Si scrive Sciacchetrà ma si legge Re Sciachetrà: un passito che racconta le Cinque Terre

di Andrea Gori

Potrebbe sembrare un’esagerazione: un evento lungo 3 giorni con decine di giornalisti a parlare di un prodotto che arriva a stento alle ventimila (mezze) bottiglie. In realtà lo Sciacchetrà rappresenta una forma di riscatto dell’uomo sulla natura e un possibile modello di armonia ambientale, specie a due anni dall’alluvione che sconvolse le vite tranquille degli abitanti di questo angolo di paradiso.

Tra i tanti passiti che contraddistinguono l’Italia e il Mediterraneo in generale, lo Sciacchetrà ha caratteristiche uniche e irripetibili che non sono date solo dal prezzo (tra i più elevati del mondo, dai 30 ai 65 euro per la mezza bottiglia). Soprattutto, non deriva da uve aromatiche (malvasie, moscati) e ha come vitigno principale il Bosco che in pratica si trova solo qua, tra tutti i lidi del Mediterraneo.

Come fa notare Walter De Batté nel suo intervento al convegno tenuto sul molo di Monterosso, sin dalla nascita dei primi insediamenti alle Cinque Terre (con i Romani) qui si è prodotto vino bianco (vermentino e rossese bianco, con il bosco arrivato solo dopo la fillossera), al quale si è affiancato questo passito da sempre in minime quantità, un vino della festa, attorno al quale si poteva raccogliere la famiglia o la comunità. Basti pensare al fatto che tuttora alcune bottiglie dello Sciacchetrà dell’anno di nascita fanno da dote per molte ragazze della zona.

Grande discussione sul nome. Almeno s’è stabilito in Sciacchetrà, letto con una “c” sola ma scritto con la doppia. Telemaco Signorini, macchiaiolo fiorentino erudito, ne parla in una lettera ricordata nell’intervento di Antonello Maietta. Montale, il poeta di casa, lo cita nel 1930 per le radici probabili dal termine semitico shekar a indicare il vino puro per Dio: ma parlando con i contadini lo sentirete chiamare “sfursat” o “rinfursat”, nomi scartati ai tempi della DOC (di cui ricorrono i 40 anni) perché troppo simili al vino valtellinese.

Con Sergio Pappalardo, enologo campano che opera presso Buranco, ci addentriamo nella questione spinosa dell’appassimento e delle sfide che pone ai vignaioli: ottenere un vino profumato e ricco da uve quasi completamente neutre come Bosco e Albarola. L’appassimento con i lieviti e altri microrganismi che intervengono nel processo di appassimento in fruttaio dura anche più di due mesi, ed è molto lontano dal modello “Pantelleria”.

Il “vero liquore color dell’oro da bere in piccoli calici, lo Sciaccatras“, come riportato dal Signorini, viene introdotto alla degustazione da Marzio Berrugi della Fisar che ne raccomanda una temperatura fresca ma non gelida, e soprattutto invita ad abbinamenti che vadano oltre la pur ottima pasticceria secca (mai lievitata) con mandorle, canditi e nocciole come canestrelli, amaretti ma anche pan pepato senese e cavallucci. Tenendo sempre presente che le note fondamentali del vino sono il residuo zuccherino molto elevato, una acidità volatile sostenuta e uno iodato molto intenso che persiste a lungo nel palato.

Spazio anche alla politica (dopo il Fratelli d’Italia ad inizio convegno, inconsueto ma suggestivo) con il Senatore Luigi Grillo (il creatore del Parco Nazionale delle Cinque Terre e adesso viticoltore a Buranco) che introduce un progetto di project financing per la risistemazione dei danni dell’alluvione del 2011, ma anche per gestire in maniera partecipata il patrimonio storico italiano (qui per approfondire).

Parola poi a Pietro Lunardi (qui il video del suo intervento), ex Ministro delle Infrastrutture, che sottolinea come lo Sciacchetrà e il territorio che lo produce siano legate a doppio filo e entrambi in pericolo per gli eventi meteo. Certo qui nel 2011 è piovuto in modo impressionante (60mila metri cubi di acqua) e per trattenerla non sono bastati i quasi 7 mila km di muretti e terrazzamenti che reggono il terreno. Ogni anno devono essere conservati e mantenuti, insieme a tutte le opere di pulizia dei torrenti e dei boschi. Vino e agricoltura condotti in maniera più estesa (il Cinque Terre DOC  ha perso negli ultimi 50 anni quasi il 90% dei suoi ettari vitati che erano quasi 1400 nel dopoguerra e oggi sono poco più di 100) rappresentano un modo di salvare e proteggere il territorio almeno in attesa di interventi più decisivi, finanziariamente molto costosi come il progetto scolmatore.

La presenza del sottosegretario del Ministro alle Politiche Agricole suggella (nel video) l’impegno del Governo per la tutela delle tante piccole grandi realtà paesaggistiche spesso legate a cibo e vino in maniera indissolubile.

Per rendere operativo il tutto viene istituito un Consorzio di Promozione dello Sciacchetrà che comprende (per ora) 9 delle 12 aziende che lo producono in maniera continuativa e con volumi commerciabili: lo scopo è di promuoverlo in Italia e all’estero, cercando di trainare la viticoltura di tutte le Cinque Terre che per ora non riesce ad entrare neanche nei locali della zona, che preferisco i meno costosi bianchi e rossi toscani e (pochi) piemontesi. Questo in effetti mette addosso un poco di sconforto, vista la presenza davvero minima dei vini locali se paragonati al resto, per non parlare della qualità media della ristorazione che non va oltre il livello “turistico”. Accettabile per un tedesco distratto (che sorriderà vedendosi servire in abbinamento allo Sciacchetrà un orrendo “Cantuccino mit schokolade” prodotto e imbustato a Norimberga come accade nel più lussuoso albergo delle Cinque Terre) ma non per un gourmet anche alla buona di oggi.

Passiamo agli assaggi, purtroppo non completi per la mancanza di alcune aziende ma certamente utili per farsi un’idea della qualità complessiva della produzione. Prima la parola ad Antonello Maietta, presidente nazionale AIS e originario di Portovenere, che lo introduce:

Sciacchetrà Cheo 2010. Solo 298 bottiglie, gli unici a produrre a Vernazza, intenso e caramellato, fichi e ruggine, non lunghissimo ma intenso e passionale. 88

Sciacchetrà La Polenza 2009. Da Corniglia, non partecipa al Consorzio per motivi politici ma presenta uno dei migliori prodotti, di certo quello con il miglior rapporto qualità prezzo: ambrato e intenso, balsamico e vetiver, rosmarino, bocca secca e beverina di mandorle e noci, ottimo l’equilibrio e la bevibilità. 92

Sciacchetrà La Polenza 2010. Compresso e con note leggere amarognole, resina di pino, caramello e peperone. 85

Sciacchetrà Litan 2010. Da Riomaggiore, lieve nota erbacea e di coriandolo, pepe verde e caramello, bocca fresca e sapida, bel finale di macchia e albicocca. 93

Sciacchetrà Sassarini 2008. Da uve conferite da vari contadini della zona, naso di frutta secca e menta, mela candita, bocca dolce e caramellata, finale pulito. 83

Sciacchetrà Possa 2010. Da Riomaggiore (690 bottiglie), salino e pepato, canditi e pino, bocca di sottobosco e albicocca, finale rapido. 86

Sciacchetrà Albana La Torre 2009. Più neutro e naturale, resina iodio e canditi, bocca leggera e delicata, finale di castagna e miele di eucalipto. 84

Sciacchetrà Forlini e Cappellini 2006. Datteri e fichi, mandorle e ribes in confettura, bocca ampia e fitta, finale lunghissimo e pepato, arioso ed enorme; ha una levità poetica struggente che colpisce a fondo. 95

Sciacchetrà Buranco 2011. Da poco in bottiglia, esile e delicato con tanta freschezza che lo pone molto più su note floreali ed erbacee, bocca succulenta di rabarbaro e menta, miele millefiori e acacia, finale in punta di piedi, fresco. 87

Sciacchetrà Buranco 2010. Grande opulenza e sontuosità, ricco sapido e caramellato, bocca succulenta di albicocca e castagna, zenzero e agrumi canditi, bocca in equilibrio perfetto tra spinta acetica, tannino e glicerina, irresistibile e caratteristico. 91

Altri vini bianchi e rossi assaggiati:

Forlini Cappellini DOC Cinque Terre 2011. Domina il Vermentino con salvia agrumi, poi mandorla, pinolo, pepe bianco e buccia di peperone, sapido e delicato, solo una lieve nota alcolica appanna il gusto. 87

Sassarini Clan Corsu 2012. Profumato, anche troppo con note tioliche molto nette, mandorle e pinoli, grande acidità ai limiti dell’effervescenza, finale corto. 80

Begasti Vino Rosso Monterosso al Mare. Ricco ed esplosivo, tanta frutta e allegria ma poca finezza. 78

Buranco DOC Cinque Terre 2012. Frutta bianca, gelsomino e glicine, bocca sapida e ricca con finale ammandorlato e con tocchi balsamici. 86

Possa Bonanini Samuele 2011 Cinque Terre DOC. Non filtrato, stile naturale ossidativo, note di frutta passita e resine, bocca un poco piatta ma la salinità e lo iodato emergono. 79

Buranco Syrah e Cabernet Sauvignon 2011. Pepato e terroso, frutta rossa e bosco, finale speziato con punta d’alcol ma con tocco provenzale curioso. 85

Tre giorni per conoscere un territorio forse non sono sufficienti, ma possono bastare per capire che nella sua dimensione ridotta il mondo del vino delle Cinque Terre può davvero rappresentare un laboratorio di politica attiva del territorio, legato alle sue produzioni vitivinicole con in più la particolarità di una zona parco naturale, terribile quando si parla di limitare il numero di cinghiali, ma ideale se si cercano fondi da investire. Un territorio già ricco di suo per il continuo incredibile afflusso di turisti che dal punto di vista vinicolo, forse anche a causa di questo, non ha ancora espresso il suo massimo, pure se già adesso produce vini di spessore e dalla bontà spesso struggente.

Aggiornamento Febbraio 2014:

Costituito ufficialmente il  CONSORZIO “CINQUE TERRE SCIACHETRA”

Hanno aderito i seguenti produttori titolari di altrettante Aziende:
Azienda Agricola Capellini Luciano
Azienda Agricola Possa
Cantine Litan
Azienda Agricola Riccardo Fino
Azienda Agricola Albana La Torre
Azienda Agricola Fortini Cappellini
Azienda Agricola Burrasca
Walter De Battè
Luciano De Battè
Azienda Agricola Buranco
Azienda Agricola Begasti
Cantina Sassarini
Azienda Agricola La Polenza
Azienda Agricola Cheo
Azienda Arrigoni Riccardo

 

Andrea Gori

Quarta generazione della famiglia Gori – ristoratori in Firenze dal 1901 – è il primo a occuparsi seriamente di vino. Biologo, ricercatore e genetista, inizia gli studi da sommelier nel 2004. Gli serviranno 4 anni per diventare vice campione europeo. In pubblico nega, ma crede nella supremazia della Toscana sulle altre regioni del vino, pur avendo un debole per Borgogna e Champagne. Per tutti è “il sommelier informatico”.

1 Commento

Commenta

Sii gentile, che ci piaci così. La tua mail non verrà pubblicata, fidati. Nei campi segnati con l'asterisco, però, qualcosa ce la devi scrivere. Grazie.