Il Duca Enrico di Salaparuta e l’identità del nero d’Avola

di Andrea Gori

Domanda a bruciapelo: qual è, secondo voi, il nero d’Avola che meglio rappresenta la Sicilia? La difficoltà nel rispondere non vi paia scandalosa: anche conoscendo a fondo la realtà siciliana non è facile fornire una risposta univoca, considerando il  nero d’Avola alla stregua del Sangiovese in Toscana, ovvero, un vitigno capace di leggere il territorio e interpretarlo in maniera diversa a seconda del terroir in cui si trova.

Ricerche universitarie accurate e tanti assaggi ci impongono quindi la cautela nel voler ricercare il prototipo assoluto cui tutti dovrebbero rifarsi, viste e considerate le differenze tra Nero d’Avola prodotti a Vittoria piuttosto che a Noto, nel palermitano o a Gela e Licata, Butera, Riesi. C’è solo un vino che da almeno 20 anni porta in giro nel mondo questo vitigno in purezza ed è il Duca Enrico di Duca di Salaparuta, un vino nato quasi per scommessa e figlio dell’enologo Franco Giacosa.

La partenza per la scoperta del Nero d’Avola parte quindi da Gela, Riesi e Butera e da alcuni conferitori storici della Duca di Salaparuta. Proprio da un vigneto particolare di questa zona nasce il Duca Enrico nel 1984, per poi diventare un cru aziendale dal 2001 in poi quando si iniziò a vinificare uve di proprietà nella tenuta SuorMarchesa a Riesi- Butera, arrivati oggi a quasi 120 ettari in totale. Ecco le note della verticale andata in scena a Taormina Gourmet 2014

Duca Enrico 1985
Da zona di Gela sui 100 mt, 36 mesi tra botte grande e piccola, vendemmia regolare, annata classica non fredda come altrove. alberello e basse rese.Il vino è dolce e incantevole, compassato e serioso, ma sorprendentemente fruttato e vitale. Profuma di mirtillo e menta, amarena e ha note di tabacco, sottobosco e humus pulsante. La bocca è fresca, viva, forse meno di quello che ci si aspetta ma la fibra e il tannino sono ben presenti. Se non ci credete, ecco i dati analitici che raccontano di un 3,25 di Ph e 6gr di acidità totale che spiegano tante cose. L’ossidazione qui è davvero molto lontana… 92

Duca Enrico 1987
Annata più siccitosa, estate asciutta ma rinfrescata. Le note evolutive sono ben presenti almeno all’inizio, poi si liberano toni balsamici e di amarena. Aristocratico di carattere, ma anche frutta sotto spirito che si esprime meglio al palato con grande freschezza complessiva, floreale di viola e rosa. Finale boscoso di humus, piacevole anche da tavola. Rugge davvero ancora. 88

Duca Enrico 1997
Il vino ha sostato in barrique per 18 mesi. Il colore è cupo, brillante e profondo. Il naso apre sulle tostature e prosegue con la frutta candita, il pepe e la vaniglia in bella fusione tra frutto e legno, spezzature. Bocca con tanta freschezza anche se l ‘estrazione maggiore porta un equilibrio diverso, più anni ’90. In effetti al momento pare un poco imballato e da riassaggiare tra qualche anno. All’epoca 60 mila bottiglie, forse il massimo storico. 85

Duca Enrico 2008
Già dal 2007 il vino era completamente diverso grazie alle uve provenienti dal cru Suor Marchesa,  vigneti con 20 anni di età con terreni calcarei più che argillosi. Al naso si apre lentamente sulle note di fragola e ribes rosso, tabacco dolce e poi viola e mirra. Bocca fresca e tannino largo ma non aggressivo, un vino succulento ma senza troppe rotondità , più coraggioso e difficile come stile, ancora alla ricerca di una eleganza diversa. 92

Duca Enrico 2009
Freschissimo e aperto sulle note floreali di viola e lavanda con un tocco di legno e vaniglia ben dosati. Palato di mandorla e prugna, poi oliva, capperi e menta. Il tannino è ricco e rabbioso ma sostiene la bocca alla perfezione. Finale lungo, sapido e minerale che rende giustizia al suolo calcareo di origine. 93

Conclusa questa veloce ma significativa verticale si può dire che almeno in questa zona di Sicilia sono evidenti le caratteristiche del vitigno. Altrove ci vengono in mente il Deliella di Principi di Butera, il Nero Maccarj di Gulfi, quello dei Principi di Spadafora, la Noto raccontata dal trittico Saia Feudo Maccari, Marabino e Santa Cecilia di Planeta, il Cembali di Baglio di Pianetto e il Siccagno di Arianna Occhipinti.

Andrea Gori

Quarta generazione della famiglia Gori – ristoratori in Firenze dal 1901 – è il primo a occuparsi seriamente di vino. Biologo, ricercatore e genetista, inizia gli studi da sommelier nel 2004. Gli serviranno 4 anni per diventare vice campione europeo. In pubblico nega, ma crede nella supremazia della Toscana sulle altre regioni del vino, pur avendo un debole per Borgogna e Champagne. Per tutti è “il sommelier informatico”.

10 Commenti

avatar

Federico

circa 9 anni fa - Link

Dal bassissimo della mia esperienza, quello che scrivi del 2009 lo trovo molto simile ad alcuni Nero d'Avola che ho assaggiato. In particolare, oliva e capperi sono due profumi che in alcune circostanze mi sono arrivati così nitidi da poter essere riconosciuti facilmente anche da uno come me. Ti volevo chiedere, visto che avrai una idea sicuramente più nitida, se è possibile legare questi profumi alla zona e/o al vitigno, come caratteristici. A volte mi è parso di riconoscere anche qualcosa che si avvicina al pesce azzurro, ma non vorrei dire una eresia. p.s.: anche quelli di Mordante, il Don Antonio e anche il base, li trovo molto ben fatti e godibili. Domenica apro un 2006, vedremo.

Rispondi
avatar

Andrea Gori

circa 9 anni fa - Link

pesce azzurro e acciuga a volte si sentono ma sono più ascrivibili alla categoria dei difetti che dei pregi, un po' come la merde de poule in Borgogna per intenderci. Secondo me il Nero d'Avola ha un profilo varietale molto riconoscibile ma che varia nelle sue componenti a seconda del terreno, calcareo o argilloso e soprattutto del clima e dell'insolazione. Di certo la freschezza e una certa bizzosità da giovane sono altri aspetti che mi piace sempre ritrovare in quest'uva, indipendentemente da dove prodotta.

Rispondi
avatar

Federico

circa 9 anni fa - Link

Grazie. In effetti quel chè di pesce azzurro mi era capitato di farci caso solo nel nero d'avola, per questo lo avevo associato .... sarebbe stato molto tipico :-D p.s.: correggo, ovviamente intendevo Morgante

Rispondi
avatar

EC

circa 9 anni fa - Link

E del Mille e una notte di Donnafugata che si dice?

Rispondi
avatar

EC

circa 9 anni fa - Link

Anche se in effetti c'è una piccola % di altre uve, non proprio un nero in purezza...penso però dica anche lui la sua.

Rispondi
avatar

Andrea Gori

circa 9 anni fa - Link

Hai ragione! Terribile dimenticanza...anche perchè partecipammo anche ad una verticale qualche tempo fa http://www.intravino.com/grande-notizia/donnafugata-ben-rye-chiaranda-merlo-milleeunanotte-verticale/ Di certo ascrivibile tra i migliori della regione e uno dei più diffusi

Rispondi
avatar

EC

circa 9 anni fa - Link

Urca...davvero gran bella verticale! Chiarandà grande vino, di sicuro sottovalutato.

Rispondi
avatar

Pierpaolo Marabino

circa 9 anni fa - Link

Il sentore di acciuga è un difetto, ma in realtà nella Val di Noto, i vini di Pachino si caratterizzano per questo sentore! Dopo confronti con Foti e altri enologi della zona ho capito che qui il nero d'avola assume spesso queste caratteristiche, vuoi la vicinanza al mare e il fatto di trovarsi in mezzo a due mari! Non contento ho fatto delle analisi degli etilfenoli su indirizzo del prof. Zironi dell'Università di Udine, è il risultato ci ha confermato che sono aromi varietàli del nero d'avola di Noto e Pachino! Questi profumi iodati quasi marini, li ho riscontrati spesso anche nei vini bianchi di nostra produzione qui a Noto, quindi è l'ennesima conferma che il territorio ancor più del vitigno caratterizza il vino nelle sue peculiarità, ed è per questo che nelle mie etichette non scrivo il nome del vitigno, dove mi è consentito, ma solo il territorio di origine, NOTO! Come fanno i francesi che a mio modo di vedere sanno comunicare il vino meglio di chiunque altro, e non solo!

Rispondi
avatar

Rossano

circa 9 anni fa - Link

grazie Pierpaolo, mi eviti di dire le stesse cose se mi posso permettere la critica, è una scivolata interpretativa piuttosto grave di Andrea, visto che ha impostato l'articolo proprio sulla capacità del vitigno di leggere il territorio, e che la Val di Noto in cui si trova il paese di Avola è proprio la zona originaria del vitigno

Rispondi
avatar

Andrea Gori

circa 9 anni fa - Link

non capisco la scivolata Rossano...l'articolo dice che dobbiamo smetterla di dire che il Nero d'Avola è uno solo e cercare di capire quali sono i vari territori che lo interpretano. Noto è uno dei territori ma focalizzarsi solo su quello sarebbe come bere solo Sangiovese di Romagna perchè è lì che è stato coltivato per primo...

Rispondi

Commenta

Sii gentile, che ci piaci così. La tua mail non verrà pubblicata, fidati. Nei campi segnati con l'asterisco, però, qualcosa ce la devi scrivere. Grazie.