonardo Bussoletti, produttore umbro considerato il capofila di una rinascita del Ciliegiolo di Narni, del Procanico – o Trebbiano rosa – di Paolo Trappolini di Civitella d’Agliano e quello dei ragazzi toscani di Dalle Nostre Mani, che hanno presentato anche una versione spumantizzata sur lie. Si tratta di vini freschi, con una discreta acidità, estremamente gastronomici, con un ventaglio aromatico centrato prevalentemente sui fiori bianchi e sulla mineralità.

Elegante. Vini che spesso vengono da vigne vecchie, alcuni fanno una macerazione breve e sostano sulle proprie fecce, se affinano nel legno é vecchio e serve per accrescere la complessità, più che per dare un timbro. Le vigne di circa 40 anni di Monteraponi vengono dai cru del Campitello e del Baron’Ugo, dai quali nasce un vino lunare, che sa di pietra e aria dopo la pioggia. Straordinario il Lama Bianca dell’abruzzese Feudo d’Ugni, come è interessante l’Elso di Fontesecca, piccola cantina di Città della Pieve, e il Tribiana di Pieve dei Pitti, in provincia di Pisa, che regalano due vini tesi e fini, con una discreta complessità e corpo. Antonelli San Marco ha portato 2 annate del Trebbiano spoletino, la più recente 2013 e la 2010, quest’ultima con un bagaglio di idrocarburi che quasi faceva immaginare di essere in Alsazia piuttosto che a Montefalco.

Caratteriale. Riprendendo la tradizionale macerazione sulle bucce, più o meno lunga, alcuni esempi di trebbiano prendono un tratto più complesso, energico, tendente al rustico, che ci allontana decisamente dalle caratteristiche note di fiore bianco. Sono vini leggermente ossidati, dalle infinite sfumature di dorato, con sentori di torbatura, di agrume, di terra e di miele di castagno. Maestro in questo stile è il Casale, a Certaldo, che non lesina mai nel portate delle piccole verticali, Carlo Tanganelli, nell’aretino, con il suo Anatraso. In terra abruzzese, Cirelli usa l’anfora, che accentua la sapidità e la mineralitá del vitigno. I vini di Poggio Concezione sono estremi, nel senso di essere oltre al classico Bianco di Pitigliano, dal quale si discosta scegliendo di non aderire alla Doc. Il risultato è una suggestione di espressioni legate ai suoli tufacei, quasi sulfuree, che ricordano il mare e la pomice.

Fuori gioco. Non posso non citarlo, se non altro perché lui il trebbiano lo fa in Sicilia. Parlo di Francesco Guccione, con la prima annata del T che, essendo classificato come vino da tavola, non ha indicazione del vitigno in etichetta ma riporta solo l’iniziale. Con la vendemmia 2012, Francesco inaugura il nuovo progetto, finalmente solo suo e nel quale sembra ancora più centrato e maturo rispetto al passato, e la nuova cantina ma con le stesse vigne di famiglia a Monreale. T è, forse, il più riservato dei suoi vini, inizialmente delicato con fiori di camomilla, per poi lasciarsi andare a profumi e sapori più mediterranei, di zagara e fiori di arancio.

Marina Ciancaglini

[Foto: Andrea Gori]

13 Commenti

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massimo francescon

circa 10 anni fa - Link

Brava Marina. Mi è piaciuto l'articolo perchè non didascalico e pienamente centrato sul vino, fruibile e snello. Su un vitigno con cui tutti abbiamo spesso a che fare, e forse per questo ignorato dai più

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alessandro bocchetti

circa 10 anni fa - Link

come l'anfora possa accentuare la sapidità resta un mistero... ;) comunque bravi a parlare di trebbiano, io ho assaggiato trebbiano degli anni 60 ancora dritti in piedi e buonissimi, non so quanti vitigni bianchi possano fare lo stesst ;) ciao A

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Marina Ciancaglini

circa 10 anni fa - Link

Grazie Alessandro, condivido la tu idea sulla longevità del trebbiano. Per quanto riguarda le mie (poche, per carità) esperienze con i vini vinificati in anfora, mi sono sempre posta l'interrogativo circa la sua presunta neutralità e una tendenza alla sapidità io l'ho spesso avvertita.

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alessandro bocchetti

circa 10 anni fa - Link

beh i giorgiani mica sono tanto sapidi, manco Gravner... ma so' pareri... Pensi a delle cessioni? ;) ciao A

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Marina Ciancaglini

circa 10 anni fa - Link

Non lo so, credo possano influire molti fattori, come la presenza o meno del rivestimento interno (cera d'api, di solito) all'anfora o dal fatto che sia sotterrata o no. Parlando con alcuni produttori che vinificano in anfora, mi è stato confermato che una percezione "salina" superiore può dipendere dalla natura basica dell'argilla che interagisce con quella acida del vino. Questo non vuol dire, ovviamente, che tutti i vini che vinificano in anfora, abbiano come caratteristica imprescindibile la sapidità, ma di una tendenza che io persolamente ho avvertito. Nel caso specifico, l'ho avvertita nel trebbiano di Cirelli, del quale produce anche una versione che fa solo acciaio.

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Romeo

circa 10 anni fa - Link

A me è' piaciuto molto il trebbiano del casale (2004)

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Alessandro Morichetti

circa 10 anni fa - Link

Nell'epoca dei post snelliti/cannibalizzati dai commenti perlopiù inutili sparsi sui social ne pesco uno che trovo centratissimo: "E' che il trebbiano sa di campagna italiana d'estate, sa di noi, è roba nostra e lo è nel modo più sereno e frontale possibile. (...) Pane, fieno, sale, sole, legno di ulivo, sassi quando piove. Io sto a posto così." (Giampiero Pulcini)

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bante

circa 10 anni fa - Link

Mah, e il Sassocarlo?

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Andrea Pagliantini

circa 10 anni fa - Link

Il trebbiano è la colonna sonora fresca delle cene in piazza a Vertine (quello vero) d'estate. Crostini, arrosti girati, peposo e stufato alla sangiovannese, pizza e carpaccio....... E' cosa nostra, ci appartiene la colonna sonora del vino bianco di Gianluca e delle sue viti con più di 40 anni. In vendemmia e vinificazione diamo una mano a farlo perchè quel paglierino fresco è un motivo per stare insieme e non perdere di vista il fatto che la vita è fatta sempre di piccole cose piacevoli che vanno mantenute e a volte difese.

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Sisto

circa 10 anni fa - Link

La classificazione "vino da tavola" non esiste più, da un bel pò. Il primo livello della gerarchia, per legge, è " vino", senza altre qualifiche.

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paolo pellegrini

circa 10 anni fa - Link

Mi dispiace non esserci stato, forse non l'avevo neppure saputo. Sono un grande fan del Trebbiano, e non solo di quello toscano, a dispetto di chi davvero continua a considerarlo "il vinaccio del contadino", intanto perché ci si fanno (non da solo, però...) ancora ottimi vinsanti, e poi perché ormai sono in tanti a dimostrare che se valorizzato è davvero ottimo. E longevo: il 2002 di Capezzana è ancora di gran livello!. Personalmente adoro il Trebbiano, e soprattutto il Buccerosse dei Fratelli Barba: il 2008 è fantastico (ma, come si vede dalle aziende citate, è evidente che conta la mano dell'enologo, che guarda caso è lo stesso...)

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