Tra vitigno e territorio nelle denominazioni, l’Italia dove sta?

di Vittorio Manganelli

La contrapposizione è nota: da una parte gli americani (e tutto il Nuovo Mondo, con i suoi varietal wines) che chiamano i loro vini con il nome del vitigno, dall’altra i francesi, che (con la sola esclusione dell’Alsazia) utilizzano il nome geografico e non riportano la varietà.
Illuminante, per comprendere la portata di questa contrapposizione, è un recente articolo di Matt Kramer su Wine Spectator, in cui si cita un produttore di Borgogna che, di fronte alla domanda: “Ma non potreste almeno aggiungere il nome del vitigno da qualche parte?”, afferma testualmente: “Passare al nome del vitigno in etichetta comporterebbe la fine della civiltà del vino francese”.

Parlando sempre di Doc e Docg, perché il discorso è ovviamente diverso per i vini un tempo chiamati da tavola, l’Italia sta un po’ in mezzo: in molti casi unisce i due elementi (Barbera d’Asti, Cesanese del Piglio, Montefalco Sagrantino) e in altri, sempre più diffusi, si adegua alla scuola francese (Dogliani, Chianti, Ramandolo).

Le motivazioni che spingono a preferire il nome geografico sono numerose, a partire dal legame con il terroir originario, senza dimenticare che il toponimo tutela da possibili tentativi di copiatura: basta pensare al recente caso del Prosecco, che per evitare duplicazioni in ogni parte del mondo ha dovuto stabilire la propria origine nell’omonima frazione di Trieste e abbandonare il nome del vitigno trasformandolo in glera.

Ciò premesso, c’è da tenere presente che già oggi il 30% di tutto il vino consumato nel mondo arriva da un altro Paese, e che questa tendenza ai consumi esteri pare destinata ad aumentare, con buona pace del km 0. Dando però per scontato che per molti consumatori possa essere interessante l’informazione relativa al tipo di uva che sta per assaggiare, come è possibile che un consumatore sappia a memoria i vitigni delle 305 Aoc francesi (su 307 Appellation d’origine contrôlée totali) che di vitigno non parlano in etichetta?
Non sarebbe così grave questa mancanza di informazione quando si tratta di vini monovitigno, nel senso che con un qualsiasi cellulare in un attimo si rintraccia l’informazione. Ma quando si tratta di vini frutto di assemblaggio? Il caso italiano è eclatante: all’interno delle 73 Docg solo 19 sono obbligatoriamente monovitigno, mentre altre 31 possono esserlo e le rimanenti 23 devono invece essere frutto di assemblaggi.

E la situazione delle Doc non è affatto più chiara, anzi il contrario: basti pensare a denominazioni quali Langhe, che possono essere sia bianche sia rosse (si può sperare in questo caso che la carta dei vini sia divisa almeno per colore, ma all’estero non sempre avviene), nonché frutto dei vitigni più disparati. Ordinando un Langhe – supponiamo pure che sia specificato trattarsi di Rosso – andrò a bere un Pinot Nero o un Cabernet Sauvignon, un taglio di Barbera e Nebbiolo o un assemblaggio di tutte queste varietà, ed eventualmente altre ancora?
Una soluzione andrebbe trovata.

15 Commenti

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gianpaolo

circa 11 anni fa - Link

Diciamo che quel produttore francese la sa lunga, e si rende conto che il non dire e' a volte uno strumento di marketing efficace come e piu' del dire. Pero' bisogna distinguere: ci sono delle denominazioni famosissime che probabilmente non hanno bisogno di indicare il nome del/dei vitigni, ma il 99% delle altre se lo facessero favorirebbero il consumatore. Non molti anni fa il vino veniva prodotto in molte meno zone del mondo rispetto ad adesso, e quello esportato era ancora meno. Oggi sarebbe impossibile per quasi chiunque conoscere tutto, e sicuramente non per il consumatore medio, il quale, bisogna ricordarlo, e' quello che consente la vita delle produzioni vinicole, e quindi andrebbe trattato con meno supponenza del tipo "se non mi conosce, non mi merita".

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antonio f.

circa 11 anni fa - Link

in Francia il sistema delle denominazioni geografiche ha senso in quanto ogni regione ha i suoi [e nn sono tantissimi] vitigni d'elezione ed inoltre vi è una grande tradizione del monovitigno [un Bourgogne rouge è univocamente un Pinot noir]. in Italia tra uvaggi con intromissioni di vitigni internazionali [basti pensare al Chianti], vitigni territoriali che migrano in altre zone [vedi un vermentino in Salento] vitigni internazionali che ormai hanno denominazioni geografiche italiane..... c'è ben poco da regolamentare ormai. anche perchè si naviga in un ridicolo mare di denominazioni che, alle corde, molto spesso tutta sta qualità non la danno...

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gianpaolo

circa 11 anni fa - Link

Non mi sembra che la situazione in Francia sia troppo dissimile da quella italiana, con la Borgogna simile alle Langhe per il monovitigno, ma se si prende la zona forse piu' importante, almeno in termini economici, cioe' Bordeaux, il monovitigno e' proprio assente dai giochi. Se si guarda la realta' delle vigne, nella maggior parte dei casi in Italia i vigneti non sono mai stati monovitigno, e per buone ragioni.

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Nelle Nuvole

circa 11 anni fa - Link

L'argomento di questo post è interessantissimo e "vero" nel senso che la confusione fra denominazione e vitigno corrispondente esiste, soprattutto nella testa di una buona parte dei consumatori che si avvicinano ad vino senza essere completamente informati a riguardo. Capisco benissimo l'orgoglio francese e, specificatamente, borgognotto. Non solo, condivido la priorità del luogo di origine, del "territorio" sul vitigno. Poche ore fa ho avuto un'ennesima discussione con un estimatore sovietico riguardo alla differenze del Sangiovese, a certe leggende sui cloni e certe verità sui terreni, esposizioni, altitudini, ecc. Detto questo, però, concordo sul fatto che non sarebbe male offrire un poco di chiarezza a chi compra una bottiglia di vino italiano in Nuova Zelanda, Australia, Illinois, Hong Kong. Chi è stato svezzato a bocce di Cabernet Sauvignon, Merlot, Chardonnay, Sauvignon Blanc, magari avrebbe piacere di essere messo a conoscenza che quel vino di nome Barolo proviene da uve Nebbiolo, le stesse usate anche a casa sua (Australia, ecc.) ma che producono un vino dai risultati senz'altro diversi.

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cristian

circa 11 anni fa - Link

La situazione in Fr. è tutt'altro che simile a quella italiana. A parte l'Alsazia, dove il vitigno DEVE essere presente in etichetta, in Borg. ci sono sostanzialmente 2 vitigni principali, p.noir e chardonnay, 2 a contorno aligot. e gamay e resto a saldo :) In Bordeaux 3 vitigni princ.li: Merlot, Cabernet S./F e a contorno Semillon, ugni B.... Cote du Rhone nord: Syrah...Loira: Sauvignon... E' chiaro poi che il "territorio" in eticchetta (parte espressiva del terroir) diventa più esplicativo. In Italia la situazione è molto piu' complessa, il vitigno non rappresenta un territorio e il territorio non rappresenta un vitigno.

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Giulio

circa 11 anni fa - Link

Loira = Sauvignon, mica poi tanto vero...a me vengo in mente gli chenin ed i cabernet franc.

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cristian

circa 11 anni fa - Link

Massì certo e anche Muscadet...Claro che il mio riferimento era ai famosi Pouilly Fume' e Sancerre...

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gianpaolo

circa 11 anni fa - Link

Non e' proprio cosi. In Borgogna non c'e' solo il P.Nero e lo Chardonnay, ma anche l'aligote', il melon de bourgogne (con il quale si fa il muscadet che e' una zona, non un uva) e sopratutto il Gamay. Le vigne migliori sono state piano piano piantate a P.Nero, ma nel passato non era sempre cosi'. Nel Rodano il Syrah era, e ancora da qualche parte e', aggiunto con Viogner, e il taglio bianco piu' usato nella zona e' Roussanne e Marsanne. Lo stesso Syrah del Rodano era nell'800 portato a Bordeaux per i tagli con le uve locali, e i Bordeaux sono sempre stati fatti come blend (e non solo di quei tre, ma sono ammesse mi pare una quindicina di uve tra cui non proprio sconosciuti come P.verdot e Malbec). Nel Sud e nel Sud Ovest della Francia vengono usate decine e decine di varieta' diverse, nella parte del Rodano del sud e' comune trovare vini con una decina di varieta' in etichetta (prendere es. Mas de Doumas Gassac). In Loira si trovano tanti altri vitigni, e non solo il Sauvignon e il Melon de B., ma lo Chenin, Cab. Franc, il pineau d'aunis, grolleau, arbois, romorantin, cabernet sauvignon, malbec, gamay, meunier, pinot gris, chardonnay. A ben vedere, proprio come in Italia, il monovitigno e' una eccezione, e per di piu' dei tempi recenti.

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antonio f.

circa 11 anni fa - Link

non mi sono spiegato: se in Francia dici "cabernet, pinot noir, sauvignon blanc" più o meno hai già un'idea geografica. se in Italia dici "Sangiovese, Montepulciano, Trebbiano" [per non entrare nel merito dei vitigni detti "internazionali" o degli autoctoni ballerini trapiantati altrove] non dici un bel niente!

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Stefano Cinelli Colombini

circa 11 anni fa - Link

Ognuno cerca di vendere ciò che ha, e per farlo cerca di far si che il parametro da usare sia il suo. Il nuovo mondo (nel senso più ampio del termine) non ha per ora valori aggiunti di territorio, storia e tradizione per cui tende a imporre dei metri di misura basati solo sulla qualità del mero contenuto della bottiglia; da qui il concetto Parkeriano del punteggio e dell'assaggio a bottiglia cieca. Ognuno cerca di spacciare per "scientifico" il proprio criterio, in realtà la scelta di optare per il vitigno o il territorio è solo legata al "valore aggiunto" che ciascuno ha; il vecchio mondo mette sul piatto la spada di Brenno della sua lunga storia, il nuovo protesta perché non ce l'ha e cerca di imporre vitigno e punteggi. Tutto il resto è noia.

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Stefano Cinelli Colombini

circa 11 anni fa - Link

Piccola aggiunta, per spiegare meglio il concetto. La provocazione del giornalista americano di cui parla l'articolo è ovviamente strumentale, se un vino è Morellino di Scansano può essere confrontato solo con altri Morellini di Scansano, se è un sangiovese può essere confrontata con ogni altro sangiovese del mondo sia come prezzo che come qualità. Saremmo suicidi se accettassimo un confronto di questo tipo con realtà aziendali sproporzionatamente più grandi e potenti delle nostre e, non bastasse, spesso appoggiate dai loro Stati mediante dazi, sovvenzioni e favori di ogni tipo.

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vincenz

circa 11 anni fa - Link

Forse sono OT,ma in un altro post non avevamo detto che conterà ,sempre di più,per il consumatore, la modalità di produzione in vigna ed in cantina? Territorio e vitigno restano aspetti importanti per districarsi nell'offerta e poter scegliere ma sarà sempre più importante sapere cosa succede in vigna ed in cantina.E sarà sempre più importante che quello che dice il produttore (riguardo a vigna e cantina) sia suffragato da controlli seri. Insomma gli aspetti salutistici ( divenuti anche moda,per certi versi,e da alcuni trasformati in business) hanno investito ( o stanno investendo) il mondo del vino e determineranno nel prossimo futuro una rivoluzione pacifica.Anche nel modo di classificare i vini e nella informazione specializzata sui vini.

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Stefano Cinelli Colombini

circa 11 anni fa - Link

Scusi Vincenz, ma qui si sta parlando di vini varietali contro vini legati ad uno specifico territorio e/o una specifica tradizione. All'interno di ambedue i contesti ci sono (inevitabilmente) sia vini cosiddetti naturali che vini che non lo sono, per cui gli aspetti salutistici non hanno nulla a che vedere con questo articolo in quanto trasversali rispetto al problema sollevato.

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vincenz

circa 11 anni fa - Link

Da un punto di vista formale lei ha ragione.Cordiali saluti PS. Habemus Papam , Giorgio II .

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