Tenuta di Fiorano. I Boncompagni Ludovisi tra nobiltà, vini mitici, guerra fredda e futuro

di Alessandro Morichetti

La storia del vino di Fiorano ha ormai i tratti della leggenda. Inizia all’incirca così: c’era una volta un principe. Questo principe (di Venosa) eredita una tenuta alle porte di Roma, nel Parco naturale dell’Appia Antica, e lì produce alcuni tra i vini più memorabili che gli annali ricordino. Un principe riservato ma amico di Tancredi Biondi Santi e Luigi Veronelli. Quando muore gli eredi si scornano ma con distacco, tipo guerra dei Roses però sobria e principesca.

La storia è lunga, molto intrigante ma un filo complicata quindi mettetevi comodi.

Anzitutto, le basi: stiamo parlando della Tenuta di Fiorano di Alessandrojacopo Boncompagni Ludovisi (via di Fioranello, 19-31, Roma) e non della Fattoria di Fiorano (proprietà Antinori, via di Fioranello 34, Roma), né di Fiorano, azienda viticola nelle Marche, in contrada Fiorano a Cossignano (Ascoli Piceno).

L’attacco di Armando Castagno (nel pezzo splendido “Fiorano, memorie e girandole” su Vitae 3 – 2014) restituisce in pieno il respiro fiabesco-nobiliare d’altri tempi che sta alle fondamenta di tutto: “Corre l’anno 1946: il principe Francesco Boncompagni Ludovisi, sessant’anni, appartiene a una delle più antiche famiglie italiane: può esibire diciotto titoli nobiliari, due papi in famiglia e altri nove tra gli antenati di sangue; ex parlamentare e senatore del Regno d’Italia, si è ormai ritirato a vita privata dopo la Seconda guerra mondiale e l’avvento della Repubblica. Ha visto il tramonto di molti dei suoi ideali, e nonostante si sia distinto come Governatore di Roma, cioè sindaco (dal 1929 al 1935), e non sia affatto vecchio, è stanco. Il secondogenito di otto figli si chiama Alberico, ha ventotto anni essendo nato nel 1918, e a suo favore il padre Francesco ha “refutato” uno dei suoi titoli, quello di Principe di Venosa; è già sposato, sin dal 1941, con la contessina Laetitia Pecci Blunt.”

“A Fiorano, il vino si cominciò a produrlo all’incirca nel 1930, ma da viti locali. Fu nel 1946, quando ricevetti da mio padre la proprietà agricola di Fiorano, che giudicai scadente il vino prodotto e consultai l’enologo dottor Giuseppe Palieri, il quale mi propose di innestare sulle viti di Fiorano il cabernet e il merlot alla proporzione reciproca del 50% e, separatamente, la malvasia di Candia e il sémillon per il vino bianco. Così feci subito e mi valsi del dott. Palieri finché visse.”: è proprio Alberico Boncompagni a parlare. Siamo nel 2001 ed è uno dei pochi contributi pubblici di un uomo visionario e schivo, attaccato alla sua terra e poco propenso alle pubbliche relazioni.

Iniziano così gradualmente a configurarsi gli elementi che rendono questa storia mitica: un principe illuminato, un uomo di scienza e tecnica validissimo – si direbbe oggi “non interventista” – un terroir tutto da scoprire, quello del vulcano laziale. È a partire dagli anni Cinquanta che per volere di Alberico Boncompagni Ludovisi nascono, in quantità limitatissime, tre vini memorabili: Fiorano Rosso (circa 2.000 bottiglie con taglio paritario di cabernet e merlot), Fiorano Bianco (1.000 bott., malvasia di Candia) e Fiorano Semillon.

Verso metà anni Cinquanta, Palieri muore e il principe chiama Tancredi Biondi Santi a sostituirlo, esattamente quel Tancredi Biondi Santi. E pare lo abbia chiamato senza aver mai assaggiato il suo Brunello di Montalcino. Pazzesco.

La vita delle bottiglie di Fiorano sarà costantemente underground: rarità, prezzo e austerità accompagneranno sempre la sorte di vini che oggi, chi li ha assaggiati in lungo e in largo, non esita a definire monumentali. Prosegue Castagno: “Se il vecchio Fiorano Bianco mostra oggi doti di rusticità e di solidità di grande effetto, oltre a una aromaticità sottile e dolce, il Fiorano Sémillon tra il 1962 e il 1989, degustato oggi con la massima severità possibile, si impone come uno dei più grandi bianchi italiani mai prodotti, soprattutto nella luciferina versione 1971, ancor oggi screziata di riflessi verde giada e dominata da note di pompelmo, resine, erbe e bicarbonato. Altre annate memorabili di questo vino-capolavoro sono il 1962, il 1968, il 1970, il 1973, il 1975, il 1977, e ancora 1978, 1988 e 1989.” Ecco, io non ne ho assaggiato nemmeno uno, porcaccia la miseria! Ma torniamo alla nostra storia.

Tancredi Biondi Santi morirà nel 1970 quando ormai quelle di Fiorano sono etichette di culto, vendute al prezzo dei pochi grandi vini italiani. È così che, tra bottiglie grandiose e semi-introvabili, celebrate da Veronelli al pari dei grandi classici, arriviamo al 1998, quando Alberico decide di estirpare quasi tutte le vigne perché ormai impossibilitato a seguirne in prima persona lo sviluppo.

Ed esattamente a questo punto la storia inizia a biforcarsi.

Da un lato, c’è il ramo Antinori: Alberico e la contessina Pecci Blunt hanno avuto una figlia, Francesca. Questa ha sposato un altro nobile, perdippiù del vino, come il marchese Piero Antinori di Firenze e l’odierna Fattoria di Fiorano – avviata in una parte di azienda a sé stante rispetto al nucleo originale – segue la via ereditaria. Così ne viene ricostruita la genesi sul sito aziendale: “Dalle viti superstiti e da questa stessa terra, Allegra, Albiera e Alessia, le tre nipoti del Principe, hanno deciso di ripartire. (…) Non solo il vino, però (…): per fare il pane, le tre sorelle mantengono vivo il lievito madre ereditato da nonno Alberico, che considerava il grano come il simbolo del legame con la terra. L’orto garantisce la freschezza e la stagionalità dei suoi prodotti, da portare via per un pic-nic o da preparare nella cucina di Fiorano (…). I formaggi di capra e i pecorini, il latte e le carni delle mucche frisone, il miele e l’olio, tutti prodotti nella fattoria, sono tra le ricchezze che oggi offre la Fattoria di Fiorano (…)”

E questa è solo una parte del racconto. Davvero il principe aveva lasciato che tutto il credito accumulato andasse in rovina? Possibile non ci fosse nessuno di sua fiducia a continuarne le gesta? Non pare del tutto così. “La continuità diretta del marchio e dell’etichetta è assicurata, come da prassi nobiliare, dal ramo maschile più prossimo” (Castagno).

Scrive Rosanna Ferraro, che della Tenuta di Fiorano cura le comunicazioni: “Il cugino di Alberico, Paolo Boncompagni Ludovisi e suo figlio Alessandrojacopo già proprietari di una parte della Tenuta nella zona che comprende la chiesetta di Santa Fresca e la Villa vicina, si occuparono della gestione della Tenuta sempre guidati da Alberico che, tra il 1999 e il 2004, trasferì ad Alessandro altri 13 ettari di terreni vicini al nucleo iniziale. Alessandro impiantò insieme al padre un vigneto sperimentale davanti la Villa di Santa Fresca e, sempre con la supervisione di Alberico che gli cedette i diritti di reimpianto, impostò un vigneto che doveva ricalcare quello in precedenza espiantato per riprodurre gli storici vini. Alessandro fu guidato da Alberico nella scelta dei terreni, dei cloni e dell’impianto del vigneto, fino alle operazioni di vinificazione. Le stesse che continuano ad essere rispettate oggi per la produzione del Fiorano Bianco e del Fiorano Rosso.”

Alessandrojacopo Boncompagni Ludovisi

Le varietà rosse sono rimaste immutate mentre grechetto e viognier hanno sostituito semillon e malvasia di Candia. Ad affiancare Alessandro c’è oggi Lorenzo Costantini, che ha preso il ruolo di agronomo ed enologo che fu del Palieri prima e di Biondi Santi poi.

Ferocemente incuriosito da tutta questa storia, ho chiuso gli occhi e assaggiato i vini prodotti oggi.

Fioranello Rosso 2012 (cabernet sauvignon; 12,5%)
Preciso, pulito, sottilissima riduzione e aromaticità calibrata sono una ottimo biglietto da visita: 100% cabernet per il tono boschivo di albero, humus e semi di peperoni, con un pizzico di confortante dolcezza da frutta e legno sotto. In bocca è compiuto e compìto, sereno e consapevole, non dimostrativo. Di medio peso, tannino risolto che ricorda alla lontana il legno, finale di grafite. Molto soddisfacente. 17/20 (15 euro)

Fiorano Rosso 2007 (65% cabernet sauvignon, 35% merlot; 13%)
Corpo scuro, bordo rubino. All’apertura è ombroso, cupo. Profuma di pelle e cuoio che ne segnano molto il profilo, al limite. Qualcuno direbbe sella di cavallo. Poi mentolato, si apre anche su prugna disidratata, peperone abbrustolito e cassis con finale di hascisc. La bocca è piena ma non greve, polposa e persistente e solo sul finale di bocca c’è una sottile scissione alcol/ciccia. Vino di bella materia, cerca ossigeno ma conserva un tratto selvatico che ne frena gli slanci. 16-/20 (40 euro)

Fioranello Bianco 2012 (50% grechetto, 50% viognier; 13,5%)
Paglierino classico, naso non troppo ampio di mandorla e pera matura, quasi vinavil quando si scalda, non molto coinvolgente; vino rotondo e di buon corpo, nel finale si sente molto l’alcol, è uno sbuffo caldo che esula dall’equilibrio e copre un po’ il gusto. Il meno incisivo e invitante della batteria. 12,5/20 (12 euro)

Fiorano Bianco 2012 (50% grechetto, 50% viognier; 13,5%)
Paglierino carico. Pesca gialla, cereali, glicine, anice si lascia annusare e ruotare con piacere sul finale di liquerizia. Ha bel corpo e buon calore sostenuti dal telaio, è rotondo e ben amalgamato nelle componenti laddove Fioranello ha naso più noiosetto e calore scomposto. Vino confortante, curioso da aspettare e assaggiare in altre annate. 16,5/20 (20 euro)

Una sola annata per ciascun vino è poco per avere una quadro completo della storia attuale ma offre una suggestione molto significativa. Il prezzo non popolare dei vini trova un corrispettivo ben fornito di argomentazioni convincenti nel candore del marchio, nelle quantità prodotte e nella qualità espressa. Sorprendente il Fioranello Rosso, da approfondire in altre annate Fiorano Rosso, molto interessante Fiorano Bianco, interlocutorio il Fioranello Bianco.

Nomi caldi e contesi, se anche la Fattoria di Fiorano produce Fioranello e Fiorano. Che gran casotto. Comunque credo che una storia così non ritorni mai più e io voglio solo conoscere meglio. Lo scorso anno la Tenuta di Fiorano si è affacciata al Vinitaly. Quest’anno vado a trovarli, eccome se ci vado.

[Credits: Corriere del vino, Vitae, Doctor Wine]

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Alessandro Morichetti

Tra i fondatori di Intravino, enotecario su Doyouwine.com e ghost writer @ Les Caves de Pyrene. Nato sul mare a Civitanova Marche, vive ad Alba nelle Langhe: dai moscioli agli agnolotti, dal Verdicchio al Barbaresco passando per mortadella, Parmigiano e Lambruschi.

7 Commenti

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Il fu Palieri

circa 9 anni fa - Link

Scusate ma il Fiorano Rosso 2010 della Fattoria di Fiorano che Luca Gardini ha messo nella classifica dei 100 migliori vini al mondo - esattamente tra il Vecchio Samperi Ventennale di De Bartoli e Vigna Rionda 2008 di Massolino, non so se mi spiego - qualcuno lo ha assaggiato? Dove si trova, in quante bottiglie è prodotto?

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Hierro

circa 9 anni fa - Link

Qualcuno ha detto LUCA GARDINI? ;)

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ziliovino

circa 9 anni fa - Link

Hanno spiegato il motivo del cambio dei vitigni a bacca bianca?

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Federico

circa 9 anni fa - Link

Buona domanda, vista la dichiarazione dell'addetta alla comunicazione, che più che una dichiarazione sembra essere una contraddizione! Dice: "....impostò un vigneto che doveva ricalcare quello in precedenza espiantato per riprodurre gli storici vini." Come si fa a ricalcare e riprodurre usando viti diverse? Poi: "Alessandro fu guidato da Alberico nella scelta dei terreni, dei cloni e dell’impianto del vigneto, fino alle operazioni di vinificazione." Quindi è come dire che per ottenere lo stesso vino hanno scelto di arrivarci con viti diverse.....chissà che magia pensano di compiere in cantina....certo è che anche in certe cantine sociali per il vino in brick lo fanno, ma quella è un'altra storia.

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Rosanna Ferraro

circa 9 anni fa - Link

Fu su precisa e insindacabile decisione di Alberico che Alessandro reimpiantò i vigneti con vitigni bianchi altri rispetto ai precedenti. Soprattutto Alberico NON volle che si reimpiantasse il semillon, e non dette mai una spiegazione, nonostante le domande di Alessandro. Federico hai ragione, da un punto di vista linguistico la frase può non essere perfetta. Alessandro ha giustamente virgolettato la frase estrapolata da un comunicato, che già di per se deve essere sintetico. Ad una lettura di quelle che vogliono fare le pulci può dare spazio a domande che sulla carta potrebbero sembrare pertinenti. Io le trovo inutilmente capziose. In realtà cosa volevi sapere? Se posso te lo spiego volentieri, anzi, ti invito a venire in azienda e ne parliamo. Oppure ci vediamo al Vinitaly? Rosanna Ferraro

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Federico

circa 9 anni fa - Link

Grazie Rosanna per l'invito, più che volentieri in azienda (se e quando passerò da quelle parti), l'ambiente Vinitaly non è nelle mie corde. Venendo al dunque io invece non le ritengo domande cavillose, ma anzi di concreta sostanza, fondamentali nel discorso che si è fatto. Penso che se voglio riprodurre qualcosa, l'unico modo per farlo è farlo uguale. Se invece voglio fare qualcosa di diverso, lo farò diversamente. Questa banalità è talmente evidente che mi vergogno quasi un po' a scriverla. Questo non toglie che il vino sia ottimo e la strada percorsa sia giusta e più coerente ai tempi e al gusto dei tempi, ma non si può affermare di voler riprodurre quello che era prima percorrendo strade diverse. Niente di polemico, ci tengo a ribadirlo e non ho nulla di personale. Tra l'altro non avendo mai assaggiato nè la precedente versione nè la nuova, mi trovo in imbarazzo a parlarne. Ma trattasi di concetto, per quel che può servire. Concludo sperando di venirvi a trovare un giorno o l'altro.

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Warrior

circa 4 anni fa - Link

Nel racconto sopra letto, per chi conosce la storia del Principe Alberico Boncompagni perché ha lavorato e vissuto presso la sua azienda, posso dire che è molto romanzato e la verità è tutta un’altra cosa.

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