Molto di quello che sai sul Cile è falso

Molto di quello che sai sul Cile è falso

di Jacopo Cossater

Non che questo sia un lunedì mattina molto diverso dagli altri, anzi. È solo che alcuni dei redattori di Intravino si stanno preparando per la seconda giornata Vini di Vignaioli – la rassegna che si tiene ogni anno a Fornovo di Taro – e da queste parti avevamo pensato di prendere la palla al balzo e raccontarvi una breve storia che riguarda il Cile.

Nulla infatti nasce per caso, e se a guardare la lista degli espositori presenti alla manifestazione di Parma avete notato un certo numero di vignaioli sudamericani è soprattutto grazie a Elena Pantaleoni, sua madre, e la fitta rete di conoscenze che La Stoppa ha creato in quasi vent’anni di frequentazione del Cile, paese in cui può vantare un po’ di terra tra cui alcuni appezzamenti di vigna (oggi in affitto). Ecco quindi che correre a Piacenza per conoscerli prima di Vini di Vignaioli è stata cosa per certi versi naturale, non capita infatti tutti i giorni l’occasione per potersi confrontare non solo con i vini di un paese così lontano ma anche con alcuni dei suoi produttori più piccoli, vignaioli che lavorano solo pochi ettari di vigneto lontanissimi da ogni possibile stereotipo sul Cile ed i suoi vini.

C’è una cosa da sottolineare, forse la più importante di tutte, quella che per forza di cose influenza non solo i vini nei bicchieri ma anche ne contestualizza la genesi: il Cile è paese che non ha mai conosciuto la fillossera, il piede franco è la regola e non l’eccezione, qui parlare di vecchie vigne assume una prospettiva completamente diversa rispetto alla nostra: “non so, mio padre ha circa 80 anni e quando lui era bambino il nostro appezzamento era già considerato molto vecchio; credo sia di circa 250 anni“, racconta Manuel Moraga di Cacique Maravilla (in foto con Elena Pantaleoni). Una viticoltura antica, quasi sempre rappresentata dalla tipica coltivazione ad alberello, che se da una parte racconta l’orgoglio di una nazione dall’altra ne descrive una percentuale minima. Non so quanto si possa parlare di emergenza, mi riferisco a questo immenso patrimonio vitivinicolo, certo è che il Cile degli ultimi vent’anni ha conosciuto un progressivo aumento delle varietà di origine francese (il cabernet sauvignon è recentemente diventata la più diffusa) e un’inarrestabile corsa sia all’aumento delle rese che al ribasso dei prezzi: il grosso del vino consumato in Cile nelle città medie e grandi viene acquistato al supermercato a cifre non lontane da quelle della nostra GDO, sempre sotto i 5 euro. Non solo: il Cile ha una crescente industria cartaria, e molto spesso risulta essere più remunerativo espiantare vigne la cui resa è ormai sempre più bassa a favore di pini ed eucalipti, piante utili alla produzione della cellulosa.

Villalobos, Maitia, Huaso de Sauzal, Cacique Maravilla, Tinto de Rulo, Rivera del Notro. Questi i nome delle 6 cantine i cui vini erano in degustazione sabato pomeriggio a La Stoppa. La prima è quella più settentrionale, si trova nella Valle del Colchagua, poco più di un centinaio di chilometri a sud di Santiago. Tutte le altre provengono da zone più meridionali e in particolare dalle valli del Maule e del Bio Bio. Ci tenevo a segnalare questo aspetto perché ieri, curiosando in rete, ho trovato questa bellissima mappa interattiva su winesofchile.org, sito governativo dedicato alla promozione del territorio all’estero (a proposito, la presenza di queste cantine a Fornovo è possibile grazie al contributo di ProChile, organizzazione che si occupa appunto dell’internazionalizzazione delle imprese cilene). Vini rossi tutti provenienti da vigneti particolarmente datati – il più recente ha una quarantina d’anni – a base o di carignano o di pais, il più tipico e tradizionale dei vitigni cileni. Vini figli di trattamenti minimi in vigna (solo a base di ridotte quantità di rame e/o zolfo) e prodotti senza alcun intervento in cantina, addirittura nella maggioranza dei casi senza anidride solforosa aggiunta in nessuna fase della vinificazione o dell’imbottigliamento.

Vini sempre molto intensi nel profilo olfattivo, non di rado speziati, articolati ed energici al palato. Vini con acidità non particolarmente vive ma al tempo stesso incisivi, ricchi di personalità nonostante pesi specifici tutt’altro che eccessivi. Vini da bere nella migliore accezione del termine. Tra quelli in assaggio io ho segnato sul taccuino il Carignan 2014 di Huaso de Sauzal, un rosso davvero ritmico, maledettamente mediterraneo, squisito nei profumi che continuano ad emergere anche in bocca; il Pais 2015, appena imbottigliato, di Rivera del Notro, se me l’avessero lasciata avrei probabilmente potuto finire la bottiglia tanto era fragrante, fresco, luminoso; il Pipeno 2014 di Cacique Maravilla, poche altre volte ho avuto la sensazione di ritrovare nel bicchiere gli stessi aromi che immagino nell’uva appena colta. Un rosso succoso e leggiadro, aggraziato nell’esprimere una rassicurante ruvidità.

Tutto questo per sottolineare ancora ed ancora quanto un altro “nuovo mondo” sia possibile, fatto di vini lontanissimi sia da quelli che è possibile trovare nei supermercati di mezzo mondo, appunto, che da quelli che sono sugli scaffali più in vista delle migliori enoteche, bottiglie spesso costosissime, progettate a partire da varietà internazionali con un’idea che guardava più al gusto che alla tradizione (di enologi francesi che ne hanno firmate a decine ce ne sono diversi, che ve lo dico a fare). Praticamente un nuovo “nuovo mondo”. Con radici ben piantate nel passato, magari a piede franco.

Jacopo Cossater

Docente di marketing del vino e di giornalismo enogastronomico, è specializzato nel racconto del vino e appassionato delle sue ripercussioni sociali. Tra gli altri, ha realizzato i podcast Vino sul Divano e La Retroetichetta, collabora con l'inserto Cibo del quotidiano Domani e ha cofondato il magazine cartaceo Verticale. Qui su Intravino dal 2009.

4 Commenti

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Sergio

circa 8 anni fa - Link

ma "valli del Maule e del Bio Bio" è uno scherzo? perchè se no la coincidenza di nomi è inquietante...

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Ruggero Romani

circa 8 anni fa - Link

Credo di no: il rio Bio Bio è stato per secoli il confine tra il territorio spagnolo e i Mapuche.

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Gianluca Zucco

circa 8 anni fa - Link

Ho avuto modo di provare in alcune opportunità qui in Brasile sia Maitia (ad eventi, macinati da ProChile, anni luce più dinamico del nostro ICE, fermo all’era glaciale, ma questo è un altro discorso…), che Cacique Maravilla, che già arriva da un po di tempo. Maitia tra l’altro produce Pipeño Aupa provato un anno fa in formato bottiglione e quest’anno pure in bottiglietta, da scolare a tavola senza alcun rimorso, mentre Cacique non sbaglia un colpo sia sul Pais così come sui Cabernet Sauvignon in assemblaggio o in purezza. Senza le ambizioni e dimensioni stile maison che troppo spesso assolano certa produzione argentina e cilena, si tratta davvero di bella roba, verace, un vero piacere, lontano da stereotipi siano essi quelli internazionali così come di certi fideismi naturali.

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Jacopo Cossater

circa 8 anni fa - Link

Grazie Gianluca, felice di aver avuto la tua stessa impressione.

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