Il matrimonio di cibo e vino sembra sempre più un divorzio. Ecco i fatti

di Antonio Tomacelli

Il matrimonio tra vino e cibo è tra quelli che, prima o poi, finirà davanti ai giudici della Sacra Rota. “Non consumato” sarà la sentenza e nessuno sarà in grado di stabilire quale sia stato il coniuge mancante. Intendiamoci, di chiacchiere sugli abbinamenti se ne fanno tante, ma cibo e vino restano due universi paralleli, abitati da esseri che venerano idoli differenti.

I frequentatori dei ristoranti stellati, ad esempio, sono in grado di intrattenervi per ore su consistenze e cotture acrobatiche ma su quanto bevuto durante la cena, buio totale, non ricordano un vino che sia uno. Dal lato opposto c’è il popolo degli enostrippati ai quali basta una fetta di salame rancido, servita nel solito winebar, per accompagnare bottiglie strepitose che valgono quanto un’IMU in zona residenziale.

Fateci caso: anche i giornalisti e i comunicatori viaggiano su binari separati e il gourmet a tutto tondo, quello che riconosce a naso lo sperduto cru di Borgogna e sa come abbinarlo a un piatto della cucina molisana, è una chimera leggendaria. I sommelier? Lasciateli stare, hanno già il loro daffare tra i tavoli e la cantina da aggiornare.

Il sospetto che tra i coniugi non corresse buon sangue è diventata certezza leggendo un post del giornalista e comunicatore inglese Robert Joseph, che lancia su noi italiani un’accusa pesante da digerire: nel paese che più di ogni altro consuma il vino a tavola, il cibo viene tenuto lontano dalla comunicazione enoica. Le prove che Joseph porta a sostegno della sua tesi, sono evidenti: nell’ultimo numero della rivista Decanter dedicato all’Italia, non c’è un solo piatto della Grande Cucina Italiana su 98 pagine, pubblicità compresa. Insomma, si chiede Joseph, siete proprio sicuri che per invogliare all’acquisto di una bottiglia siano più efficaci le immagini dei vigneti pettinati a spazzola e le botti affilate in cantina? E delle donne seminude accostate alle bottiglie, ne vogliamo parlare?

Touché, e ve lo dice un grafico che ha progettato più di una brochure. Non che non ci abbia pensato, ma ogni volta che ho proposto a un cliente qualche foto dei suoi vini abbinati al cibo, ho ricevuto solo dinieghi e smorfie disgustate.

Dall’altro lato della barricata ci sono una serie di grandi chef che si impegnano a fondo per allontanare il vino dalle loro ricette: la parola d’ordine è “alleggerire” e la si può riferire sia alle preparazioni che agli investimenti in bottiglie di vino.

Insomma, lo avete capito: tra vino e cibo non corre buon sangue e prima o poi sarà divorzio. Prima che tutto finisca tra le amorevoli cure degli avvocati, vi chiedo: cosa si può fare per evitare la separazione? Vi sentite abbastanza “consulenti matrimoniali” per poter rispondere a questa domanda?

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Antonio Tomacelli

Designer, gaudente, editore, ma solo una di queste attività gli riesce davvero bene. Fonda nel 2009 con Massimo Bernardi e Stefano Caffarri il blog Dissapore e, un anno dopo, Intravino e Spigoloso. Lascia il gruppo editoriale portandosi dietro Intravino e un manipolo di eroici bevitori. Classico esempio di migrante che, nato a Torino, va a cercar fortuna al sud, in Puglia. E il bello è che la trova.

16 Commenti

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A3C

circa 11 anni fa - Link

il mio abbinamento del quore: Shiraz Yellow Tail (qualunque annata) su Ventresca di tonno rosso al forno...olio di oliva qualche pomodorino qualche folgia di basilico...

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gianpaolo

circa 11 anni fa - Link

ho chiesto a Ian Harris, Ceo del Wset, come suggerirebbe di promuovere i vini italiani nel mondo, e lui mi ha risposto "scriverei su ogni brochure, su ogni sito, su ogni campagna promozionale, che sono i vini che vanno meglio col cibo, al mondo". In realta' e' cosi', ma nelle ali della comunicazione eno/gastronomica si e' spesso abituati a osservare il proprio ombelico. A volte sembra di sentir conversare un gruppo di filatelici a proposito del "Gronchi rosa", mentre la maggior parte delle persone usa i francobolli semplicemente per inviare una lettera.

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Stefano Cinelli Colombini

circa 11 anni fa - Link

Chi beve i vini italiani lo fa a tavola o, al limite, come aperitivo. E comunque anche agli happy hour si mangia. Nel mondo i nostri vini si vendono nei ristoranti italiani o abbinati ai cibi italiani e da sempre sento dire che questa è una limitazione ma, piaccia o non piaccia, è un fatto. E' solo la stampa specializzata che ignora sempre più questo legame, e francamente non capisco perché. Sbaglierò, ma giornali come "la Cucina Italiana" hanno fatto di più per le vendite del vino italiano nel mondo del "Gambero Rosso".

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aldo cannoletta

circa 11 anni fa - Link

Questo articolo mi piace e mi stimola per scrivere qualcosa sia sugli abbinamenti sia sul rapporto chef vini ma anche su l'uso quasi pleonastico che spesso fanno della parola "abbinamento".Che ci possa essere un divorzio non credo proprio,ma occorre una piu' corretta comunicazione tra chi si occupa del cibo e chi dei vini,perchè spesso entrano in gioco dall'una e dall'altra parte interessi particolari.

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Max C

circa 11 anni fa - Link

Vengo da scuola AIS e li un'impronta si cerca di darla specialmente sul finale di tutto il percorso è quasi incentrato tutto su questo aspetto e (pur con tutti i difetti che AIS ha) almeno anche nella loro guida cercano sempre di consigliare un piatto al vino recensito. Ed è indubbio che come dice il Sig. Cinelli Colombini il vino in Italia lo si beva prevalentemente mentre si mangia. Io personalemte sono più verso la categoria enostrippati ma quando vado fuori a cena (e ci vado solo quando voglio trattarmi bene) scelgo tra i ristoranti che hanno un occhio di riguardo per la cantina ma assolutamente abbinato a del cibo di qualità. E di questi posti ce ne sono e sono quelli che sono sempre pieni almeno nel WE. Quelli che hanno o il cibo o il vino scadente non sempre sono pieni, specialmente in questi tempi di crisi. Spero si sia capito cosa volevo dire e concludo dicendo che quindi si! solo chi si occupa di promozione non se ne è accorto ma alla fine la gente quello cerca.

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francesco vettori

circa 11 anni fa - Link

Scusate l'autocitazione: "Il meglio viene ora, lasciamo la cronaca, iniziamo a mangiare e a riflettere. Mangiamo e conversiamo. E il clima si distende e si anima. Avverto davvero un senso di liberazione, di sana rilassatezza: non si tratta più di analizzare il vino ma di berlo in abbinamento al cibo. E la faccenda cambia, cambia di molto. Mi viene spontaneo chiedere a Sandro come le condizioni di giudizio sul vino si trasformino se questo è abbinato al cibo. E in realtà chiedo anche perché, qualche mese addietro, partecipando ad una verticale dedicata alla Schiava dell’Azienda Girlan, mi ponevo lo stesso problema. La Schiava da il meglio di sé quando si mangia. Quell’abbinamento al cibo che, anche per ragioni pratiche, è quasi sempre tralasciato nelle degustazioni pubbliche e ci si abitua male dal momento che il vino viene messo in una condizione che non gli appartiene. Aggiungo che la complessità del cibo, con le sue elaborazioni, mi pungola, mi spinge sempre di più a confrontarla con quella del vino. E qui, per il sottoscritto, a sorpresa, la risposta di Sandro: «Ho scritto che il vino è un servitore, un ministro del cibo e della tavola». Capito bene? «Il vino vive nel matrimonio con il cibo. […] La sua vocazione a servire la tavola è antica quanto la sua nascita, e dipende dalla spontaneità con la quale si esprime nel connubio col cibo e trasmette la sua varietà alla bocca[2] » Servire la tavola, altra parola sacrificarsi a tavola[3]. Ovvero, intendo io, rinunciare a qualcosa per qualcos’altro. E quest’altro sta nella capacità del cibo e soprattutto del vino di spingere al riassaggio, alla riprova, alla ripetizione. Cosa che accade per la sua natura fluida, liquida, transitoria, che realizza un atto, anzi un istinto, primario[4]. Ogni volta un nuovo inizio, una disposizione sensibile al riassaggio, un autentico desiderio, complessivo, integrale e ordinario, che fa tanto parte delle nostre vite da non rendercene spesso più conto." http://www.porthos.it/index.php/le-degustazioni/751-la-verticale-del-chianti-classico-riserva-il-poggio-di-castello-di-monsanto

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Angelo Cantù

circa 11 anni fa - Link

A Girlan c'era anche la mitica Fass n.9? Come giustamente dici i vini altoatesini a base Schiava sono probabilmente i rossi più rappresentativi del territorio, ottimi compagni a tavola ed a prezzi imbattibili.

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francesco vettori

circa 11 anni fa - Link

No, verticale storica della sola Schiava Gschleir, all'interno di un corso sui terroir italiani, tenuto all'Ais Roma dal solo in grado di procurarsi tali bottiglie. Che è il meno, se confrontato a come fa intendere il vino e ciò da cui nasce. Anche su queste colonne lo sanno bene. Un amico, che partecipa, ne ha fatto puntualmente un resoconto: http://degustazioniagrappoli.blogspot.it/2013/01/corso-terrorir-la-schiava.html http://degustazioniagrappoli.blogspot.it/2013/01/corso-terrorir-la-schiava.html

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francesco vettori

circa 11 anni fa - Link

Gschleier, per la precisione. La Fass n.9 ce l'ho comunque in cantina...

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Stefano Cinelli Colombini

circa 11 anni fa - Link

Ma se è vero, ed è vero, che il vino italiano si consuma mangiando, allora farei una proposta indecente; la vogliamo smettere di dare punteggi sulla base di assaggi fatti in condizioni assolutamente aliene rispetto a quelle in cui si consuma? E' folle, è come valutare le auto normali in base alla loro capacità di muoversi nei campi; lo possono indubbiamente fare, ma non è quello per cui sono state create.

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francesco vettori

circa 11 anni fa - Link

Sfonda una porta aperta. Sono d'accordissimo. E, tra l'altro, i compilatori di guide ai vini e ai ristoranti presumono ancora che il consumatore medio, ma anche l'appassionato, si riservi di andare al ristorante, magari stellato, per bersi una buona bottiglia, accompagnata da buon cibo? Home sweet home.

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antonio f.

circa 11 anni fa - Link

questo succede perchè oramai un vino viene degustato nell'ottica "del punteggio", e non invece per definirne l'equilibrio ed un profilo sensoriale le cui informazioni possono aiutare al corretto abbinamento col cibo. la degustazione dovrebbe essere, almeno nell'ambito di degustatori/sommeliers,un esercizio analitico quanto meno soggettivo possibile; non sono daccordo sul discorso volutamente azzardato della "valutazione con abbinamento all inclusive" perchè: 1) puoi abbinare un vino acido a un etto di lardo rancido, i due si compensano ma in complesso bevi e magni 2 porcherie [ concedetemi l'iperbole]. l'abbinamento di un vino non è univoco e rivolto verso una sola preparazione. anche la stessa ratio dell'abbinamento varia nel tempo evolvendosi, a seconda dei gusti. 3) fate un giro nelle varie case italiane e vedete che il nonno di turno non si è mai fatto problemi ad abbinare il merluzzo bollito col limone al bicchiere di vino rosso...

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Durthu

circa 11 anni fa - Link

Rispetto a questa cosa mi viene un po' da pensare (come provocazione, ovvio) che è un po' come dire che nelle pubblicità delle scarpe ci dovrebbe essere anche il suggerimento del calzino giusto da abbinare. Non è che stiamo chiedendo troppo ad una semplice pubblicità? Se poi parliamo di riviste o di comunicazione aziendale, allora magari è un po' diverso. A questo proposito è anche interessante la campagna pubblicitaria che Vin de Bordeaux ha lanciato da un po' in Inghilterra: "Good food would choose Bordeaux". http://www.goodfoodwouldchoosebordeaux.com/ A me onestamente non è che convinca tantissimo. Pensieri in proposito?

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Stefano Cinelli Colombini

circa 11 anni fa - Link

Mi era capitato di pensare male dei giornalisti, ma finora non avevo mai sentito definire il dare punteggi "una semplice pubblicità". Astonishing, direbbe Suckling.

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Durthu

circa 11 anni fa - Link

"I don't understand" direi io. Mi riferivo (mi pareva ovvio, ma evidentemente non lo e') alle foto pubblicitarie citate sia nell'articolo di Intravino che in quello originale di Joseph. Tanto è vero che subito dopo preciso "Se poi parliamo di riviste o di comunicazione aziendale, allora magari è un po’ diverso". Le sto antipatico Mr Cinelli Colombini? Peccato, personalmente la stimo, e mi piacciono i suoi vini. Epic fail, Mr Cinelli Colombini, se lo lasci dire, epic fail.

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Stefano Cinelli Colombini

circa 11 anni fa - Link

Ops, niente contro di lei, ho solo capito male e mi scuso. Peccato però, se avesse detto quelle frasi in quel senso sarebbe stata una battuta fulminante, degna di Oscar Wilde.

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