Linguaggi del vino: valide alternative al banale mi piace/non mi piace

di Emanuele Giannone

Trasferta di lavoro in un cantiere navale nel Caribe. Si soffre e i motivi sono i più scontati. Innanzitutto c’è che l’equipaggio tende all’unisex e le poche donne a bordo sono bardate alla guisa saudita. Poi c’è che in questa corvée tropicale il vino si trova solo in sogno, in spiritu o compulsando malinconicamente i blog: perché sarà pure Caribe, ma questo è della specie senza neppure una bodeguita rispettabile. Siamo in cantiere, su una nave da crociera in secco: solo uno spaccio di brodaglie brucianti o birracce da uomo di mare. Bottiglie di un certo interesse: due, chiuse nella teca di un ristorante chiuso. Inattingibili fino a fine lavoro.

Greeting from Bahamas

Sublimare così la donna e la sete, leggendo per consolazione. E ritrovare Jezebel, che ahimè non è creola maliarda dalla bruna aureola, bensì un blog generalista, popolare e molto curato. Home of shiny happy ladies il suo sottotitolo, che trovo mediamente repulsivo, ma tant’è. C’è che qualche setimana fa le radiose signore avevano pubblicato un post dal titolo ad alto impatto: “Nuova ricerca determina che i descrittori del vino sono in gran parte stronzate fuorvianti”. Come non invaghirsene? L’attacco in effetti è fresco e sapido, ma la stoffa si smaglia già nel corso del primo paragrafo, gli argomenti cedono fino al collasso dell’ennesimo sondaggio (altro che ricerca), dell’ennesimo campione raccolto a caso per sfornare gli ennesimi giudizi di valore su un tema, quello della lingua del vino, citato sempre più spesso in burla. Non sempre, invero, immotivatamente: negli Stati Uniti la situazione non si discosta molto da quella in Italia, dove l’enolalia annovera innumerevoli attivisti, assortiti nei soliti gruppi di: muffi, logo-onanisti, roboanti, queruli, querelanti, polemici e flatulenti. Però, particolare trascurato dalle Signore, vi sono i fuori quota divisi a loro volta nelle due categorie dei fuori di senno, ovvero gli iracondi e accidiosi istituzionali che per non farsi mancare nulla raggrumano in sé tutte e sette le sopraelencate piaghe del vino; e dei fuori dal mucchio, che Dioniso li protegga, cioè l’esigua minoranza di aedi, adepti, scrittori, didatti, rowdies e bloggers che ancora sanno anteporre l’eno all’ego.

Quella di Jezebel è un’atellana a buon mercato: facile ironia in stile-bagaglino, che si fa beffa dei linguaggi specialistici derivandone opprobria rustica per cravattoni ripuliti e zinnone di contorno. Orsù, Radiose Signore, da voi ci si può aspettare di più. Si fa presto a trovare ridicolo un idioma se non lo si comprende e lo si riduce alla dimensione gergale. In questo modo, chi non prova interesse per il vino tenderà a bollarne il linguaggio come creato a tavolino, autoreferenziale e automatico. E ne troverà le descrizioni astruse e inutilmente ricercate. Questo è il punto di vista di Jezebel, che purtroppo va poco oltre negli argomenti.

Come ogni comunità, anche quella del vino ha i suoi linguaggi. Nel partecipare alla vita di una comunità si adottano il lessico e i temi più consoni alle proprie esigenze di apprendimento e approfondimento. Ora, da provinciale inurbato io potrei scegliere di approfondire la mia conoscenza di Roma concentrandomi su Enzo Salvi, Maurizio Battista, il Sindaco in carica e i passeggeri di un autobus in ora di punta. Ne uscirei a pezzi oppure leghista militante e la colpa sarebbe tutta e solo mia.

Ma vogliamo parlare del vino? Il punto più basso. Sentina dei peggiori, dei malati terminali di protagonismo. Il vino, dominio degli esteti di borgata e domenicali, di quelli tra la supercazzola e il nulla, dei trombonisti schiavi della quaerelatio praecox, dei loro guardaroba che ricordano le tappezzerie di una Fiat 127. Dominio, tra l’altro, di chi non dispone di argomenti ed espedienti migliori per impressionar la tosa. Qui in tempi recenti si è veramente esagerato. Non mancano illustri e arcaici sproloqui su calici, pocula e κύλικες. Ma nel corso del tempo la situazione è andata peggiorando. Preghiamo che mai più ci tocchi in sorte un tedesco come quello che, tra parodia e allegoria, riuscì a infilare il vino del Reno in un poemetto di critica sociale, laicismo militante e – quod erat demonstrandum – caccia alle tose. Con tanto di valutazioni sensoriali.

A un certo punto, però, Jezebel spegne i riflettori. A sorpresa torna la donna di sempre, cioè semplicemente la donna: superiore e imprevedibile. Sigaretta, sorriso, un tocco di rossetto e serietà: “Il gusto –argomenta – è un senso arduo da qualificare, se non altro perché siamo creature limitate e ci basiamo su una serie limitata di simboli e significanti per comunicare significati astratti, come il pensiero, o soggettivi, come il sentimento.”

Si ferma qui, non va oltre. È un invito e lo raccolgo. Se non ti spiace, cara, riprendo e concludo io, l’uomo di sempre, inferiore e prevedibile, il posatore-di-puntini-sulle-i.

Sigaretta, sussiego e gravità: anche per chi ragiona di vino il linguaggio è rappresentazione simbolica, capacità dalla quale discendono le funzioni concettuali. È il primo organizzatore logico dell’esperienza e del pensiero. Ora, se da provinciali inurbati scegliamo come lingua di riferimento quella dei muffi, dei logo-onanisti o di un altro dei sette gruppi di piagati del World Wine Web, la nostra rappresentazione di Enotria sarà inevitabilmente legata all’immagine di questi generatori automatici di confusing bullshit, appartengano essi alla frazione mistica o a quella piaciona, ai mondani o ai cenobiti, ai conviviali o ai rosiconi. Sotto le sette specie ce n’è di sicuro per tutti i gusti, salvo uno. Quello vero. “Il” gusto: realtà fisiologica e percezione estetica, l’impressione sensibile procurata dal vino, la sua enunciazione e soprattutto la sua condivisione. Solo combinando e confrontando giudizi si elabora un riferimento – evolutivo, transeunte – di gusto.

Vedi, Jezebel, io corro ogni giorno il rischio concreto di incontrar logorroici vestiti come le tappezzerie di una vecchia automobile, ma è lo scotto da pagare per discutere, criticare, ridefinire il mio giudizio. Il gusto è questo, non quello indisputabile del proverbio latino, né il presunto e semplicistico gusto comune. È costruzione metaforica, approccio discorsivo infinito perché determinato dal carattere vario, vivente, dinamico del vino. Se è vero quel che scrivi tu, my Jezebel, il gusto è dominio di marchi e comunicazione di marketing più che di senso e intelletto. Io ti capisco pure, ma se tu stronchi a priori gli sforzi di evocazione metaforica come pompa e circostanza, allora sei vittima di un pregiudizio forte almeno quanto la vanagloria degli eno-snob. Se vale quel che dici tu, allora chi trasale calandosi nelle foreste di simboli, nella natura mahleriana, nel pineto dannunziano, nella langa estiva di Pavese, in un cimitero campestre o in uno scorcio georgico di un genio a tua scelta tra Whitman, Plath, Dickinson e Pope è un cazzaro…

Jezebel mi guarda, sorride e soggiunge: “Infatti tu sei un cazzaro, sweetheart”.

 

Emanuele Giannone

(alias Eleutherius Grootjans). Romano con due quarti di marchigianità, uno siculo e uno toscano. Non laureato in Bacco, baccalaureato aziendalista. Bevo per dimenticare le matrici di portafoglio, i business plan, i cantieri navali, Susanna Tamaro, il gol di Turone, la ruota di Ann Noble e la legge morale dentro di me.

34 Commenti

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suslov

circa 11 anni fa - Link

non ci ho capito unca

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Fiorenzo Sartore

circa 11 anni fa - Link

dice che chi semplifica sbaglia. (oh, no...)

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suslov

circa 11 anni fa - Link

antani

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Emanuele

circa 11 anni fa - Link

Io Le voglio bene, e proprio per questo Le ho dato la soluzione in anticipo. Torni all'ultima riga.

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Eleutherius Grootjans

circa 11 anni fa - Link

Grazie Fiorenzo, full score.

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winemining

circa 11 anni fa - Link

http://www.youtube.com/watch?v=moL4MkJ-aLk

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Emanuele

circa 11 anni fa - Link

Ch'Iddìo La conservi a lungo e in salute.

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Stefano Cinelli Colombini

circa 11 anni fa - Link

Che si fuma nel Caribe? Se per te quattro bellone abbronzate sono la corrente moda saudita, permettimi di aspettare il tuo ritorno nel Bel Paese per giudizi coerenti sui massimi sistemi.

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Emanuele

circa 11 anni fa - Link

Non si fuma, almeno non in questo Caribe, dove dealers & cops hanno stipulato un'intesa cordiale: chi vende roba a un turista lo segnala ai poliziotti, che acciuffano lo sprovveduto, lo sbattono dentro e lo rilasciano dietro pagamento di una cauzione di qualche migliaio di dollari. E' l'evoluzione della tassa di soggiorno. Sulle quattro bellone abbronzate: ho scritto "quasi" unisex. E dopo queste minima moralia, ci vediamo - forse presto - sub monte Lucini per i massimi sistemi.

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Stefano Cinelli Colombini

circa 11 anni fa - Link

Utinam.

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Max C

circa 11 anni fa - Link

stica... meco... parde...

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Ilaria

circa 11 anni fa - Link

Ma se la dimensione vivente di cui parli fosse un privilegio di tutti forse non ci sarebbero né Jezebel né muffi né poeti! Non puoi opporti al triste destino della metafora che è quello di essere codificata. Sul fine evolutivo ho qualche dubbio, forse perché il significato di evoluzione mi sfugge: se l'esperienza sensoriale è così gratificante (e vitalizzante) perché frammentarla in una deriva di significati? Grazie per il bell'articolo, da leggere e rileggere.

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Emanuele

circa 11 anni fa - Link

Grazie a te. Risponderei volentieri e lo farò se vorrai darmi un'indicazione: la "deriva di significati" non è l'evoluzione alla quale pensavo. "Deriva di significati" mi sembra, e correggimi se sbaglio, molto simile alla scatola-dei-profumi mandata a memoria e ripetuta stocasticamente, alle novene di degustazione condotte da pseudo-mistici enoici, alle litanie di riconoscimenti. Se è questo il caso, non è questa l'evoluzione alla quale facevo riferimento,

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Ilaria

circa 11 anni fa - Link

Non so, sinceramente, questo è un punto complesso per me. Perché dal mio punto di vista forse l'artista e l'esteta o gourmandise differiscono proprio lì dove tu parli di "fine evolutivo". Da una parte c'è la rievocazione metaforica dell'esperienza sensoriale a puro scopo di contemplazione dall'altra c'è una rievocazione diversa, tanto più spirituale quanto più si addentra nella parte oscura del piacere e della sofferenza al fine di modellarla o di espiarla (e qui vedo il fine evolutivo). Forse sono stata contorta!

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Emanuele

circa 11 anni fa - Link

Grazie per la precisazione. Tutto chiaro, nessuna "contorsione". Passami un paragone: se lo scopo del rievocare è quello della contemplazione, allora o si è Proust o si finisce nel più noioso autocompiacimento. Se invece lo scopo è un'indagine sul piacere del vino (capisco l'ipotesi della sofferenza, ma francamente non saprei come applicare al vino) e vede coinvolti più soggetti riconosciutisi pari nel titolo a esprimersi, siamo nel campo del discorso sul vino; ciò che a mio modo di vedere coincide con il processo di evoluzione del gusto. Non si conosce, non si impara il vino solo assorbendo le lezioni di un maestro; si impara molto di più parlandone con chi lo produce e tra pari. L'idea della classica degustazione guidata è quanto di meno utile e didattico io possa immaginare in relazione all'evoluzione del gusto.

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vincenz

circa 11 anni fa - Link

E' un articolo interessante. . .anche perchè ha il fascino delle cose poco chiare. E che richiedono un sforzo maggiore nel lettore. Anche le descrizioni/recensioni dei vini sono poco chiare,almeno per il grande pubblico ed anche per un consumatore medio.Anche qui il linguaggio oscuro ha un senso,affascina,stordisce,ammalia,rincoglionisce il consumatore. Un linguaggio molto più chiaro,risulterebbe banale e di conseguenza banalizzerebbe il prodotto.Il vino ha bisogno dei suoi cantori per svuotare le cantine. . .possibilmente a prezzi alti.A volte fuori da ogni logica. Sarebbe una follia comunicativa (e di marketing),per gli interessi in gioco,quella di passare dall'oscurità alla chiarezza.E' come passare dalla sbronza alla sobrietà

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dva45

circa 11 anni fa - Link

Mah... devo dire che l'idea che il lettore debba fare uno sforzo per capire delle cose poco chiare non mi convince (mica stiamo leggendo Schopenhauer). Che poi le cose poco chiare abbiano sempre e necessariamente fascino, mi convince ancora meno. Quest post sembra uscito dritto dritto dall'Ufficio Complicazione Cose Semplici. Basta il fatto di scrivere "atellana" invece di commedia e metter l'hyperlink, di modo che tutti possano andare a vedere cosa vuol dire e pensare "Acccipicchia quanto ha studiato l'autore!" In tutto cio, devo ammettere, magari sono io che rosico perche' non ho capito cosa mai volesse comunicarci il post. Ma mi sa che siamo in tanti... E se un testo di 1100 parole si puo riassumere in "chi semplifica sbaglia" allora Jezebel non ha mica tutti i torti... Chi semplifica il linguaggio del vino sbaglia, ma chi complica inutilmente il linguaggio sul linguaggio del vino sbaglia ancora di piu'. giusto un idea http://www.economist.com/styleguide/introduction

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Emanuele

circa 11 anni fa - Link

Se mi riduce l'atellana a commedia non posso che pregare per Lei. Ma ha veramente contato le parole? Sono onorato e al contempo preoccupato. Onora e preoccupa sapere che i lettori di Intravino sono a tal punto analitici. Solo, La prego, non scelga proprio la styleguide dell'Economist, giornale comunista e anti-italiano del quale sono stato abbonato dal 1993 al 2011, perché la trovo poco più che un compendio raccapricciante di logo-riduzionismo condito in pompa albionica. Se veramente legge l'Economist e non ha solo attinto al vademecum del provetto redattore, noterà che la rivista ospita molte penne faconde ed eleganti, persino rubriche intere che fan tanto stile quanto contenuto (ad es. Bagehot). A me della guida dell'Economist frega assai poco. Guardo ad altri, ne sparo volentieri tre for your convenience: Gregory, De Mauro, Franzen.

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dva45

circa 11 anni fa - Link

le parole le ha contate Bill Gates: c'e' una semplice funzione in word che lo fa con un click. Se uno ha fatto l'Universita' in Inghilterra, quella funzione la deve conoscere, perche i term papers di 5000 parole devono proprio essere di 5000, non 5500... Una curiosita: che l'Economist sia una rivista Comunista glielo hanno detto ai circoli del popolo della Liberta? Perche definirla tale genera molti dubbi sul fatto che lei la abbia mai letta, o se l'ha letta, cha abbia capito cosa c'era scritto. Senza offesa, io lo leggo da moltissimi piu anni, e per quello che ne sa lei, potrei pure aver scritto per loro. Resta il fatto che, pur avendo un PhD in political economy, a volte non capisco qualche concetto. Come anche non capisco cosa sia il logo-riduzionismo, ma lasciamo perdere. Se l'economist ha un vantaggio, e' che e' scritto semplice-semplice, secondo la propria guida del provetto redatore. Uno stile, diciamo, diverso dal suo. Sull'Atellana, che fino a stamattina non avevo idea di cosa fosse (e adesso neache, sembra), il suo hyperlink, nella prima frase della pagina di Wikipedia dice: "L'atellana fu un genere di commedia, originariamente in dialetto osco, in uso già dal IV secolo a.C.. Si trattava di carmi mimati." Il resto non l'ho letto, il dialetto osco mi ha impedito di farlo, ma, I mean, l'hyperlink lo ha messo lei... Anyway, commedia o non commedia, la cosa piu importante e' che si sia messa in hyperlink.... Se non sono stato charo prima, adesso spero che lo sia. Se non lo capisce adesso, saremo in due a pregarci addosso reciprocamente.

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Emanuele

circa 11 anni fa - Link

Ecco: avrà anche studiato di presso alle bianche scogliere di Dover, ma forse un esame le manca. Lettura critica. Che il comunismo dell'Economist fosse facile, facilissima ironia era chiaro a tutti. Meno che a uno. Guardi, lasciamo stare. La mia guida alla scrittura non esiste, o se esiste l'ha scritta Thomas Mann. Il perché, se La incuriosisce, non riuscirei a spiegarlo tanto bene quanto Jonathan Franzen in "Discomfort Zone".

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dva45

circa 11 anni fa - Link

Addirittura Thomas mann... Mi mette un hyperlink a Discomfort Zone per favore?

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Emanuele

circa 11 anni fa - Link

Provo a fornire uno spunto. A me basterebbe che chi descrive o comunica il vino fornisse a chi lo acquista una o più informazioni tra: a) quelle oggettive (provenienza, processi produttivi, ingredienti); b) separatamente dalle prime, quelle soggettive (giudizi di valore); c) ultima, e solo ultima, la fuffa. Sulla fuffa: più un vino è anonimo, più gli si appiccicano addosso crismi e patenti di oggetto d'arte, adeguando il messaggio a un livello presunto da pseudo-esteti. Trovo sommamente noiosa la popolare definizione di "artista del vino", o quella di "vino d'artista", che il più delle volte nasconde e imbelletta un vino semplicemente kitsch. Quel che è unico, come l'opera d'arte, è difficilmente condivisibile e riproducibile. Quindi non adatto alla massificazione. Il kitsch è esattamente la conseguenza della massificazione dell’estetica, ovvero della creazione di un’estetica destinata alla gente-mercato. Zum wohl!

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Nelle Nuvole

circa 11 anni fa - Link

A me l'uso superficiale e casuale delle parole provoca l'orticaria. La prosa di Emanuele Giannone me la fa passare. Perché, nonostante la mia conoscenza della lingua italiana sia limitata a circa 600 vocaboli, conosco tutte quelle che lui ha scritto - a parte "pocula", ma mi sono aggiornata - . Certamente, per chi è abituato ad un altro linguaggio "blogghistico" può essere spiazzante. Qui siamo su livelli più alti, borderline fra l'abilità di usare certi termini per dire veramente qualcosa e il rischio di strafare con troppe evoluzioni linguistiche che richiedono un'attenzione superiore ai pochi minuti che di solito dedichiamo alla lettura di un post. D'altra parte chi meglio di Emanuele poteva intervenire riguardo ad un argomento che coinvolge forma e sostanza. Nel senso che a volte un'eccessiva semplificazione della forma non è altro che l'espressione della povertà della sostanza. Se non avete capito quello che ho scritto, rivolgetevi all'autore del post, io sono troppo occupata a leggermi l'ultima edizione dell'Economist,rivista comunistoide che leggo solo per aggiornarmi sui movimenti del nemico. Nel caso non si fosse capito, sto facendo dell'ironia :)

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dva45

circa 11 anni fa - Link

Questo post invece l'ho capito, e non mi ha spiazzato, per me e' positivo, stavo perdendo fiducia nelle mie capacita' intellettuali. Mi conforta inoltre sapere che non sono solo a pensare che ci si muova in territorio borderline. E complimenti per la sottile ironia, degna di Flaiano o meglio, per restare anglofoni, di Mark Twain...

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armin kobler

circa 11 anni fa - Link

cara nn, dubito che il fatto che io da allogeno abbia capito finora tutti i tuoi post e commenti sia lusinghiero per te. ma io ne sono contentissimo.

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Nelle Nuvole

circa 11 anni fa - Link

Fai bene a dubitare Armin, perché quello che hai scritto non è lusinghiero per me, ma molto di più :)

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francesco

circa 11 anni fa - Link

Non si capisce un " tubo " ( ? ), ma come si può scrivere una cosa del genere su un blog di vino ?

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Emanuele

circa 11 anni fa - Link

Guardi, è una storia lunga, lunghissima. Mettiamola così: quando avrà non meno di 66 anni e d'improvviso si sentirà interessato al recupero di qualche classico, o di qualche francese rompiscatole e spocchioso, faccia una ricerca su Google per la stringa vino + convivialità, oppure vino + estetica. Si troverà proiettato in un complicatissimo e inutile mondo fatto di nomi vetusti e di poca utilità quali Aristotele, San Tommaso d'Aquino, Ivan Illich, Rabelais, Le Gris, Chauvet, Leglise e tanti altri. Farà la sinistra scoperta che persino oggigiorno, persino in tempi di crisi e con poco tempo per indugiare su questioni oziose, sopravvivono alcuni stolti passatisti che ripercorrono le peste muffe dei dinosauri e dei boriosi transalpini. Gravina, Sangiorgi, Costa-Sedille...

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Tenerello N.

circa 11 anni fa - Link

Siamo alla banale differenza tra complessità e complicazione. I testi molto densi ma puntuali sono complessi, i testi volutamente intricati sono complicati. Questo post non è certo un testo complesso.

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Emanuele

circa 11 anni fa - Link

E va bene. Ecco la verità: questo post è una marchetta. L'ente del turismo delle Bahamas ha offerto un festino creole-e-coca a noi di Intravino. Una vergogna. Ora, so bene che, comparendo la parola "coca", un addetto alla quaerelatio praecox avrà già allertato il commissariato di Provaglio d'Iseo, ma cosa fatta capo ha. Faremo penitenza. Intanto, La preghiamo, non ci sia ostile. Alla prossima invitiamo anche Lei.

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Tenerello N.R.

circa 11 anni fa - Link

Ottimo, grazie, preso nota. Non aggiungo altri commenti, vedo che è già impegnatissimo a rintuzzare le numerose osservazioni non proprio favorevoli: una citazione lì, una frecciatina là, una spruzzata di sarcasmo dove occorre. Un'ultima annotazione: le maiuscole (La preghiamo, Lei) vorrebbero forse suonare ironiche, nei fatti ricordano solo l'italiano delle lettere commerciali.

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Emanuele

circa 11 anni fa - Link

Non si sottovaluti, ha indovinato di nuovo: scrivo lettere commerciali al ritmo di circa trenta a settimana. La mia è una banale deformazione professionale.

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francesco

circa 11 anni fa - Link

Nessuna ostilita', sono sempre piu' convinto che lei abbia sbagliato a scegliere un wineblog vinicolo, per pubblcare lu sue esternazioni

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Eleutherius Grootjans

circa 11 anni fa - Link

dva45: da dove sono ora non posso. Ma se rimedia una copia di Zona Disagio, il racconto è quwllo dal titolo La Lingua Straniera.

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