Immaginate che delirio se un giorno Valerio M. Visintin si svegliasse critico del vino
di Alessandro MorichettiLa storia inizierebbe all’incirca così:
L’altra sera al ristorante ho ordinato un vino di cui avevo un ricordo splendido, il T****i 2006 di T***** ******i. Col senno di poi, scelta pessima: acidità volatile alle stelle, zero piacevolezza, vino non bevibile e avanti un altro.
Perché ogni qual volta capita di scrivere una recensione severa, amici e nemici riportano a galla una polverosa questione d’onore a base di cinismo, spietatezza, crudeltà, sadismo. Ma non hai cuore? Non pensi che dietro all’etichetta sulla quale ti accanisci c’è un vignaiolo che sgobba tra i filari? Persone che tengono famiglia a carico e che venderanno male il loro vino?
Abbiate pazienza, rispondiamo per punti.
1) Chi soppesa i vini per professione (ma il concetto va esteso a qualsiasi altro ambito critico) dovrebbe avere un’unica avvertenza stampata nella mente come un mantra: dire la verità, tutta la verità, nient’altro che la verità. Sarà una versione soggettiva e non di rado effimera. D’accordo. Ma dev’essere sincera, schietta, libera da condizionamenti, debiti morali o economici. Altrimenti, è carta straccia. Lo stesso discorso dovrebbe valere anche per i semplici appassionati.
2) Quel che si scrive sul conto dei vini e delle cantine è indirizzato ai lettori. E a nessun’altra categoria umana. Non alle aziende, non agli agenti, non agli amici produttori.
3) Le lusinghe infondate di critici e wineblogger ai produttori amici, ai compagni d’affari, ai vicini di fiera, ai munifici elargitori di bottiglie e soggiorni fanno malissimo a tutti quei produttori che lavorano seriamente, a testa bassa, senza godere di favori altolocati. E questi negletti dal jet set del buonismo sono assai più numerosi.
4) Nessuna stroncatura può deragliare la buona sorte di un vino. Nemmeno se appare su pagine autorevoli e diffuse come quelle del _________. Lo dico per esperienza diretta. E vi prego di credermi, senza costringermi a fare elenchi delle innumerevoli fetenzie di successo.
5) Non è che qualcuno goda a stroncare un vino. Così come non mi diverte bere ciofeche, vini tarocchi, asfaltati di legno nuovo o di cantina marcia. Non faccio altro che il mio dovere. E non c’è niente di personale.
6) Ma, pensandoci e ripensandoci, mi avete convinto. Riecco la recensione del T****i 2006 di T***** ******i, rivisitata col cuore.
A********* D****** è un grande sardo, un mito e modello. Viticoltore naturale di razza, produce da anni alcuni dei vini isolani più significativi e originali. Paladino della biodinamica e sperimentatore indefesso, è un vulcano di energia e positività. Questo Tuderi 2006 gioca con la grammatica enologica, sfugge, scompare poi riappare. E’ una bevuta da amici del bar che vogliono un’esperienza forte, estrema, indimenticabile. E naufragar m’è dolce in questo mar di Cannonau.
[Post TOTALMENTE ispirato a Diritti di critica, rovesci del cuore di Valerio Massimo Visintin e Del Tuderi 2006 di Alessandro Dettori potremmo discutere fino al Capodanno 2014.
Valerio Massimo Visintin cura la pagina Mangiare a Milano per il Corriere della Sera, gira in incognito, presenta libri mascherato e ci tiene all’anonimato.]
3 Commenti
Francesco Annibali
circa 10 anni fa - Linkpezzo interessante, ma che c'entra visintin?
RispondiAlessandro Morichetti
circa 10 anni fa - LinkNon hai letto la parentesi quadra finale, con link annesso: "Post TOTALMENTE ispirato a Diritti di critica, rovesci del cuore di Valerio Massimo Visintin." ;-)
Rispondicarolain cats
circa 10 anni fa - Linkmugugno e rimugino....
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