Moët et Chandon con MCIII punta evidentemente a sfornare una cuvée de prestige senza paragoni

di Andrea Gori

Il presente e il futuro dello Champagne si mostrano rosei come non mai con le vendite praticamente al massimo storico. Data, però, la ferma e sana volontà di non estendere gli ettari dell’AOC, le maison hanno un’unica strada per aumentare valore e fatturato: puntare in alto con prodotti sempre più curati sia dento che fuori e al contempo presidiare altri territori potenzialmente adatti alla bollicina. Se alcune maison stanno investendo fuori dalla Francia (vedi Inghilterra e altre parti del mondo) altre preferiscono ribadire l’eccellenza e l’esclusività delle loro produzioni partendo dall’alto, ovvero dalla cuvée de prestige.

Non sorprende dunque l’annuncio di una cuvée ultra-prestige da parte di Moët et Chandon, che ha visto di recente l’uscita di Dom Perignon dalla gestione interna per diventare un marchio autonomo.

Il grandissimo lavoro di Benoit Gouez in seno ai 24 milioni di bottiglie prodotte ogni anno aveva da tempo fugato ogni dubbio circa le qualità di questo chef de cave presso gli appassionati, che hanno riscoperto Moët e i suoi millesimati. Almeno fino ad ora, però, mancava lo scatto di reni che potesse metterlo alla pari di altri grandissimi nella storia. Ecco quindi l’idea e la volontà dietro l’ambiziosissimo progetto MCIII circondato fino a poco fa da una cortina fumogena densissima attraverso la quale era trapelato pochissimo. Lo spirito qui è simile a quello che guidò Moët nell’assemblaggio dello Champagne più straordinario mai imbottigliato, ovvero, l’Esprit du Siècle con i migliori millesimi del ‘900 (creato nel 2000 da Dominique Foulon contro il Dom Perignon dell’allora giovane Geoffroy, usando le annate 1900, 1914, 1921, 1934, 1943, 1952, 1962, 1976, 1983, 1985 e 1995).

Qui il concetto viene utilizzato per un decennio, ovvero il particolarissimo filotto di annate dal 1993 al 2003 che ha visto il cambiamento drammatico del clima nella regione ma anche la possibilità di ampliare la gamma espressiva di profumi e rimandi gustativi mai visti prima. Uno Champagne multimillesimato che, oltre all’apporto delle annate conservate in acciaio vede anche l’apporto del legno, del vetro e dell’arte della cuvée nello specifico.

Il III nel nome della cuvée, infatti, riguarda l’utilizzo di tre strati dell’arte champenoise applicati al vino: un primo strato (il 37,5% del totale) dalla ormai celebratissima (ex-odiatissima) annata 2003 in acciaio, con un quasi classico blend di 50% chardonnay (Choully e Cramant) e 50% pinot noir (ovviamente da Ay) a dare frutto, sole e intensità.
Lo strato II è rappresentato dalle annate affinate in legno (le foudres da 50hl), in particolare gli stessi vini che hanno dato luce ai Grand Vintage 1998, 2000 e 2002 (annate decisamente per palati forti e amanti delle emozioni).
Per l’ultimo strato si scomodano addirittura tre Champagne, quindi non vin claires, sboccati appositamente e in particolare le annate 1999, 1998 e 1993.

Se vi è venuto il mal di testa posso capirvi ma in realtà, e qui onestamente un po’ di magia ci sta tutta, quello che viene fuori è quanto di più naturale e godurioso si possa immaginare in materia di bollicina oggi, qualcosa che ha il fascino di un Borgogna ben invecchiato e la capacità di dissetare di una giovane cuvée appena sboccata con una complessità che va e viene a seconda di come e quando lo si beve.

Questo MCIII esordisce nel bicchiere (rigorosamente Zalto) con un fresco pompelmo e mirabelle, poi resine e fiori in un cesto primaverile giallo/bianco, caldo ma rinfrescante. In bocca colpisce per tridimensionalità e spessore, una sorta di oro liquido che accarezza il palato tra zafferano, miele di corbezzolo, vaniglia, pesca melba, nocciola, mineralità e forza. È anche speziato e ficcante di agrumi e ginestra, datteri marocchini e ribes rosso.

Uno Champagne certamente complesso ma accessibile come un grande vino, bourguignonne a tratti per concentrazione materia ed energia ma anche molto in stile Moet. Sul finire pare un Cristal agée ma era partito come un Dom Perignon giovanissimo e a lasciarlo nel bicchiere diventa quasi un Montrachet con un lato mediterraneo di alloro e uno nordico di sambuco. Difficile da descrivere, perfetto da godere, grandioso davvero. 98

La bottiglia, che non abbiamo visto ma che è stata rivelata questa settimana, è altrettanto complessa e importante, con il giusto grado di pacchianaggine che lo renderà il beniamino di certo pubblico benestante per la sua forma a fondo piatto rivestito in acciaio a richiamare il tappo, quasi un gioiello in sé.

La presentazione, oltre all’MCIII stesso, è stata particolarmente intrigante per gli assaggi dei vini singoli che comporranno il futuro MCIII che ri-inizierà dal 2013 e che sarà sul mercato non prima del 2025.

Restano alcune questioni circa il prezzo (dovrebbe costare sui 500 euro) e sul fatto di riuscire a berlo visto che si parla di non più di 20mila bottiglie per tutto il mondo vendute direttamente a collezionisti e appassionati.

Andrea Gori

Quarta generazione della famiglia Gori – ristoratori in Firenze dal 1901 – è il primo a occuparsi seriamente di vino. Biologo, ricercatore e genetista, inizia gli studi da sommelier nel 2004. Gli serviranno 4 anni per diventare vice campione europeo. In pubblico nega, ma crede nella supremazia della Toscana sulle altre regioni del vino, pur avendo un debole per Borgogna e Champagne. Per tutti è “il sommelier informatico”.

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