RAW Fair a Londra: un punto di vista decisamente unico sui vini naturali dal mondo

RAW Fair a Londra: un punto di vista decisamente unico sui vini naturali dal mondo

di Jacopo Cossater

Se è valsa la pena di salire sul primo aereo low cost per raggiungere la capitale inglese in occasione di RAW? Assolutamente sì, senza alcun indugio, e anzi scusate se questo post arriva con un paio di settimane di ritardo rispetto al previsto (della serie: è un mondo difficile, etc.). Una manifestazione, quella organizzata a Spitalfields da Isabelle Legeron e giunta alla sua quinta edizione, che raccoglie all’interno della Old Truman Brewery un cospicuo numero di cantine provenienti letteralmente da tutto il mondo. Un evento unico per riuscire a dare uno sguardo da una posizione privilegiata sullo stato di forma del movimento dei vini naturali, dalla Francia all’Italia (di gran lunga le due nazioni più rappresentate), dalla Spagna all’Europa dell’est fino agli Stati Uniti, il Sud Africa, l’Australia e una manciata di altri paesi.

Poco meno di 200 artisans che per partecipare sottoscrivono un “documento di qualità” ben definito, un’autocertificazione che prevede i seguenti criteri:

– tutte le uve utilizzate nella produzione dei vini presentati devono essere certificate come biologiche e/o biodinamiche (con alcune eccezioni per realtà molto piccole, caso in cui entra in gioco la fiducia degli organizzatori e l’appartenenza alle tante associazioni partner di RAW)

– la vendemmia deve essere esclusivamente manuale

– in cantina non devono essere utilizzati lieviti selezionati se non in caso di seconde fermentazioni in bottiglia (per i soli vini spumanti)

– stessa regola per qualunque tipo di additivo (enzimi, vitamine, preparazioni a base di lisozima, etc.) al di fuori di piccole quantità di anidride solforosa con un limite massimo consentito di 70 mg/l per tutti i vini presentati, sia rossi che (soprattutto) bianchi

– sempre in cantina i vini presentati non devono essere stati sottoposti a “forti manipolazioni” come per esempio l’osmosi inversa, la crioestrazione, la dealcolazione, etc.

Un insieme di regole pubblicate all’inizio del catalogo ufficiale della manifestazione che ha quantomeno il merito di mettere nero su bianco un’idea chiara dei vini presenti. Un insieme di intenti non così ovvi, non in Italia almeno, dove come avevo già scritto in un’altra occasione il rischio di contaminazioni è particolarmente alto. Ma non ero il solo: anche Giampiero Bea di ViniVeri in una recente intervista a Intravino rilanciava questa problematica. E se con Angiolino Maule è questione che invece non era emersa, da voci di corridoio sembra che VinNatur si stia dotando di un insieme di regole ancora più stringente, nuove regole che i soci dovranno per forza sottoscrivere per poter portare i propri vini a Villa Favorita e alle altre manifestazioni dell’associazione.

Ma dicevo di Londra. Due giornate di assaggi hanno raccontato una straordinaria vivacità non solo territoriale e varietale (ovvio) ma anche e soprattutto stilistica. Quanti vini meravigliosi, ricchi di dettagli, aggraziati, intensi senza mai apparire pesanti. In generale quanti vini tratteggiati da uno stile ben definito, dove la mano del vignaiolo risulta essere avvertibile e contemporaneamente un po’ laterale rispetto al vino, mai eccessiva, mai troppo protagonista. Al tempo stesso impossibile non registrare una certa omologazione nel caso per esempio dei cosiddetti “orange wines”. Una pratica, quella della macerazione sui bianchi, che in molti sembrano rincorrere senza padroneggiare. Ecco quindi fare capolino nel bicchiere una lunga serie di vini non così eleganti, difficilmente caratterizzati da quello straordinario slancio gustativo che solo i migliori interpreti della tipologia possono vantare (italiani, almeno per la maggior parte).

Tantissimi assaggi dicevo. A rileggere il taccuino a distanza di un paio di settimane emerge però con decisione solo una manciata di vignaioli, eccola qui.

Shobbrook Wines, Barossa Valley, Australia

Un talento vero, non saprei come altrimenti definire Tom Shobbrook. Una cantina, la sua, che avevo scoperto quest’inverno a Melbourne e che – insieme a Lucy Margaux e Bobar – era immediatamente entrata tra le mie favoritissime del “Down Under” (a proposito, grazie ancora James per avermi fatto da Cicerone, cheers). Vini in cui la definizione di semplicità sembra assumere un significato speciale, che non urlano per farsi ascoltare e che al tempo stesso risultano straordinariamente leggibili. Dal Semillon al Riesling, bianchi tridimensionali e luminosi, fino al Carignan e soprattutto al Syrah, rossi vibranti e generosi. Vini che a Londra mi hanno rapito come pochissimi altri.

Testalonga, Swartland, Sud Africa

Craig Hawkinns e Carla Kretzel producono una gamma di vini giocati con un’interessante idea di sottrazione, molto fini, che se da una parte rischiano di apparire un po’ troppo sottili – per non dire addirittura un po’ magri – dall’altra stupiscono per personalità. Il più deciso di tutti è certamente “El Bandito” 2013, da sole uve di chenin blanc con una lunga macerazione sulle bucce. Più eleganti i rossi, uno a base di grenache e uno a base di syrah. Vini da bere d’estate al mare, lontanissimi da ogni stereotipo sui vini sudafricani.

Via Vecchia, Ohio, Stati Uniti

Eh, qui purtroppo posso solo contare sugli appunti presi bicchiere alla mano. La grande folla di domenica pomeriggio mi ha infatti impedito di scambiare alcune parole con i ragazzi dietro al banchetto. Una cantina, la cui famiglia è di origini italiane, che a RAW presentava un solo vino, il “Respiro” 2013. Un rosso a base di cabernet sauvignon maledettamente croccante, gustosissimo, tutto giocato su belle note fruttate che virano su originalissimi sentori affumicati. Uno dei vini del viaggio.

4 Manos, Mendoza, Argentina

Assaggiare con Vincent Wallard è un po’ come fare un giro sulla giostra, prima ti trovi nel bicchiere un bianco fresco e delicato e subito dopo un rosso caldo e trascinante. La menzione, quello che ho sottolineato a più riprese sul taccuino, è per un Malbec ossidato di gran fattura, molto compiuto, tutto giocato su bei toni balsamici e fruttati. Si tratta però di realtà da approfondire, per quanto è dato capire 4 Manos non lavora le proprie uve, le acquista da un produttore biologico della zona di Topungato.

Domaine Ligas, Pella, Grecia

Che piacevole sorpresa, i vini della famiglia Ligas spiccano per finezza, per dettaglio, per vibrazione. Vini pulitissimi, i cui bianchi (quelli che ho preferito) presentano una leggerissima e sussurrata nota ossidata affiancata da una decisa mineralità. Tra i rossi mi sono segnato uno Xinomavro speziato e balsamico, deciso e lunghissimo.

Quinta da Palmirinha, Minho, Portogallo

Parto dalla fine, che appena ho saputo i prezzi dei vini assaggiati sono praticamente caduto per terra. Vini che costano pochi euro e che sono tutti pervasi da una luminosità accecante, da un’acidità veemente mai protagonista, golosi e decisi. Un bianco a base di loureiro e un rosso a base di vinhao davvero sorprendenti. Plus: Fernando Paiva (in foto) produce anche il migliore succo d’uva abbia mai assaggiato, una vera delizia. Qui si sta già pensando a una eventuale gita in cantina.

Milan Nestarec, Moravia, Repubblica Ceca

Un recente viaggio a Praga mi ha fatto entrare in contatto con una realtà per certi versi un po’ inaspettata fatta di bottiglie tutt’altro che banali. Anzi, colgo l’occasione per ringraziare Ondrej Pokstefl, sommelier de La Finestra, che con poche e pratiche indicazioni è riuscito a farmi scoprire l’apparentemente vivace movimento dei vini naturali cechi. Con lui avevo avuto modo di assaggiare la “Cuvée Kambrium” di Dobra Vinice, un bianco molto completo, sapido e austero. A RAW sono però stati i vini di Milan Nestarec a colpirmi maggiormente: solo bianchi dal sapore ancestrale, materici e persistenti, vini tutt’altro che verticali e anzi un po’ lenti nello sviluppo gustativo. Vini piuttosto affascinanti.

Peter Wetzer, Sopron, Ungheria

Appena un paio d’ettari nella zona più a nord-est dell’Ungheria, vicino il confine austriaco. È qui che Peter lavora kékfrankos ma soprattutto blaufränkisch e pinot nero da viti su suoli ricchi di ardesia. Il risultato è a dire poco sorprendente, i suoi sono vini di rara finezza, lievi, slanciati, croccanti e definiti.

Dom Bliskowice, Małopolski Przełom Wisły, Polonia

Piccola realtà nata nel 2009, offre una gamma di vini molto diretti, spontanei, semplici ma non per questo scontati. Vini davvero piacevoli a partire da varietà quali cabernet cortis, rondo, johanniter.

E non è tutto. In un giorno e mezzo riuscire a fare una ricognizione davvero completa era impossibile, motivo per cui ho rinunciato a un rilevantissimo numero tra i produttori presenti, soprattutto francesi. Un ottimo motivo per tornare a Londra nel 2016 (e poi ho trovato il posto perfetto dove bere qualcosa di defaticante dopo i banchi d’assaggio, un gin&tonic -quasi- di riferimento).

Jacopo Cossater

Docente di marketing del vino e di giornalismo enogastronomico, è specializzato nel racconto del vino e appassionato delle sue ripercussioni sociali. Tra gli altri, ha realizzato i podcast Vino sul Divano e La Retroetichetta, collabora con l'inserto Cibo del quotidiano Domani e ha cofondato il magazine cartaceo Verticale. Qui su Intravino dal 2009.

26 Commenti

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Le Baron

circa 9 anni fa - Link

Bella fiera sicuro peccato che appena faccia caldo dentro ci si squagli! Concorrdo su Nestarec, sono rimasto sbalordito dalla precisione con la quale lavora nonostante le macerazioni importanti. Craig é un mito totale, ogni anno si conferma tra i migliori produttori del Sud Africa. Poi ora che si é affrancato da Lammershoek, the sky is the limit. Jurgen di Intellego poi é su quella strada amche lui. Mi é piaciuto parecchio Bobinet (Saumur), l hai provato? Altre cose interessanti ma devo recuperare il taccuino :-) concordo anche su Shobrooke. Sarebbe bello qualcuno incominciasse ad importarli

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Stefano Cinelli Colombini

circa 9 anni fa - Link

Scusate, ma i conti non tornano. 70 mg/lt di solforosa non è una piccola quantità, è il doppio di quella che uso io che non sono né biologico né biodinamico. 70 è vicino al massimo ammesso di legge, è assolutamente incompatibile con un "vino naturale". Il discorso sulla raccolta solo manuale é puro enifighettismo della peggior risma, se la raccolta dell'uva è fatta dopo aver accuratamente tolto (manualmente) tutto ciò che non è buono si può fare sia a macchina che a mano senza che ci sia nessuna differenza. Questa fiera è un bel giochino per cavalcare una moda, è business allo stato puro.

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Jacopo Cossater

circa 9 anni fa - Link

Sulle maglie un po' larghe tenderei a essere d'accordo (anche se poi la stragrande maggioranza delle aziende presenti fa a sua volta parte di associazioni nazionali che adottano dei protocolli produttivi condivisi). Nel post poi non ho citato il fatto che nel catalogo di RAW tutte le cantine che lavorano SENZA solforosa sono segnalate con un particolare bollino/simbolo. Un numero rilevante (sul sito è possibile trovare maggiori informazioni in merito).

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Stefano Cinelli Colombini

circa 9 anni fa - Link

Dai, questa fiera è di certo esteticamente bella ma non è una roba seria. Io non produco né amo i "vini naturali", ma è oggettivo che la caratteristica principale di quei vini dovrebbe essere zero solforosa aggiunta e zero trattamenti nei vigneti, cose che qui sono optional (non è possibile trovare ulteriori informazioni...) o non richieste, mentre invece l'enfasi è su cose irrilevanti come la modalità della raccolta o minori come l'uso di lieviti selezionati. Very British, strictly business oriented.

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Pier Paolo

circa 9 anni fa - Link

"Dovrebbe" dopo un "è oggettivo" rende l'affermazione molto soggettiva. Infine, puoi far quel che vuoi prima della raccolta a macchina, ma è oggettivo che non puoi dire che non c'è nessuna differenza tra la raccolta a mano, a meno che non rendi soggettivo il significato di "nessuna".

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Vinogodi

circa 9 anni fa - Link

... chiaramente quoto senza riserve...

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Vinogodi

circa 9 anni fa - Link

...chiaramente quoto quanto scritto da Cinelli Colombini...

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Hierro

circa 9 anni fa - Link

L'ammesso per legge non e' cosi' vicino ai 70 mg/l dai...parliamo rispettivamente di 150 e 200 per rossi e bianchi!

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Stefano Cinelli Colombini

circa 9 anni fa - Link

Dai, siamo al ridicolo. Certo che il limite legale è quello, ma nessun rosso di qualità viene messo in commercio con una solforosa vicina a 70. Sbaglio o i vini proposti a RAW avrebbero dovuto essere di alta qualità e, soprattutto, salubri?

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Jacopo Cossater

circa 9 anni fa - Link

Stefano, hai parzialmente centrato uno dei problemi di (quasi) tutte le manifestazioni che si rifanno al mondo dei vini naturali. Il pregio di RAW è quello di pubblicare un'insieme di regole - al di là delle maglie più o meno larghe - del tutto assenti in molte altre, anche in Italia. Questa situazione evidentemente permette a persone e aziende che si sono avvicinate a questo mondo un po' per moda, un po' per inseguirne il mercato, di autonominarsi "naturali" proprio per aver partecipato a due o tre fiere, problematica che denuncio anche nel post. La stragrande maggioranza dei presenti ha però una storia e una reputazione che parla per sé (anche nell'uso di bassissimi livelli di solforosa).

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Bernardo

circa 9 anni fa - Link

Non faccio vino naturale, un chianti da pochi euro, non ho mai usato lieviti selezionati, le mie dosi di solforosa non superano i 40 mg/lt, ciò che imbottiglio è vendemmiato manualmente, nonostante abbia appurato, per le uve rosse, che le vendemmiatrici sopratutto in buone annate diano poche differenze organolettiche ai vini (certo ti ritrovi vinacce piu fecciose, ma questo può capitare anche con pompe a pistoni o monho). Per le uve bianche accetto che sia ben diverso, ma per iperossidazione si fanno tutt'ora degli ottimi vini. Quindi posso ricominciare, "Non" faccio vino naturale perchè non lo vado a sventolare alle fiere. Lentamente torneremo al medioevo!

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Le Baron

circa 9 anni fa - Link

Mah! se riteniamo pratica "minore" l'uso di lieviti selezionati....evidentemente mi sono perso qualche cosa...

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Stefano Cinelli Colombini

circa 9 anni fa - Link

Si, ti sei perso qualcosa. Nella fattispecie ti sei perso due secoli di ricerca che ha ampiamente dimostrato che in vigna i lieviti non ci sono. Li hanno cercati mille volte, ma nessuno li ha mai trovati. Per cui tutti quelli presenti in cantina sono introdotti dall'esterno, o arrivano da cantine vicine o da residui di precedenti vinificazioni. In entrambi i casi, sono moltiplicazioni che partono da lieviti selezionati o comunque sono inquinati da lieviti selezionati usati da un tuo vicino. Se poi vogliamo considerare indigeno un lievito così, benvenuto; in fondo c'è chi considera autocnono il cabernet perché in Toscana c'è da secoli, per cui.....

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Vinogodi

circa 9 anni fa - Link

...curiosità : chi c'era fra questi Biodinamici, bio bio, biodegradabili, bioenergetici: - Domaine Leroy - Domaine Leflaive - DRC - Domaine Ramonet - Domaine Roumier - Domaine Mugnier - Comte Ligier Belair - Comte De Vogué - Domaine Coche Dury - Domaine De Comte Lafon - Domaine Roulot - Domaine Bernard Dugat Py - Domaine Claude Dugat - Domain Ravenau - Domain Marc Colin - Domain Morey - Domaine Forey - Domaine Trapet - Domaine Perrot Minot - Domaine Sauzet - Domaine Blain Gagnard - Domaine Fontaine Gagnard - Domaine Fourrier - Domain Bart ...chiaramente la mia è semplice curiosità...

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Pier Paolo

circa 9 anni fa - Link

Ma che minchia centrano i produttori da te citati? Buona parte dei quali non si riescono a trovare neanche pagando centinaia di euro se non migliaia a bottiglia, figuriamoci in fiera.

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Vinogodi Marco Manzoli

circa 9 anni fa - Link

... la minchia non c'entra, c'entra che è come facessero il salone dell'auto solo con le utilitarie, che interesse vuoi che susciti? Questi da me citati sono i più grandi (e famosi .... e bravi ) produttori "bioqualcosa" esistenti (con poche eccezioni nell'Herault / Loira e qualche altra dimenticanza tipo De Montille & C) . La fiera non interessa a chi dovrebbe trainare il movimento? Bene, vuol dire che è solo un tentativo di darsi visibilità a chi visibilità non ha modo di averne evidenziando aspetti tecnici, come dice il bravissimo Francesco Cinelli Colombini, irrilevanti...

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Emanuele

circa 9 anni fa - Link

Aggiungo un commento inutile e soggettivo che più soggettivo non si può. Giusto alcuni piezz'e core che aggiungerei alla lista: Rossignol-Trapet, Bonneau du Martray, Amiot-Servelle, Chandon de Briailles, Domaine de l'Arlot. Avanzare ipotesi sui motivi per i quali loro, come tutti gli altri nella lista, non vadano alla RAW Fair sarebbe presuntuoso. Par contre, passando al chi-c'è dal chi-non-c'è, trovo che a rappresentare la Borgogna sono due domaines rispettabilissimi ma, forse, poco rappresentativi. Specialmente a una fiera come questa. PS - "La minchia non c'entra" è senz'altro il commento più lapidario ed efficace tra quelli letti qui.

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Pier Paolo

circa 9 anni fa - Link

Si Marco, il problema è che citi sempre i più grandi, Il top del top dei più bravi, i più famosi, i più belli i più bla bla bla... ma il punto è che al resto del mondo suscita più interesse vini che si possono bere con piacere a tavola o a un bistro o un ristorante senza per questo dover cedere un rene in cambio, il fatto che in una fiera non siano presenti i BIG è del tutto irrilevante, anzi, permette di conoscere vignaioli che non siano i soliti noti ed è proprio a questo che serve una fiera.

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Rondinella

circa 9 anni fa - Link

Sono perfettamente d'accordo con Pier Paolo....largo ai piccoli produttori! Personalmente sono stufa di degustare alle fiere sempre i soliti noti (sempre che si degnino di farti degustare con il sorriso qualcosa senza per forza essere un giornalista o un sommelier o un buyer!)...evviva i vini nati per essere bevuti con serenità e raccontati con passione dalle nuove realtà!

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Alberto G.Tricolore

circa 9 anni fa - Link

Si e' vero che dal protocollo,si possa pensare alla solita trovata di marketing.Ma moltissimi produttori si impongono limiti piu' duri da rispettare al di la del matketing enofighetto.E'comunque questi il vino lo vendono, altro che chiacchiere.Si vende di tutto da mondo.

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Nelle Nuvole

circa 9 anni fa - Link

Ma lasciateli fare! Eccerto che sono piccoli e anche poco significativi nel panorama globale enoico, pure in quello nobilmente titolato BIO al di là delle Alpi. Sono una punta senza sotto l'iceberg, si meritano attenzione e a Londra la trovano. Non mi piace la presentazione fanfarata nella home page del blog relativo. Non mi piace il tono "Noi sì che siamo bravi e puri e gli altri no". Sono d'accordo con Stefano (NON Francesco) Cinelli Colombini riguardo a certe puntualizzazioni, e non solo perché è il mio capo. Però sono sicura della buona fede dei produttori presenti, alcuni degli italiani li conosco, li stimo e li bevo. Per loro non è solo business, ma affermazione di un modus operandi in cui credono senza deviazioni speculative. Sarà anche un'astuta operazione di marketing da parte di Mme Legeron, però a me questo marketing non disturba affatto e se avessi potuto ci sarei andata anche io insieme a Jacopo, soprattutto per assaggiare i tentativi dei nuovomondisti di liberarsi dall'omologazione di un paio di ventenni e più, dettata da tre o quattro potentati di imbottigliatori.

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Vinogodi Marco Manzoli

circa 9 anni fa - Link

..."Sono d’accordo con Stefano (NON Francesco) Cinelli Colombini " .... arrossisco un pò vergognandomi, sorry ... una vecchia boccia di Fattoria dei Barbi ( da azienda notoriamente avvelenatrice dell'ambiente ma con vinelli buoni assai) la si stappa , ve la devo, se passate da Bue House...

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emanuele

circa 9 anni fa - Link

Ciao R sul piccoli sono d'accordo. Sul poco significativi no. Orsù, parliamone (anche, non solo di questo) vis-à-vis (anzi, a tre o quattro o cinque voci). Spero presto.

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Nelle Nuvole

circa 9 anni fa - Link

Ciao E, invero non ci vediamo da troppo tempo se ti è sfuggita la sottilissima ironia (a volte talmente sottile che non la percepisco nemmeno io). Je vous attend.

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Samuele

circa 9 anni fa - Link

Se una persona decide di non andare ad una fiera perchè non ci sono grossi nomi secondo me rischia di perdersi delle belle sorprese. La Raw Fair mi sembrava talmente interessante che ho chiesto di partecipare ma purtroppo non sono stato selezionato.

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Filippo Apostoli

circa 9 anni fa - Link

Da anni vado a RAW per questioni di lavoro ma quest'anno abbiamo raggiunto il grottesco: caldo infernale, ressa mai vista e location in Londra veramente discutibile. Passando ai vini concordo con molti che hanno trovato gemme (Bobinet, Matassa e Gauby per me su tutti) ma vorrei anche sottolineare che la fiera era un grande campionario di difetti sul vino e l'instabilita' del prodotto la faceva da padrona. Per non parlare di acetica e di una generale sporcizia al naso. Al tavolo di Cornelissen lavorava un mio compagno di corso (WSET Diploma) e ho avuto la fortuna di riassaggiare I vini piu' volte nella giornata. La variazione di bottiglia era piuttosto importante. Vedo molti di questi vini con grande scetticismo e solo un certo tipo di ristorazione li accoglie a braccia aperte, gli altri, parlo per esperienza, sono molto scettici. Questo non solo per l'instabilita' ma anche per una certa omologazione che rende davvero difficile spesso distinguere il vitigno e la provenienza. In my mind e' l'equivalente del batonnage in una Borgogna di fine anni '90 o dell'ondata di legno nuovo all'inizio sempre della stessa decade...

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