Il Piano Integrato del Territorio toscano, ovvero come rovinare terribilmente una cosa aggiustata

di Stefano Cinelli Colombini

Sul PIT (Piano Integrato del Territorio) toscano è scoppiata una polemica feroce ma, giustamente, il presidente Rossi fa notare che il 99% di chi interviene non ha letto i testi; occorre un contributo di chiarezza. Premetto che non parlerò delle cave, ma solo della parte relativa al territorio.

Cos’era il PIT nella versione scritta dall’assessore Marson? (Ne parlammo in questo post: “Piano di Indirizzo Territoriale (PIT) toscano e Brunello di Montalcino. Solo una domanda: perché?“) Una norma che ha costretto alla rivolta tutte le associazioni di imprenditori, lavoratori e professionisti, quasi tutti i Comuni e perfino enti super partes come i Georgofili e l’Associazione Nazionale Architetti. L’intera Toscana ha detto no, e non è pensabile che siamo tutti biechi figuri a cui conviene il degrado o cretini strumentalizzati; è ovvio che il PIT era una norma mal fatta.

Vista l’unanimità delle opposizioni il presidente Rossi ha studiato una nuova versione che collega sviluppo, ambiente e territorio e lo ha fatto con gli agricoltori, perché noi siamo quelli che hanno creato questo paesaggio bellissimo, ci vivono ed hanno tutto l’interesse a salvarlo per loro figli. Checché ne pensi la prof.ssa Marson, noi che lavoriamo la terra non siamo idioti che tagliano il ramo che li regge. Il risultato è un PIT non perfetto, ma già molto migliorato.

Tutto a posto? No, perché la prof.ssa Marson e i suoi amici altolocati lanciano accuse infamanti e ingiuste, e stanno cercando di renderlo di nuovo inutilmente oppressivo. Come? Lasciando indefinito lo status delle “criticità”; l’art. 3bis del Documento di Piano stabilisce quali parti del PIT sono prescrittive e quali no, ma il comma che riguardava le “criticità” è stato cancellato. Ora nessuno sa più se le “criticità” siano obbligatorie oppure no, e questa è la scelta più dannosa possibile; in una norma la chiarezza è vitale, se non c’è qualunque applicazione ne diano i Comuni genererà contenziosi a non finire.

Ma cosa sono le “criticità”? Si tratta di prescrizioni in cui spesso è difficile capire la connessione con reali esigenze di salvaguardia ambientale o territoriale, paiono più legate a teorie molto discutibili come la “decrescita felice”. Idee care a gruppuscoli iper-minoritari come i Territorialisti.

Ecco qualche esempio dalla scheda 17 del PIT, visibile nel sito della Regione: le “attrezzature di sostegno commerciale al settore vinicolo (cantine)”, la “proliferazione degli agriturismi”, la “monocoltura viticola” e “dei seminativi e cerealicola”, lo “sviluppo del turismo termale”, le “strutture di servizio sportivo” e addirittura la “gestione meccanizzata dell’agricoltura”. Se le “criticità” fossero considerate vincolanti dovremmo abbandonare ogni forma di agricoltura moderna e tornare ai bovi, dato che le macchine sono nefaste. Addio al turismo rurale o salutistico, e pure al vino di Fattoria; come poi potremmo portare il pane a casa non è chiaro, ma evidentemente questo è considerato secondario.

In una Toscana dove tutto è antico e ogni aumento di volumi è tabù, il PIT considera “criticità” la variazione della “struttura morfotipologica” degli edifici. Se non possiamo riutilizzare gli edifici esistenti cambiandone la destinazione né farne di nuovi, come faremo? Se queste norme fossero già state in vigore, gli Uffizi, la Pinacoteca o lo Stibbert non sarebbero mai diventati musei, o il S.Anna Università di Pisa!

Assurdo, l’ideologia li ha fatti ciechi. Nessuno nega che in molti casi il territorio sia stato devastato, ma non si combatte il degrado dichiarando guerra ai cambiamenti e a tutto ciò che è moderno, vitale e redditizio. Il nuovo non è un nemico, e la Toscana è meravigliosa proprio perché ha sempre saputo integrarlo pur rimanendo se stessa. Certo, ogni novità ha un impatto, e per gestirlo occorre tecnica ma anche equilibrio e buon senso; peccato che leggendo la prima versione del PIT non si trovi traccia di queste due virtù.

[Foto: SlowParks]

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Stefano Cinelli Colombini

Nato nel 1956 a Firenze da un'antica famiglia senese, è il titolare della Fattoria dei Barbi a Montalcino. Membro dell’Accademia Nazionale della Vite e del Vino e dell’Accademia dei Georgofili, è un grande appassionato di storia, arte e musica classica.

7 Commenti

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gianpaolo

circa 9 anni fa - Link

l'idea che ho io è che per queste persone si tratti di un esercizio di arroganza intellettuale, che li fa vedere superiori ai poveri idioti che ogni giorno ci vivono e cercano di camparci con quel territorio. Eppoi è proprio questa infatuazione, sbornia da dirigismo, come se la gente non potesse campare da sola, una cosa tipica italiana e francese.

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Stefano Cinelli Colombini

circa 9 anni fa - Link

No, conosco diversi di quelli che hanno scritto il PIT e non direi che siano arroganti. Il loro guaio è un'altro, è che non hanno saputo capire che un conto sono le teorie elaborate nei salotti o nelle Università, e un conto è la realtà.

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Maurizio Gily

circa 9 anni fa - Link

Esatto Stefano,questo è molto spesso il problema delle accademie e dell'università italiana. A maggior ragione di chi ha seguito con profitto un piano di studi umanistici e si confronta con una vita materiale che non ha avuto modo di vivere ma solo di studiare.

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Stefano Cinelli Colombini

circa 9 anni fa - Link

Il guaio della prof.ssa Marson è che ha estremizzato un tema che per molti versi è giusto e necessario, perché noi agricoltori abbiamo un futuro solo se l'ambiente e il paesaggio vengono tutelati. Ma non è con un approccio dirigistico e calato dall'alto che si possono affrontare queste problematiche. Né si possono ignorare le necessità di intere comunità, che vivono di vivai, vigne, agriturismi e simili. Peccato, è stata un'occasione persa.

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Maurizio Gily

circa 9 anni fa - Link

Dopo la celebrazione del 2010 a Montalcino potete pure tornare ad arare co' bovi!

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Stefano Cinelli Colombini

circa 9 anni fa - Link

Si, torniamo ai bovi! Ma non erano quelle le bestie che producevano un mare di inquinamento tra cacche e puzze a base metano? Così a naso, un'agricoltura a trazione animale per sette miliardi di persone non è eco-sostenibile.

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Angelo

circa 9 anni fa - Link

"mare di inquinamento tra cacche e puzze a base metano"? Dunque per lei l'inquinamento è dovuto alle deiezioni dei buoi. Oh mio Dio. Provi a fare i suffumigi per 30 minuti con lo sterco di vacca e poi ad inalare per altri 30 minuti i fumi del tubo di scappamento della sua costosa autovettura euro 6. Poi ci faccia sapere come è andata a finire. Quando ha i risultati empirici di questo esperimento, ci faccia pervenire dai suoi eredi le sue nuove opinioni in merito. Auguri.

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