The Jesus touch, ovvero, annacquo il vino e me ne vanto

di Antonio Tomacelli

Come qualcuno di voi sa, mi occupo professionalmente del settore agroalimentare. L’etichettatura degli alimenti è il mio pane quotidiano ed ho a che fare con tutte le leggi e i decreti che regolano il settore. Cibo e vino, però, pur finendo entrambi nello stomaco, hanno regolamenti differenti. Piccolo esempio: la normativa sugli alimenti descrive per filo e per segno il significato della parola burro. Se tu produttore, hai seguito alla lettera le indicazioni di legge, potrai — anzi, dovrai — scrivere sulla confezione che quello è burro. Chi comprerà quel panetto al supermercato saprà esattamente cosa sta comprando perchè la legge impone la cosidetta denominazione di prodotto.

E il vino? Vi sembrerà strano, ma l’unica parola che non è obbligatoria in etichetta è proprio la parola “vino”. Per legge bisogna indicarne la provenienza (Igt, Doc, Docg), i gradi alcolici, il contenuto in ml. e il produttore, ma il termine vino è obbligatorio solo per il più comune vino da tavola.

La stranezza più grossa, però, riguarda la tabella degli ingredienti che nel vino è completamente assente. Nessuna cantina, infatti, è obbligata ad indicare quanto acido ascorbico è stato aggiunto o se abbia mescolato dei tannini, men che meno il consumatore può sapere se a quel vino siano stati aggiunti trucioli di legno per insaporirlo. Mannoproteine? Lieviti selezionati? Chiarificatori? Fossimo nel settore alimentare andrebbero indicati per non incorrere in sanzioni e sequestri ma, hey! questo è il dorato mondo del vino e chi usa questi ingredienti, in genere la grande industria, non vuole curiosi intorno.

Figuratevi dunque il mio stupore nel leggere la retroetichetta della cantina americana Ridge Vineyards quando tra gli ingredienti ho visto: uva raccolta a mano, lieviti indigeni, e, tra le altre cose, l’1,4% di acqua. Si, acqua, avete capito bene. A dirla tutta qualche pazzo che sfida la legge in Italia con un’etichetta simile c’è, ma non aggiunge liquidi al vino. Vero è che la cantina in questione è quella di Paul Draper, un personaggio poco incline ai compromessi e che interviene il meno possibile sul vino.

Perchè Draper aggiunge acqua al vino? Una spiegazione c’è: in California, a causa della temperatura elevata, i vini superano spesso i 14 gradi alcolici e a mr. Draper piacciono i vini eleganti e con gradazioni basse. Ragion per cui, prima della fermentazione, il nostro eroe apre i rubinetti quel tanto che basta e lo dichiara pure.

Faccio presente che in una bottiglia di vino, l’acqua è naturalmente presente in una percentuale pari a circa l’85% del volume, per cui la piccola percentuale aggiunta da Draper non cambierebbe granchè.

Considerazioni finali: non so come potrei reagire sapendo di bere un vino annacquato, ma ho sempre invidiato agli americani un paio di doti che alle nostre latitudini mancano quasi del tutto: il pragmatismo e la chiarezza nell’affrontare questo genere di situazioni.
Da noi, probabilmente, aggiungere acqua e dichiararlo apertamente sarebbe illegale, come lo è scrivere in etichetta che il proprio vino è naturale. Se invece aggiungi i tannini senza dirlo a nessuno, sei protetto dalla legge e campi tranquillo.

Solo un paese malato può aver tanta paura della verità.

(Foto credits: Gregory Bodwell)

 

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Antonio Tomacelli

Designer, gaudente, editore, ma solo una di queste attività gli riesce davvero bene. Fonda nel 2009 con Massimo Bernardi e Stefano Caffarri il blog Dissapore e, un anno dopo, Intravino e Spigoloso. Lascia il gruppo editoriale portandosi dietro Intravino e un manipolo di eroici bevitori. Classico esempio di migrante che, nato a Torino, va a cercar fortuna al sud, in Puglia. E il bello è che la trova.

9 Commenti

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dazerovini

circa 11 anni fa - Link

MOLTO interessante, bell' articolo di riflessione.

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claudia donegaglia

circa 11 anni fa - Link

Buongiorno, ma lo sapete che gli additivi ed i coadiuvanti che si aggiungono nel mosto/ vino si possono sciogliere in acqua? Quindi quoto riquoto e straquoto 'solo un paese malato può aver paura della verità' Claudia

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suslov

circa 11 anni fa - Link

un grande (ma un vero) diceva: se uno va in giro a dire la verita' va a finire che lo scoprono ...

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DarioSpezza

circa 11 anni fa - Link

Però l'etichetta sulle bottiglie leva tutta la poesia!

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winemining

circa 11 anni fa - Link

... e tu non la leggere!

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armin kobler

circa 11 anni fa - Link

aspetto solo che venga chiesta l'ennesima volta l'obbligo di riportare i contenuti di solfiti sulla bottiglia... ;-)

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MOLOK

circa 11 anni fa - Link

TI QUOTO SU TUTTA LA LINEA!!!!! e la chiusura -SOLO UN PAESE MALATO... - E' LA FOTO PERFETTA!

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Durthu

circa 11 anni fa - Link

Aspettate un attimo, ma veramente stiamo parlando degli americani come i campioni dell'etichettatura corretta e trasparente? Quelli del "parmesan cheese" che l'italia non l'ha vista nemmeno in cartolina, quelli dello "champagne" che son piu' francese io, quelli che "se la legge non lo vieta non è illegale"? Quest'americano (Draper) qualcosa da insegnarci ce l'ha, ma sul resto dei suoi connazionali ho qualche dubbio. Dubito, per dire, che i buoni Ernesto e Julio abbiano la stessa voglia di trasparenza.

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