La solitudine del degustatore seriale alla cieca
di Pietro StaraBeviamo qualcosa con qualcuno, beviamo qualcosa con qualche cosa: siamo dei simposiasti, degli abbinatori, dei socializzanti. Parliamo di vino con un bicchiere di vino in mano: magari non proprio di quel vino. Paragoniamo quel vino ad altri vini. Parliamo di tutto con un bicchiere di vino in mano. Mangiamo e beviamo: contrapponiamo, accompagniamo, non sopraffacciamo. Zigzaghiamo. Guardiamo le etichette. Leggiamo le etichette: davanti, dietro e poi di nuovo davanti. Mettiamo gli occhiali, togliamo gli occhiali: strizziamo gli occhi. Lo andiamo a trovare là in vigna e un po’ più sopra, in cantina. Ci piacciono le sue storie e guardiamo le sue rughe in faccia. Ci piace in un posto, in una situazione, a fianco di alcune persone e meno in altre.
E poi lo valutiamo alla cieca. In batterie. “Oggettività”, si dice. “Facciamo parlare il bicchiere” e “senza condizionamenti”, qualcuno aggiungerà: tavolo bianco, tovaglia bianca, fazzoletti bianchi, muri bianchi, grissini avvolti in tovaglioli bianchi. Bottiglie nere e numerate. I vicini di banco guardano altrove, non parlano e prendono appunti. Buttano l’occhio, tutti e due gli occhi, storcono gli occhi, quindi il naso, di nuovo l’occhio, poi il naso di dritto e il naso di rovescio. Posano il bicchiere, storcono il bicchiere, assaggiano, gargarizzano, risucchiano e sputano. Lasciano lì e di nuovo ripetono. Cerco di copiare la loro soggettività per rendere più oggettiva la mia. Inutilmente.
Massimo Mila, uno dei più grandi critici e saggista musicale della nostra epoca, parlò, a proposito dei grandi interpreti e compositori della musica classica, di ‘espressione involontaria’: «L’espressione, in cui diciamo consistere la natura dell’arte, non è qualcosa di cercato, non è una “espressione fatta apposta”. L’espressione in cui consiste la natura dell’arte non è espressione voluta di qualche cosa, ma è la presenza inevitabile della persona umana, diversamente individuata nei singoli artisti, come compendio vivente, e quindi sempre in via di trasformazione, d’un concorso di circostanze storiche [1].» Non si tratta, badate bene, dell’espressione generica di sentimenti (gioia, dolore, speranza…) che attengono a forme di tipizzazioni generali: «La realtà è quella di singole creatura in preda a stati d’animo che, per necessità pratica e con molta imprecisione di linguaggio ci riduciamo a designare con quei termini, ben sapendo però che il dolore di uno e tutt’altra cosa che il dolore di un altro, che la gioia di Rossini nel Barbiere è tutt’altra cosa che gioia di Beethoven nella Nona Sinfonia [2].»
L’artigiano del vino, il vignaiolo, è sicuramente paragonabile ad un compositore musicale: quindi tecnica (τέχνη greca o ars latina e non tecnicismo), inventiva, originalità ed “espressione involontaria”. Potremmo dire lo stesso a proposito del critico d’arte, di quello musicale e, perché no, di quello di un vino. Questa presenza inevitabile della persona umana non nega affatto competenze pratiche, doti nasali, palati ineguagliabili, ma non ammette la possibilità di scinderle dal sé e, non differentemente dagli altri, dal contesto in cui si producono.
La degustazione alla cieca copre di un velo di solitudine il degustatore seriale.
[1] Massimo Mila, L’esperienza musicale e l’estetica, Einaudi, Torino 1956, pp. 109, 110
[2] Ivi, pag. 113
4 Commenti
Michele A. Fino
circa 9 anni fa - LinkSuper Piero. Chapeau.
Rispondigiorgio melandri
circa 9 anni fa - LinkLa degustazione cieca è semplicemente uno strumento di lavoro fra i tanti. E una bella palestra. La riflessione importante però è che voi paragonate il vino all'arte, ma secondo me il vino è artigianato. Con un linguaggio, un'anima, delle invenzioni, una dialettica sulla stile, ma fondamentalmente artigianato.
Rispondicarolaincats
circa 9 anni fa - Linkti stralovvo!!!
RispondiNobilone
circa 9 anni fa - LinkGrazie.
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