Qabbalah e Opera Wine, ovvero della mistica del vino

di Giovanni Corazzol

Tra il 1648 e il 1666 molte comunità ebraiche in tutta Europa credettero finalmente conclusa l’attesa del Messia. Sabbatai Tzvì da Smirne si convinse – e convinse drammaticamente milioni di ebrei della Diaspora – d’essere lui l’uomo mandato da Dio. Fatto prigioniero a Costantinopoli dal sultano Mehmet IV, Sabbatai temette per la propria vita e fece apostasia convertendosi all’Islam. Delusione e mortificazione profonde sostituirono la speranza di redenzione. Sabbatai elaborò, allora, una teoria finissima utile ancor oggi per sostenere indulgenti forme di autoassoluzione: per combattere il male bisogna conoscerlo e per conoscerlo, bisogna immergervisi fino al collo facendo tutte le peggio cose (per approfondimenti Gershom Sholem, Le grandi correnti della mistica ebraica, Einaudi tascabili).

Mi immergo fino al collo in Opera Wine alle 17.00 di venerdì 5 aprile 2013. Arrivo da Cerea, abboffato di pane, salame e barbera Vidur di Togni Rebaioli , e ancora divertito dall’evoluzione sorprendente del moscato secco di Ezio Cerruti. Mi avvicino a Verona gaudente per la batteria di assaggi di Valter Mlecnik e per la rifermentazione involontaria (innegabilmente spontanea) del Vigne Vecchie Terra dei Preti 2011 di Collecapretta. Con abiti impataccati e conciato peggio del mio zainetto entro, infine, al Palazzo della Gran Guardia in Piazza Brà a Verona, dove stringo mani curate, converso con impeccabili tailleur e assaggio vini senza l’ombra di quelle imperfezioni che a Cerea m’erano sembrate espressione schietta di cose umane e misurabili.

Il biglietto costerebbe euro centocinquanta, in cambio l’accesso esclusivo a cento grandi vini italiani. Chi organizza è Veronafiere con Vinitaly e la collaborazione di Wine Spectator. Opera Wine funziona così: Wine Spectator, in base ai punteggi ottenuti dai vini, dichiara eleggibili quelle aziende meritevoli di partecipare ad Opera Wine. I primi cento che aderiscono guadagnano il diritto di partecipare presentando quell’ unico vino al target di riferimento principale della manifestazione: il mercato internazionale. Questa la lista dei produttori tra cui, per citarne alcuni, compaiono nomi come Allegrini, Arnaldo Caprai, Biondi Santi, Bisol, Bruno Giacosa, Casale del Giglio, Casanova di Neri, Cusumano, Feudi di San Gregorio, Livio Felluga, Antinori, Frescobaldi, Mezzacorona, Planeta, Tenuta San Guido, Tasca d’Almerita, Velenosi, Zonin; insomma il cda del vino italiano, la piazzetta Cuccia dell’enofinanza nazionale. Tutti produttori che si ritroveranno al Vinitaly confusi però in mezzo al mare magno della fiera.

Opera Wine diventa così il cocktail di scampi in salsa rosa del Vinitaly; offre una preview della produzione italiana destinata ai grandi mercati, ma di fatto si limita al ruolo di vetrina; magari di prestigio e un po’ snob, magari corredata da una degustazione prestigiosa e riservata a cinquecento invitati (il Gran tasting), ma sempre e comunque solo vetrina ben lontana da altre manifestazioni cui sembrerebbe ispirarsi (la Wine Experience per esempio). L’impianto è convenzionale: bicchiere all’ingresso, banchetto, produttore-mescitore, assaggio, chiacchiere, via.

La sensazione è che Opera Wine sia un’operazione sfocata. A mezza via tra evento collaterale e manifestazione a se stante, tra degustazione d’elite e una fieraqualcosa, con lo scopo, forse, di allungare il brodo a favore delle strutture alberghiere locali. Per certo è un luogo in cui si parla di mercati, di Cina, di comunicazione, di e-commerce (la nascente piattaforma del Vinitaly Wine Club ad esempio), di opportunità, di progetto, di consumatori, di “emozionalità” espressa da chi propone il vino come valore aggiunto da trasferire ad un prodotto; perché il vino qui è un prodotto, una merce. Un mondo del vino diverso da quello di Cerea o di Villa Favorita, un pianeta abitato dal giovane ricco, business oriented, che con le miglia Alitalia potrebbe arrivare su Giove, come dalla signora di campagna, con più cognomi di un referendum, tutta sorrisi e smeraldi ai mignoli. Due mondi lontani e assai diversi, apparentemente inconciliabili; perché il fair play si esercita anche marcando le differenze senza invadere il campo avversario.

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Giovanni Corazzol

Membro del Partito del progresso moderato nei limiti della legge sostiene da tempo che il radicalismo è dannoso e che il sano progresso si può raggiungere solo nell'obbedienza.

8 Commenti

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Emanuele

circa 11 anni fa - Link

Impavido! Hai pronunciato gli shemot meforashim!

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Giovanni Corazzol

circa 11 anni fa - Link

shemot te sarà tì ;)

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francesca ciancio

circa 11 anni fa - Link

non so giovanni c'è qualcosa che non mi convince. parto però dalla nota positiva: mi piace questo dire le cose esattamente come si pensano, questo "schierarsi" però il ritratto dei presenti - intesi come produttori e produttrici - ad Opera Wine mi pare ingiusto e non corripondente alla realtà. E' bastata una pennellata per capire cosa intendessi, senza fare nomi dell'enofinanza. ma molte di queste persone, le conosco, le conosciamo e sappiamo che non sono così, non sempre, spesso quasi mai. e non credo che la maggior parte di loro vedano il vino come una merce. è di certo il prodotto che gli dà da campare e spesso bene, ma non è come produrre saponette, sono certa che lo sanno.come sono certa che anche tra i presenti a cerea come a villa favorita, un po' di produttori e produttrici hanno indossato la divisa d'ordinanza in stile grunge.

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Giovanni Corazzol

circa 11 anni fa - Link

Francesca, il punto di vista è sempre parziale, riuscire ad esprimerlo attraverso pennellate è piccolo artifizio per collocare le figure sulla scena. sappiamo benissimo che molte signore smeraldate o signorotti borghesi e annoiati li possiamo facilmente trovare, magari mimetizzati, anche a Cerea o a Villa Favorita, altro che. però non sono d'accordo sulla questione della merce; sono certo che nelle grandi aziende vitivinicole si lavori con passione e competenza, tanto quanto sono convinto che lo si faccia anche presso i produttori di sapone. nulla di male, ma con i dovuti distinguo, il prodotto è marginale rispetto all'attività che viene svolta per venderlo. Ma il punto per me non è certo questo. Il punto è che a parer mio quei due mondi non dovrebbero nemmeno confondersi, mentre la tentazione mi sembra ci sia.

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Lorenzo

circa 11 anni fa - Link

Bel leggere e bello scrivere come sempre. Solo: rifermentazione del Vigne Vecchie 2011??? Forse sono arrivato al loro banco dopo troppi altri assaggi.....

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Giovanni Corazzol

circa 11 anni fa - Link

hai ragione, ho corretto, è il Terra dei Preti 2011. grazie

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Lorenzo

circa 11 anni fa - Link

Ok, grazie, figurati che tecnicamente non ci capisco una cippa, vario solo tra mi piace, non mi piace. Ma è che per colle capretta ho un debole, e per il vigne vecchie in particolare. Quindi lo ricordavo meglio di altri e l'avevo già bevuto prima. Sugli "arancioni" sospendo ogni giudizio perchè ci capisco ancora meno e non li sento nemmeno vicini.

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Cristiana Lauro

circa 11 anni fa - Link

Il fair play, come il volersi bene, talvolta, necessitano di distanza. Sennò non ce la fanno! :-) @ piaciuto molto anche a me Colle Capretta vecchie vigne...vigne vecchie...insomma ci siamo capiti, quello dove le vigne non erano giovani. ;-)

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