La viticoltura ai tempi del fancazzismo

di Pietro Stara

L’altra sera mia suocera mi intima di andare a raccogliere i fagiolini nell’orto, gli ultimi rimasti di una breve sequenza tardiva. Alla calura delle 19.30 faccio il mio ingresso trionfale oltre il cancello e mi dirigo verso il coltivato: davanti ai miei occhi l’orto più imbarazzante del vicinato se non del pianeta terra. Spelacchiato, arido, bruciacchiato e infecondo come da anni non se ne vedeva uno.

Devo però fare un passo indietro, altrimenti non ci capiamo. Ci troviamo intorno ai 700 metri di altezza sull’Appennino ligure che valica nel piacentino: splendide montagne adornate da faggi e castagni che tendono a trasformarsi in boschi misti di latifoglie e ai cui piedi favoleggiano sottoboschi ricchi di primule, anemoni, epatiche, viole e scille. Funghi quando il tempo è giusto. Un tempo pure viti e vino, ma ve ne parlerò. Il fiume Trebbia, che nasce dalle pendici del Monte Prelà, sui monti dell’Antola, fende la valle sino a gettarsi, dopo aver zigzagato per 118 km, nel Po quando si avvicina a Piacenza. Una bellezza mozzafiato che ha fatto pronunciare, ad un Ernest Hemingway carico di rum come un barilotto, la fatidica frase: “la più bella valle del mondo”. Solo che prima di lui ci passò, con pareri meno entusiastici, Annibale e i suoi elefanti: il 18 dicembre del 218 a.C., durante la seconda guerra punica, il grande condottiero cartaginese si scontrò contro le legioni romane del console Tiberio Sempronio Longo.

E’ una terra dura, sassosa e avara da far sembrare quella di Fontamara il giardino dell’eden. Qui vengono bene le patate, la famosa ‘quarantina’ ricordata con indefesso amore dal fu professore Giovanni Rebora: «pensa un po’ che dei nesci (in genovese stupidi) hanno fatto persino un presidio per la salvaguardia di quella patata di merda» Poi è vero, cresce un po’ di tutto, ma non come dall’altra parte del Turchino: qui devi dare una grossa mano a ciò che coltivi, mentre di là dal monte, dove si sente l’aria di mare, viene tutto più facile.

Noi eravamo soliti dare una grossa mano di merda, quella delle vacche di Moglia (Rovegno), una piccola frazione di case rurali arroccata sul versante destro del fiume. Una bella quantità di merda di vacche che pascolano liberamente dalla tarda primavera ai primi freddi d’autunno. Me ne caricavo in auto qualche sacco, creando in siffatto modo un punto di congiunzione aromatico con i sentori al pino silvestre dell’abre magique che ricordano certi vini balsamici e terrosi d’importazione transfrontaliera. La si rigira per bene con la terra qualche tempo prima di seminare. Dopo la semina bisogna bagnare per bene la sera e il mattino, togliere le erbacce infestanti, rabboccare la terra intorno alle piante, separare quelle che hanno gareggiato per la supremazia e cose che si fanno normalmente da qualsiasi parte. Ebbene, quest’anno non abbiamo fatto praticamente nulla, se non spargere i semi: abbiamo bagnato, con questo tepore estivo, un giorno sì ed altri quattro no e via dicendo. Il risultato è semplicemente demoralizzante, visivamente scoraggiante e didatticamente esecrabile, a meno che non venga utilizzato per spiegare agli scolari delle superiori di agraria come “non si fa un orto”. Un po’ come fanno le associazioni di sommellerie quando ti rifilano scorte di vini difettosi a scopo diseducativo e, secondariamente, ma non in senso gerarchico, per liberarsene .

Così me ne torno a casa amareggiato con la mia ciotolona di fagioli verde scuro filamentosi e rinsecchiti. Inizialmente penso ad una rapida estirpazione di ciò che ancora sopravvive all’inattività umana. Poi mi dico che non è il caso, tanto chissenefotte dei vicini ‘sagneur’ (borioso in piemontese).

Ci bevo su e rifletto sul fatto che devo trovare un punto teorico di forza per tale impresa: tradurre un’aperta sconfitta in un’improbabile vittoria. Cerco un appiglio dottrinale e lo trovo nel nichilismo estremo contemporaneo che ha come controparti esecutive il nullafacentismo radicale e il nientismo pratico.

Mi immagino, subito dopo, le grandi potenzialità di tale teoria applicata alla viticoltura parvenu: giovanotti arricchiti, in men che non si dica, con Credit Default Swap convertiti in buoni del tesoro greci con una redditività superiore all’incremento del debito pubblico italiano degli anni ottanta, desiderosi di investire in viticoltura selvaggia. Seguaci del motto “venga quel che venga, tanto noi non muoveremo un dito”, godranno della stupefacente rendita di un grappolo botritizzato ad ettaro. Con la possibilità di produrre, ma su questo occorreranno dei ragguagli di nullafacentismo cantiniero, circa uno 0,25 di un vino qualunque per un’estensione minima di 10 ettari di vite lasciata a sé. Nel caso in cui si voglia commercializzare tale prodotto non si potrebbe non pensare che ad un cifra superiore ai 10.000 euro a bottiglietta.

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Pietro Stara

Torinese composito (sardo,marchigiano, langarolo), si trasferisce a Genova per inseguire l’amore. Di formazione storico, sociologo per necessità, etnografo per scelta, blogger per compulsione, bevitore per coscienza. Non ha mai conosciuto Gino Veronelli. Ha scritto, in apnea compositiva, un libro di storia della viticoltura, dell’enologia e del vino in Italia: “Il discorso del vino”.

6 Commenti

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michele fino

circa 9 anni fa - Link

Idolo. Pietro Stara idolo. E sì, sono di parte.

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Emanuele

circa 9 anni fa - Link

Fun-tastic!

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Stefano Cinelli Colombini

circa 9 anni fa - Link

Come l'asino del proverbio; ora che l'avevo abituato a lavorare senza mangiare, quel farabutto m'è morto. Ma è difficile spiegare ai simpatici amici non-colturisti (o se dicenti vin naturalisti) che cibo e medicine, al limite naturali, sono elementi indispensabili per ogni essere vivente.

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Paolo R

circa 9 anni fa - Link

"Ora che l'avéo avvezzo a un mangià, m'è morto!" Così è anche più frizzantino!

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francesco vettori

circa 9 anni fa - Link

E' molto verosimile che nei tempi lunghi della storia, e lunghissimi della preistoria, si sia coltivato e imparato a coltivare fondamentalmente per mangiare.

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carolaincats

circa 9 anni fa - Link

io, per dirne una, sto dando h2o di soccorso... tipo 450 mt di tubo da posare a mano sotto le bellussere... con 40 gradi quando va bene....

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