L’Apocalisse prossima ventura: il vino è una specie in via di estinzione

di Antonio Tomacelli

Vuoi perché in cantina ho scorte sufficienti fino al 2030, vuoi perchè vivo in una città che a novembre affoga nel mosto ma la notizia sulla prossima estinzione del vino a me proprio non mette i brividi. Figuratevi poi se l’allarme arriva dalla Morgan Stanley, una banca la cui credibilità ha lo stesso valore delle azioni Alitalia, cioè zero. Che poi, a leggere bene il rapporto, mancherebbero all’appello qualcosa come 300 milioni di casse su 3 miliardi complessivi che rappresentano la produzione mondiale. Insomma, secondo Morgan Stanley ne beviamo più di quanto ne produciamo e ciò è dovuto più che all’aumento dei consumi, al calo di produttività che ha investito un po’ tutte le zone vinicole del pianeta. Le cause? I fattori climatici in primis e poi la contrazione delle rese per ettaro a favore della qualità, gli incentivi all’estirpazione dei vigneti nell’Unione Europea e la crisi di alcuni paesi — leggi: Austrialia — che, negli anni passati, hanno giocato al piccolo vignaiolo d’azzardo.

Ciò detto, quanto dobbiamo preoccuparci di rimanere con l’ugola a secco? Direi zero, un po’ perchè gli scaffali di enoteche e supermercati crollano sotto il peso delle bottiglie esposte, un po’ perché non si capisce bene a quale tipologia di produzione faccia riferimento l’analisi di Morgan Stanley. Mi spiego: il confine tra vini di qualità alta, media o spregevole è quanto mai labile. Se l’analisi ha preso in considerazione tutti ma proprio tutti i big player del settore (compresa la cantina sociale a due passi da casa mia), forse fareste meglio a mettere da parte qualche bottiglia. In caso contrario “tornate a casa, non è successo niente”.

“Resteremo senza vino?” non è male come titolo, ma non scatenerebbe un allarme sociale neanche tra le Giovani Marmotte.

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Antonio Tomacelli

Designer, gaudente, editore, ma solo una di queste attività gli riesce davvero bene. Fonda nel 2009 con Massimo Bernardi e Stefano Caffarri il blog Dissapore e, un anno dopo, Intravino e Spigoloso. Lascia il gruppo editoriale portandosi dietro Intravino e un manipolo di eroici bevitori. Classico esempio di migrante che, nato a Torino, va a cercar fortuna al sud, in Puglia. E il bello è che la trova.

5 Commenti

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Paolo Carlo

circa 10 anni fa - Link

Beh, se rimanete senza vino fate un salto in cantina da me, forse qualche bottiglia ve la tengo ;-) Ciao, Paolo

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Davide g.

circa 10 anni fa - Link

vorrei solo far notare che la relazione Morgan Stanley non dice assulutamente che il vino finirà.

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Stefano Cinelli Colombini

circa 10 anni fa - Link

Morgan Stanley dice che secondo gli ultimi dati noti la produzione mondiale di vini di alta gamma è stata inferiore alla richiesta di circa il 10%, per cui tra qualche anno ci sarà carenza e i prezzi saliranno. Dai dati dei vini top italiani questo non risulta, né come Denominazioni né come aziende al vertice; stai a vedere che, more solito, hanno confuso la Francia con l'universo mondo.

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gianpaolo

circa 10 anni fa - Link

che la produzione di vino sia in diminuzione, in alcuni paesi come da noi in modo sensibile, e' un fatto. Che in Europa ancora si sia convinti che il potenziale vinicolo possa essere controllato a stecchetto, e che questo poi sollevera' le sorti del vino europeo nel mondo e' ancora un fatto. Cosi come un fatto e' che la Cina e' oggi il 4 produttore mondiale, con un +94% negli ultimi anni, mentre l'Italia e' sul -24%. I numeri li trovate tutti sui rapporti dell'OIV, liberamente scaricabili. Quello che ci dicono e' semplice, la produzione si sposta piano piano, ma neanche tanto, da altre parti del mondo, e i mercati semplicemenre scelgono quello che fa comodo a loro, non a noi. Detto questo, ci sono grandi possibilita per il vino italiano, ammesso che sia piu' concentrato sulle cose che contano, qualita, quantita, promozione, piuttosto che con le misure di mercato, che in buona sostanza non funzionano e non hanno mai funzionato.

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Jean

circa 10 anni fa - Link

C'entra poco, ma segnalo su "il Foglio" di ieri un articolo di Camillo Langone dal titolo "Gli italiani sono diventati enofobi".

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