La Malvasia delle Lipari dalla quarta crociata a simbolo dei nostri mari: Malvasia Day 2015. [Video della conferenza]

di Andrea Gori

Di cosa sa la Malvasia delle Lipari? Di Venezia e di Creta, di ritorno di eroi dalla guerra, di Mediterraneo. Sa di erbe, di macchia e di sale, è chiara come un’alba e cangiante come un tramonto che annuncia sogni e riposo. Vino dolce e struggente ma forte e capace di attraversare i mari e la memoria, parte dal mito greco e approda sulle Eolie tra i vulcani, che del suo percorso è forse il punto più significativo.

Il parallelo tra il nostos degli eroi greci dopo Troia e un’uva che nel corso dei secoli ha significato in realtà tante uve diverse è il suggestivo inizio della conferenza di Attilio Scienza sulle origini genetiche e aromatiche della malvasia delle Lipari, uno dei vitigni autoctoni meno autoctoni cui si possa pensare, ma allo stesso tempo capace di trovare un habitat eoliano straordinario per dare un vino unico e originale nel panorama spesso molto stretto e asfittico dei vini dolci e passiti.

In una bellissima serata di fine luglio nel “resort diffuso” Capofaro di Tasca d’Almerita, tra vigne tramonti e pinete abbiamo assistito alla quinta edizione di Malvasia Day, baciata da un successo di pubblico straordinario e dalla presenza pressoché al completo dei produttori di questo vino sparsi tra le Eolie, con cantine da Vulcano, Lipari, Salina (la maggior parte) e anche Panarea.

Ecco l’intervento di Attilio Scienza e trascrizione.

Nel corso della storica frequentazione tra vino e uomo si formano sinestesie collettive che si sono sviluppate nel passato. La Malvasia delle Lipari che conosciamo oggi non è certamente quella di ieri, ma un filo comune c’è di sicuro, come c’è tra le varie Malvasie (nome comune applicato a vitigni spesso anche diversissimi tra loro). La “malvasia” ha sempre intrigato il mondo del vino e la sua storia è antichissima e sempre di successo. Invece di partire dalle prime testimonianze del V secolo prima di Cristo, partiamo direttamente  da Venezia, la cui intuizione commerciale determina la storia della Malvasia nel mondo: all’inizio del 1200 con i preparativi della quarta crociata Venezia decide di offrire il trasporto gratis delle truppe del papa Urbano II, ma ovviamente non è solo un bel gesto: è un modo di aver via libera per occupare tutti i porti del Mediterraneo lasciando guarnigioni della Serenissima in luoghi strategici. Una delle galee veneziane approda all’isola chiamata Monemvasia (“porto con una sola entrata”) e scopre che il vino che passa di qui è di una qualità particolare. Venezia conclude male la crociata ma nel ritirarsi ha modo di derubare Costantinopoli, e con quanto preso costruisce la basilica di San Marco. Ma non è l’unico aspetto positivo di quell’avventura perché comincia allora a commerciare vino cosiddetto “malvasia”. Per la prima volta viene deciso scientemente di usare il nome di un luogo per venderlo, vino appunto di Monemvasia. All’epoca ovviamente non era chiaro il concetto di terroir, ma i veneziani per primi capiscono invece che l’origine può dare suggestioni ottime per vendere meglio il vino di un certo luogo, piuttosto che un vino generico anche se di qualità. Venezia fa i soldi con la malvasia soprattutto comprandola a Creta perché lo scambia con la lana, una botte di vino per 100 kg di lana.
Venezia nel corso dei secoli successivi, quando inizia ad affacciarsi la potenza turca sui mari, non può più espandersi e si butta su seta lana e altro. I Veneziani non consumavano la malvasia, la vendevano e basta, ma dopo che Creta viene presa dagli ortodossi non possono più approvvigionarsi lì. Allora cominciarono a chiamare Malvasia tutti i vitigni un po’ aromatici, bianchi, leggermente ossidati che trovavano in giro per Mediterraneo. A questo punto se ne va molto del germoplasma originario perché mescolato a tante altre uve. Venezia comunque va in crisi perché sorgono i nuovi traffici atlantici e si affermano i vini dolci fortificati come Sherry, Madeira e altri. La Malvasia non è competitiva ma resta ormai come nome, come sinonimo di bianco aromatico compreso vitovska e moscato di molte coste.

La storia della Malvasia dopo Venezia diventa molto più incerta. Ma c’è la storia dei nostoi greci, il ritorno degli eroi da Troia che ci aiuta: gli eroi che tornano della guerra non sono solo epica dei Greci, ma furono la base di tante spedizioni dei secoli successivi. Il vino era il prodotto di ingresso con cui i Greci entravano in contatto con popolazioni come si evince dal mito di Ulisse e Polifemo. Il rapporto con il vino era importante: il rito e la sacralità attorno al vino, qualcosa di elevato e affascinante che i Greci avevano, ma non era presente negli altri popoli produttori. Ulisse usa per il suo famoso trucco al ciclope il vino dei Traci, un vino famosissimo, quello usato anche per festeggiare la vittoria su Troia. Polifemo si ubriaca perché beveva vino da viti selvatiche meno alcolico… ecco un primo indizio del ruolo dei vini nella mitologia. La malvasia come si collega a tutto questo?

Se andiamo a vedere le “degustazioni” del vino nei poemi omerici la tipologia era sempre simile: vini dolci, medicamentosi, alcolici, che si conservavano bene e che si potevano trasportare lontano. Di certo erano vini passiti, tecnica tramandata di generazione in generazione per portare avanti il mito. In realtà erano più di uno: passito su graticcio o su pianta (Esiodo dice tre giorni sui graticci), oppure bagnato in acqua marina e poi vini suddivisi in base ad origine come quella dell’isola di Chio di cui abbiamo anfore nel museo di Lipari (si dice che fu addirittura lo scultore Prassitele a scolpirla). I vini di Chio venivano prodotti immergendo prima l’uva in mare per togliere la pruina, poi venivano appassiti ed erano famosissimi. I vini dalle isole greche arrivano o qui nelle Eolie oppure a Ischia. Ci sono tracce di vinaccioli di 6 mila anni fa alle Eolie… non lontano dai vini di 10 mila anni della Georgia.

Oltre all’anfora di Chio se ne trovano tantissime di altri tipi ma Chio era luogo magico per il vino e il suo commercio qui alle Eolie. Era importantissima la forma dell’anfora perché stabiliva che veniva da una certa zona. Tanto che il Mediterraneo è pieno di anfore di Chio ma in realtà solo l’1% di queste proveniva davvero da Chio (lo sappiamo perché c’è cadmio nelle anfore di questa isola), le altre erano dei falsi contenitori usati per commerciare vino meno pregiato. Dentro c’era forse uva simile ad ansonica, un’altra uva che è finita spesso nel mucchio veneziano delle malvasie. Ma come sono imparentate oggi?

Malvasia greca originaria è il vitigno tiri, vitigno di Santorini, un’altra greca è la trifora che ha dato origine al moscato d’Alessandria unendosi al moscato bianco. Abbiamo poi la malvasia rossa di Candia che c’è a Roma e che viene da uva kicladi, la malvasia puntinata del Lazio che è la greca plito, la malvasia lunga del Chianti che è aidani. Un’altra malvasia famosa è addirittura una varietà di uva greco.

La malvasia di Candia ha un’ulteriore storia avventurosa legata a Leonardo e la sua vigna milanese. Leonardo dietro alla sua casa di Milano riceve in pagamento un orto con annesso vigneto di quasi un ettaro, e la viticoltura lo appassiona tantissimo. Dopo la sua morte il vigneto rimane identico per 500 anni, ma nel 1943 viene distrutto nei bombardamenti e coperto da detriti e macerie. Usando il disegno dei filari di Leonardo abbiamo potuto scavare sotto le macerie e abbiamo trovato viti e radici. L’analisi genetica ha mostrato che la correlazione più forte era con la malvasia lunga veneziana proveniente dalla Grecia. Il Dna però appare anche vicino ai lambruschi: com’è possibile? Scopriamo che gli Atellani (proprietari del vigneto prima di Leonardo) erano originari da una zona vicino all’Emilia e dal paese di Candia, ma la loro uva non era malvasia era un lambrusco aromatico chiamato “malvasia di Candia”…

Venendo a noi e alla giornata di oggi alle Lipari, qui a Salina i vigneti sono quasi tutti fatti da Carlo Hauner, che è il padre della Malvasia delle Lipari moderna: ha compreso che la malvasia poteva diventare un totem e attorno a quella è riuscito a radunare altri produttori. Il terreno in pratica era spesso cenere, leggerissimo, tipo polvere. E le tipologie di uva che avevano trovato erano tantissime, alcuni sono Greco, basta anche solo guardare le foglie… ci si trova anche la malvasia del Chianti qui! Ma la variabilità è comunque un elemento fondamentale e storico di questo vino insieme (secondo Hauner) al carattere ossidativo, un elemento per cui la malvasia del Chianti era perfetta. Ma in giro per l’isola si trovano e si trovavano anche moscati, giallo e bianco, corinto nero: uve comunque fondamentali perché di per sé la malvasia non è aromatica, succede solo se i terpeni vengono liberati durante la fermentazione. La Malvasia delle Lipari è dunque un compendio di storia impressionante, e deve essere un vino da consumarsi nel mondo, senza rimanere solo da noi come attrazione turistica, il suo destino è nascere qui ma girare e farsi ambasciatrice del nostro Mediterraneo. Dai miti a Venezia fino a Leonardo la malvasia è sinonimo di tutto questo.

Daniela Scrobogna ci ha poi introdotto alla degustazione di questo vino.

Il futuro e passato sono entrambi importanti per la Malvasia. La degustazione presenta caratteri comuni nei vini di queste isole, e del resto salmastro e aerosol si depositano sulle uve in maniera simile in tutte le Lipari. Altro aspetto fondamentale è legato anche alla luce particolare, per creare un terroir unico grazie anche agli uomini che ci si avvicinano. La storia della Malvasia è (abbiamo appena sentito) particolare e unica, e si spera sempre che questa si possa “sentire” anche nel bicchiere. Cosa troviamo quindi tra gli aromi del vino?

Un vino con particolari note dovute al clima determinato (a Salina) dai due vulcani, ed esposizioni molto diverse, più il mare che “condisce” l’uva stessa. Una cifra importante è la complessità che questo vitigno (o più di uno) riesce a dare già dalla versione secca, salina e particolare che è la vera novità degli ultimi anni. Le più famose sono le varie versioni passite (Doc dal 1973), appassite in parte pianta e in parte su cannizzi al sole e vento, ritirati di notte se piove e comunque non più di 10 giorni; altri ancora immersi in acqua salina come un tempo. I profumi presentano note di albicocca ma non solo, una dolce pesca, la scorza di arancio, note profonde di macchia mediterranea, capperi, lentisco, mirto, elicriso, profumi radicati e fondanti. L’assaggio è sempre sorprendente e unico in quanto non c’è la dolcezza della créme caramel o dello zucchero caramellato e pan di Spagna a dominare (raramente si va oltre infatti i 100 gr/lt di zucchero), ma anche tante sfumature vegetali, note salmastre: un vino che si può immaginare in abbinamenti salati, dolci ma anche splendidamente da solo.

[Fine della prima parte. La seconda ed ultima parte relativa al Malvasia Day 2015 riporterà i miei assaggi].

Andrea Gori

Quarta generazione della famiglia Gori – ristoratori in Firenze dal 1901 – è il primo a occuparsi seriamente di vino. Biologo, ricercatore e genetista, inizia gli studi da sommelier nel 2004. Gli serviranno 4 anni per diventare vice campione europeo. In pubblico nega, ma crede nella supremazia della Toscana sulle altre regioni del vino, pur avendo un debole per Borgogna e Champagne. Per tutti è “il sommelier informatico”.

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