L’altra Italia. Visita poetica nella Domus Vinaria di Alessandro Dettori

di Pietro Stara

Il sole aveva raggiunto il suo punto più alto a mezzogiorno, in quel giorno sesto del mese dedicato ad Augusto, allorché, col mio carro rubino trainato da’ buoi dell’assai lontano Sol di Levante (Suzuki), mi accingevo a far visita ad Alessandro Dettori, nella sua domus di Badde Nigolosu, una balle di binias che sorridono al mare della Romangia, a levante della bidda di Sennori nel Giudicato del Logudoro. A scorgere all’orizzonte, imbrunita dalla calura, trasudava l’insula Sinuaria. Ci abbracciammo come si conveniva ad hospiti lontani. Po’ Alessandro mi introdusse alla conoscenza di due alemanni di stanza a Montalcino, Caroline e Jan, del Pian dell’Orino, anch’essi domini di villa co’ binias, giunti in loco per unire una giovane amicizia e il sodalizio nella rinascita delle denominazioni. Disputarono durante il desinare, come si conviene a sapienti alchimisti, dello studio sulle proprietà della legna arsa da immergere nelle profondità della terra per combattere il sopravvento di quelle affezioni che forano la vite allorché l’acqua sosta troppo lungamente.

Alessandro, fuori da ogni convenzione del suo rango, ci porse, su tavole di legno, salumi di grandissima bontà provenienti dalle bestie dei tenimenti dello tziu: si sa, e non solo in quelle parti, che la terra si tramanda alle schiene da spezzare. Agli altri le bestie. Poi la pasta con bottarga. Brodo di cottura, mai cipolla in olio, usanza barbara introdotta dai sarracini della costa ferma. E tutto annaffiato con il vinu sia bianco che nero a far appagare un così sontuoso banchettare. Alessandro ci narrò lungamente del suo ritorno alla terra e, di come un antico monito per iscritto, ritrovato nel condaghe del padre di suo padre, fece tornare lui, dottore in conduzione delli commerci, da luoghi foresti ad impugnare la vanga. Mai scelta si rivelò più assennata.

All’ora terza pomeridiana, caldi di cibo, di vinu e di sole, principiammo il camminare nelle terre horticole e vineate. Quale meraviglia per gli occhi la vista di un cultum estivo ricolmo di biete, ascariole, lattughe, endivie, fagioli, zucchine e i loro fiori per far frictella ed erbe virtuose di ogni sorta, a cui Alessandro pose, con voluttuoso talento, un sistema di irrigazione che manco nelle donnicalie del majore de bidda. Un po’ oltre il cultum invernale co’ cavoli pure per merenda. Di fronte del pollame, oche, anatre in terra cuniata, e pavoni, ahinoi, sfoltiti da un giovane cane che così volle far festa.

Ed ecco che, dopo breve tratto, comparve la binia nova, pastinata in un eremo di terra compatta a base sabbiosa. Ceppi a vite bassa in assa catalana, delli alberelli a tre branche, d’uva pascale: “vangai la terra quand’era ancora intrisa d’acqua e non in tempera”- proferì Alessandro – “perché in codesto Giudicato il maiore de vinu e i suoi esecutori binarios, impongono la plantagione de’ le viti soltanto tra il primo di Februarius e l’ultimo die di Martius, se aiuti in pecunia del Granducato di Borsella, si voglion ottenere. Mi toccherà portar aria nel terreno!” Il metodo delli alchimisti della natura fu vantato come lo meliore tra molti.

Passammo, quindi, innanzi a de’ ciucci: un asino, un cavallo nano (pony sardo) e un cuaddeddu subito prima di giungere alle grotte ove si trovano li tini e si posan l’uve. Prima le uve, gittate da un foro apposto nella cima della grotta, le poggian su li tavoli per cernere quelle buone da quelle pe’ li corvi. Enormi li tini, non di legno come vuolsi la tradittione romana, ma vieppiù di sabbia impastata e solidificata, a cui fianchi son poste dei frigidari per rinfrescar l’uve, e aperte sul cappello. Senza che ciò inibisca il sobbollimento, che principia da sé, delle uve. Le uve poste ne’ li tini non vengon pigiate co’ li piedi come vuolsi in ogni parte del regno ma, levati li raspi, vengon ammostate acciocché il contatto delle bucce principi il sobbollimento. Poi li travasi in tini più piccoli di sabbia solidificata, sin che li fiaschi, dopo due o tre anni, accolgano il nettare di Bacco.

Ci salutammo in serata co’ un piccolo scambio di doni e un abbraccio. Aggiogati i buoi di Kobe, partii col mio rosso alla volta di Longosardo.

Ecce li vini di Dettori giudicati da me medesimo. Con licenza de’ superiori e privilegio. Pei moderni invito alla lettura dagli esimi bottiglieri Andrea Gori ed Emanuele Giannone.
Bianco (vermentino). Vinoso, frigido e di odore buono e soave, di color giallo intenso, salato di acqua marina.
Monica (Chimbanta). Formoso e fragrante, fendente come l’ala di un’aquila che taglia il cielo e poignant (nervoso e mordente).
Cannonau. Suol Alessandro chiamar i suoi vini da tali uve in siffatte maniere: Tuderi, Tenores, Dettori. Vini de li antichi sardi, pieni, neri, superbamente forti e vigorosi. Assai caldi, tengono a sé la terra profonda, la sabbia, il calore del sole e la vita che di fuori ne esce. Poi dolcezza premuta colle mani.

Legenda.
balle di binias: valle di vigne
bidda: paese (nel medioevo anche comune)
Giudicato del Logudoro: I Giudicati sardi furono entità amministrative autonome che ebbero potere in Sardegna fra il IX ed il XV secolo: Il Giudicato di Cagliari, Il Giudicato di Torres o del Logudoro, Il Giudicato di Gallura, Il Giudicato di Arborea (Oristano)
insula Sinuaria nome antico dell’isola Asinara
tziu: zio in sardo
condaghe: Definiva originariamente la raccolta degli atti di donazione a favore di un ente ecclesiastico; in seguito acquistò maggiore estensione semantica, descrivendo un registro patrimoniale in cui erano raccolti inventari ed annotazioni varie riguardanti atti notarili e giudiziari.
donnicalie: grandi aziende agricole che si potevano trasformare in veri e propri villaggi rurali
majore de bidda: equivalente di un sindaco moderno con compiti amministrativi e giudiziari nominato dal Curatore (Curatorias ovvero distretti amministrativi del Giudicato)
cuniata: recintata
pastinata: vigna di nuovo insediamento
assa catalana: coltivazione ad alberello, prevalente nelle zone costiere e più calde, che si contrappose all’assa sardisca dove di maritavano le viti ai pali
maiore de vinu: sovrintendente distrettuale e amministrativo responsabile delle vigne e del vino da cui dipendevano dei funzionari (Codice rurale di mariano IV di Arborea)
cuaddeddu: cavallino della giara
binarios: sovrintendenti alle fasi della vendemmia e della vinificazione
Borsella: nome antico (italico) della città di Bruxelles
Frigido: fresco (termine medievale per la descrizione dei vini)
Longosardo: nome antico di Santa Teresa di Gallura

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Pietro Stara

Torinese composito (sardo,marchigiano, langarolo), si trasferisce a Genova per inseguire l’amore. Di formazione storico, sociologo per necessità, etnografo per scelta, blogger per compulsione, bevitore per coscienza. Non ha mai conosciuto Gino Veronelli. Ha scritto, in apnea compositiva, un libro di storia della viticoltura, dell’enologia e del vino in Italia: “Il discorso del vino”.

3 Commenti

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Alessandro Dettori

circa 9 anni fa - Link

Grazie Pietro per il tuo racconto poetico che mi ha divertito e inorgoglito, tra binias, Giudicati e buoi di Kobe. Mi hai fatto sentire un Signore...anzi un Signorotto :-) Ma torniamo alla nostra realtà: oggi, riunione pre-vendemmia httpv://www.youtube.com/watch?v=Ry03wwuS4j8

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matteo gavioli

circa 9 anni fa - Link

Grande Alessandro, un abbraccio da noi Bolognesi nella speranza di farti visita il prima possibile. Matteo ed Elena

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carolaincats

circa 9 anni fa - Link

ecco io a legger ste robe gongolo tutta!!! bellissimo!!! bella anche la risposta di ale ahahhahahahhahha!!!!

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