La festa è finita. Questi 6 vini mi aiutano a ricordarla

di Emanuele Giannone

Intorno al Natale, durante una cena che prevedevo disimpegnata, sono stato additato da un serissimo orangista anonimo quale uno che scrive su Intravino. Sono seguite due ore di orazione pro naturalitatem e contra Intravinum: il blog modaiolo e nemico dei naturali. Ho provato a opporre timidi ma validi riscontri, registrando il record di interruzioni subite. Ho provato a godere delle pietanze e dei vini, ad attaccar discorso con altri, ma non è valso a nulla. Al fondo della regressione orchiclastica, come ultima risorsa prima della fuga, ho fatto ricorso con aria grave a una panzana da televenditore, spacciando l’imminente adesione di Intravino all’inverosimile regola delle quote-orange: si parlerà per non meno dei due terzi di vini naturali. Inverosimile per tutti gli uomini di spirito e buon senso. Non per lui che, dopo breve attesa attonita, ha accolto l’indiscrezione con entusiasmo e grande compiacimento. Lui che, finalmente, si è placato e mi ha lasciato solo col mio dessert.

Questo post è dedicato a te, orangista anonimo. Se mi stai leggendo, ti chiedo perdono per averti definito orchiclasta e per averti preso in giro. Volevo solo rivendicare in punto di saturazione il mio diritto di mangiare e bere in pace quel che mi va. E per riparare al dileggio, per una volta, solo per te, Intravino sposerà la regola delle quote-orange. Con le mie bottiglie delle Feste.

Rioja Viña Gravonia Crianza 2000 Lopez de Heredia
Viura 100%, 4 anni di barrique con 2 travasi all’anno, chiarifica con albume d’uovo fresco, imbottigliato senza filtrazione, acidità totale 5 gr/l. 30.000 bottiglie prodotte, questa era in stato di grazia. Naso spiazzante per personalità, un originale compendio di terziarizzazione virtuosa: inchiostro di china, pastello a cera, cipresso, aloe, molto nitida l’artemisia e ancora salgemma, muschio, medicinale. Dopo mezz’ora è più aperto e solare: cappero e acqua di mare sono sottigliezze, lo sfoggio è invece nel fiorire (e sfiorire) di rose tea e gialle, nel fieno greco, nel fiore di camomilla e nel miele amaro che sublima in traccia balsamica. Bocca fendente, lunga e indefessa per acidità, tanto da assestare il calore che è molto ma resta sempre incipiente, non dilaga. Morbidezze dosate in progressione (miele, mirabella); finale caldo e asciutto, persistenza lunga con cenni di genziana, cera, muschio e di nuovo la Fée Verte.

PS – Si sa: sotto le Feste si gioca. E per gioco, sotto le Feste, questo vino è stato soprannominato Your Multilingual Business Friend in omaggio ai Procol Harum e al suo tenersi caparbiamente in bilico tra Sardegna e Svevia, sapendo lui, tipico e mimetico spagnolo, tenere ostinatamente i piedi e i mieli in almeno due staffe: corbezzolo ed erica, Palau e Lindau, aiò e adè.

Montepulciano d’Abruzzo 1973 Emidio Pepe
La sorpresa non risiede semplicemente nel togliere i veli a una creatura quarantenne e scoprirla tanto fresca e vibrante, giovane e agile, di un’agilità propriamente atletica, che è slancio contemporaneo ed equilibrato di forza, coordinazione e grazia. Più precisamente, la sorpresa risiede nella forma di questa imprevista giovinezza, che a ben vedere è la più ovvia: nulla in questo vino, se non a volerlo cercare con naso e bocca da grigio analista sensoriale, sapeva di passato. Esprimeva certo un percorso evolutivo, ma virtuoso; e, soprattutto, guardava ancora al futuro. Bellissimo granato, infuso di note dal veneziano al mattone, fino alla ruggine dell’unghia. Presentazione ordinata e ritrosa, filiformi tracce floreali, di fieno, fondi di caffè, neroli, tartufo e scorze candite. Il primo sorso è sottigliezza e impressione tattile. Il secondo è già delizia: nulla di virtuosistico o temperamentale, piuttosto calibratura e definizione di fiori amari, uva spina, paprika dolce, muschio, creta, ruggine e china. Freschezza, droiture, la fibra magra e forte sono i vettori di uno sviluppo fugato. Dinamica gustativa che non denuncia mende, coinvolgente per animazione e continuità, chiosata da tannini minuti e tenui. Due bellissime ore.

VdT Rosso Fiorano 1988 Boncompagni Ludovisi
Altra bottiglia fortunata e spiazzante. All’apertura, solo pochi cenni e molto discreti: fiori, corteccia, crusca e susina; poi si serra nella divina indifferenza che schiude solo a tratti e per istanti, con note terziarie molto eleganti. Il colore è ancora vivissimo, varia da rubino a granato. Un’ora e ha inizio la serie del frutto, ve n’è praticamente di ogni colore e specialmente fresco; più tardi le preparazioni, con gelatina di ribes, sciroppo di lampone, Rote Grütze. La distensione, tuttavia, è solo mimetica. Il primo sorso è un pivot turn: compostezza claustrale, rimandi inattesi in retrolfazione, speziati e balsamici. Nonostante i molti richiami a terra e radici, il suo è un incedere austero e leggero, una progressione in virtuale assenza di peso, tutta pressione ed energia diffusa. Era il mio primo incontro con l’88, è possibile che resti l’unico e l’impressione è stata grande.

Chateau Musar Rouge 1980 Gaston Hochar
Per il tramite di una bottiglia Gaston Hochar ci ricorda con leggerezza e senza prosopopea che il vino migliore si dispone al giudizio estetico più ancora che a quello tecnico-analitico. Il suo Rosso vive di grazie e certezze sospese, come i sogni, i silenzi e le attese. Mimetico, antitetico ai vini imponenti, agli instant wine di pronto e sicuro effetto, scandisce il tempo svolgendo in lentezza e misura la sua dote d’aromi; rivela tratti leggiadri e sorprendentemente giovanili nell’espressione del frutto, li svaria di matura eleganza con tabacco, un filo d’incenso, fiori appassiti, erbe officinali, mandorla, scorza d’arancia candita. Al palato procede per riuscite corrispondenze biunivoche, slancio e concentrazione aromatica, freschezza e calore, suadenza e tensione, tenerezza e vivacità; procede cioè da grande vino, per accordo di termini opposti, con dinamica fluente e aggraziata. Evoluzione lenta, ardua da rendersi in note e persino in racconto; ché meglio sarebbe un’animazione di coppie che danzano, minuetti, farandole. Da uve cabernet sauvignon, carignan e cinsault

Tignanello 1998 Marchesi Antinori
Rovesciamento di fronte e cambio repentino: dopo minuetti e farandole, riattacco a sorpresa coi cromatismi wagneriani. Dall’Arlesiana a Sigfrido: vino-cornucopia, di bella fattura, saldo e coeso. Più terra che cielo: fermo, spesso di materia già all’olfatto, cui propone una trama fittissima di cera, frutta matura, crème de cassis, felce, cuoio, radici, sanguinaccio e scorci generosi di drogherie e pasticcerie; la animano il soffio dell’alcol e soffuse note balsamiche. Per tanto naso, tanto palato: stentoreo, potente e caldo. Riscontri gustativi di frutta matura e preparata, liquirizia, cacao in polvere, tabacco (per i viziosi: la pipa spenta), habanero blanco, noce moscata e macis. Sensazioni molto intense di calore e pastosa densità. Il motore fatica un poco: tutta questa carrozzeria, tutto il ricco allestimento pesano e scaldano, il supporto acido sopporta vacillando. In progressione lo sforzo si intensifica e la freschezza evapora. Beva non propriamente agile, lunga persistenza con ricordi di frutta matura, pepe verde, sigaro e cera, tannini soffici ma molto presenti.

Tornasole 2004 Tenuta Grillo
Nel mio paese ideale, Zampaglione è un cognome noto più per i meriti di un produttore che per gli strepiti di un cantante. Su questo, per un attimo, io e l’orangista ci siamo trovati d’accordo. Tornasole è semplicemente l’argomento di un algoritmo-Zampaglione in base Merlot: difatti l’uva vi si ritrova elevata a una potenza originale, soprattutto nella presenza varietale che, nonostante le sensazioni globali di potenza e concentrazione, non si fa mai scenica, robusta o ingombrante. Mezz’ora d’aria per liberarsi della riduzione, una fievole folata di volatile che non copre gli aromi (e anzi, il giorno dopo li scopre): frutta rossa matura, ciliegie sotto spirito, fondo bruno, corteccia, note di terriccio e selvaggina in un amalgama denso, la cui definizione guadagna dal contatto con l’aria. In bocca è caldo, sostanzioso ed energico, immediato nei riferimenti a frutto, peperone, ginseng, terra, legumi. Esordio bilanciato, polpa e freschezza; poi emergono corpo e struttura senza pesare, la dinamica è anzi lineare e non frenata da densità, calore e carica estrattiva. Tannini granulosi ma non staccati, in linea con il tono generoso del vino. Lunga persistenza con bei dettagli di spezie rosse. Da lodare la tenuta a bottiglia aperta.

Emanuele Giannone

(alias Eleutherius Grootjans). Romano con due quarti di marchigianità, uno siculo e uno toscano. Non laureato in Bacco, baccalaureato aziendalista. Bevo per dimenticare le matrici di portafoglio, i business plan, i cantieri navali, Susanna Tamaro, il gol di Turone, la ruota di Ann Noble e la legge morale dentro di me.

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