Gli americani credono più volentieri a Babbo Natale che al concetto di Terroir

di Pietro Stara

Da questo angolo della terra, abituati come siamo a prendere tutto troppo poco sul serio, pensiamo che le parole siano più o meno dei precipitati casuali di atteggiamenti mentali indefinibili come una stagione di moda. Le parole si usano, insomma, perché servono a riempire, a colmare e, in fondo in fondo, anche a rassicurare. Se, poi, esse provengono da oltralpe (o da oltremare poco importa), la loro funzione sedativa è ancora più evidente. Terroir è una di queste.

Una breve storia della parola terroir[1].
La sua origine si perde nel medioevo francese (1198), (tieroer, terroier…), e fa riferimento a due concetti tra loro strettamente collegati, di derivazione latina, che sono le parole ‘territorio’ e ‘terra’. Terroir coincide con il finage, il territorio comunale, che comprende, oltre agli orti e ai giardini cintati a coltura intensiva, i mansi, ovvero i campi aperti a strisce soggetti a rotazione triennale, le servitù di pascolo e il saltus, ovvero gli incolti non suddivisi in proprietà individuale. Il terreno, quindi, anche dal punto di vista delle sue attitudini agricole.

Più avanti si rinverrà un altro elemento che ci potrà tornare utile nell’indagine semantica di un concetto forse soltanto apparentemente scientifico, quando, a fine Seicento, irrompe attraverso un’inusuale metonimia, che è anche una potente metafora, il “goût de terroir” (il gusto di terroir).

L’altro ieri (2005)
Vocazionalità agricola, terreno, esposizione, clima, opera umana, tanto che pure l’INRA (Istituto Scientifico di Ricerca Agronomica francese) e l’INAO (Istituto Nazionale d’Origine e Qualità francese), hanno provato a dare una definizione condivisa, almeno dai francesi, di terroir:  “Il terroir è uno spazio geografico delimitato dove una comunità umana ha costruito, nel corso della storia, un sapere intellettuale collettivo di produzione, fondato su un sistema d`interazioni tra un ambiente fisico e biologico ed un insieme di fattori umani, dentro al quale gli itinerari socio-tecnici messi in gioco rivelano un’originalità, conferiscono una tipicità e generano una reputazione, per un prodotto originario di questo terroir.”

Ieri. (25 novembre 2013)
Gli statunitensi è già da un po’ di tempo che rispondono ai francesi e agli europei in genere: embè!

La guerra del terroir non si gioca certo in punta di fioretto. Sono arruolati, da entrambi i fronti, geologi, enologi, chimici, biologi, naturalisti, storici, geografi, agrimensori, semiologi, divulgatori e pop star, votati a sostenere, o a distruggere, la causa del terroir. Più che distruggere, gli statunitensi provano a svuotare dall’interno la storicità di un concetto (un po’ come tenta di fare il governo con le Province), cercando di disancorarlo dal terreno su cui è piantato.

Nientepopodimeno il giornaletto locale di New York, il The New York Times, pubblica, e non è la prima volta che dà spazio a questi temi, un articolo dal titolo altrettanto ineffabile quanto evocativo: “I microbi possono aggiungere qualcosa di speciale al vino.” L’attacco è, manco a dirlo, rivolto contro il concetto di ‘terroir’, l’ineffabile ‘terroir’, come lo definisce il giornale americano. Ora, ci dice il NYT., “i ricercatori americani hanno penetrato il velo che nasconde la rappresentazione del terroir (usano la parola landscape (paesaggio, panorama, veduta) che in termini figurati significa disegno o rappresentazione) attraverso un chiaro punto di vista, almeno in parte. Essi hanno individuato un aspetto plausibile del terroir che può essere scientificamente misurato – i funghi e i batteri che crescono sulla buccia dell’uva.”

La comunità dei campioni di microbi presenti sulle uve determinerebbe, almeno in parte (lo dicono sempre loro), la ragione per cui uno Zinfandel piantato in una zona avrebbe un gusto differente da un altro Zinfandel piantato in un’altra zona.

Gli studi sono opera di due valenti ricercatori dell’Università della California, David A. Mills e Nicholas Bokulich, che, dopo aver condotto la ricerca su diverse uve da vino presenti in California, hanno presentato i loro risultati alla Sessione annuale (e relativi atti) dell’Accademia Americana delle Scienze.

Almeno in parte.
Prima l’avverbio, poi il dubbio. Attendiamo, ora, i colpi di marca francese.

 


[1] Vi rimando ad un mio articolo più approfondito: http://vinoestoria.wordpress.com/2013/01/14/il-terroir-nella-storia/

 

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Pietro Stara

Torinese composito (sardo,marchigiano, langarolo), si trasferisce a Genova per inseguire l’amore. Di formazione storico, sociologo per necessità, etnografo per scelta, blogger per compulsione, bevitore per coscienza. Non ha mai conosciuto Gino Veronelli. Ha scritto, in apnea compositiva, un libro di storia della viticoltura, dell’enologia e del vino in Italia: “Il discorso del vino”.

13 Commenti

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Rossano Ferrazzano

circa 10 anni fa - Link

Mah. Pure l'ammerigani hanno fatto le loro belle e brave AVA. Ci credono più di noi, va là...

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Pietro Stara

circa 10 anni fa - Link

Vero quello che dici: diciamo che gli americani non potendo eliminare questo potente concetto evocativo, tentano di piegarlo alle loro esigenze produttive e commerciali

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Massimo Billetto

circa 10 anni fa - Link

Mi spiace, ma una gran parte di addetti ai lavori americani al terroir ci crede, eccome se ci crede. Basta andare là e vivere la realtà vera, non stereotipata, di molti "vigneron" dell'Oregon, di Sonoma o di Napa per capire quale universo in moto sia oggi il vino USA. Ho allievi americani molto più preparati sulla Biodinamica rispetto a qualunque italiano.

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Pietro Stara

circa 10 anni fa - Link

Come sempre accade, il fatto di riportare un'informazione giornalistica, rilanciata dal potente New York Times, non signifca che essa abbia una valenza omnicomprensiva. Come dice Massimo Billetto è evidente che ci siano produttori che si discostano da un trend (ma non vale lo stesso per l'Italia, la Francia....?), che però, è assolutamente maggioritario tra i produttori viticoli americani. Vi rimando ad un altro attacco, sempre di qualche anno fa, sul concetto di mineralità. Ebbene, in quell'occasione, venne scomodata la Società Geologica Americana: Giampiero Nadali Mineralità del vino: mito o realtà?, in http://www.aristide.biz/2006/11/il_mito_della_m.html, 29/11/2006 Fiorenzo Sartore, Terra, terroir, territorio: miti?, Intravino, Un altro vino è possibile, http://www.intravino.com/vino/terra-terroir-territorio-miti/§, 28 ottobre 2009. Pietro Stara, Mineralità, http://vinoestoria.wordpress.com/2012/12/27/mineralita/ Quello che sostengo, infine, è che un concetto polisemico, come quello di terroir, apre una serie di problematiche interpretative non facilmente risolvibili: "La vite con le sue radici, con il suo ancoraggio fisico e simbolico alla terra e ad una origine ancestrale funziona da dispositivo di autorità: utilizza i contenuti evocati dall’immagine e attribuisce loro l’autorevolezza che promana dalla natura, dalla vita, insomma dalla necessità biologica. La natura, secondo tale schema, giustifica e spiega la storia, la quale ritorna su di essa come espediente esplicativo di un mero processo naturale: autorità ed incontrovertibilità lastricano pesantemente tutto il processo conoscitivo [Maurizio Bettini, Contro le radici. Tradizione, identità, memoria, Il Mulino, Bologna 2012]. La scienza, insomma, soccorre, sostiene, determina, quando e come può, ipotesi politiche quand’anche non culturali: la sottovalutazione di un termine di paragone, la sua riconoscibilità/irriconoscibilità, la sua preminenza e prevalenza da punto di vista qualitativo e quantitativo concatenano una serie di considerazioni talvolta opposte, egualmente suffragate da sufficienti validazioni probatorie, a posteriori."

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Stefano

circa 10 anni fa - Link

E' una polemica datata, quella dell'anti-terroir era la posizione USA e poi Australiana di diversi decenni fa. Ed era dettata solo da motivi economici, nel 1980 non c'era gara tra Napa Valley e Margaux (o Barolo se non Rioja) per cui tentarono di spostare il conflitto sul terreno del vitigno; ogni merlot è pure sempre un merlot, per cui compete alla pari con tutti gli altri e storia e reputazione conquistate nel tempo valgono zero. Ora però pure Barossa e simili sono ben note agli addetti ai lavori, per cui diventa meno conveniente puntare sul vitigno e certe posizioni si attenuano. Anche perché così si possono alzare i valori delle vigne delle aree più pregiate del nuovo mondo, dando ossigeno prezioso ai viticoltori Aussie con i bilanci in rosso da anni.

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maurizio gily

circa 10 anni fa - Link

In effetti la questione è un po' più complicata. tuttora non pochi nel Nuovo Mondo sostengono che il concetto di terroir sia solo "French bullshit", ma normalmente hanno qualche interesse a farlo. Piuttosto, parlando di produttori e ricercatori seri, nel Nuovo Mondo il concetto di terroir è più fortemente legato al clima, e meno al suolo e al "know-how" umano, rispetto alla concezione europea. Per esempio in Australia si utilizza spesso la distinzione "cool climate" e "warm climate" per le analisi macroeconomiche, usando questa discriminante per distinguere, a grandi lineee, vini di pregio con produzioni per ettaro contenute (cool) e vini più da battaglia (warm). Per ovvi motivi nel Nuovo Mondo l'idea di zonazione viticola è molto più legata a parametri misurabili con strumenti scientifici, come appunto il clima, che non a "saperi tradizionali", che pure esistono, ma solo in alcune aree, quelle di più antica coltivazione. Comunque questo studio di cui si parla pare discutibile perché la microflora sulla superficie della buccia è fortemente influenzata da molte variabili, come le condizioni meteorologiche dell'annata, che possono variare da zona a zona, basta un temporale, e soprattutto dai trattamenti anticrittogamici fatti in vigneto (visto che parliamo, sempre, di crittogame). Interessante sarebbe l'analisi della microflora endofita e quella della rizosfera, cioè che vive dentro la pianta e nella zona delle radici. E' probabile che questa sia una componente del terroir più significativa che quella di superficie.

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Stefano Cinelli Colombini

circa 10 anni fa - Link

Dopo troppe decine di anni di vendemmia, guardando dal lato del campo (o dei piedi infangati, se preferisci) direi che nei vigneti delle zone al top la rizozona e la microflora sono praticamente sempre ben gestite, non è che puoi cambiare molto. E gli anticrittogamici sono banditi o molto, molto limitati. Mentre ogni sangiovese di Montalcino sarà tendenzialmente giovanile dopo quattro anni mentre ogni sangiovese di Scansano non lo sarà, anche se magari alla svina il maremmano poteva pure essere superiore. Il problema non è l'esistenza del terroir, che è indubbia, ma è di natura direi teologica; per valutare davvero dell'influenza dii questo o di quello occorrerebbe prima chiedere a Santa Cisterna e Santo Osmotizzatore di ritrarsi, e di lasciarci valutare il divino nettare com'era prima dei loro miracoli.

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Lor

circa 10 anni fa - Link

L'ineffabile concetto di giornalismo...... se avete voglia di leggervi l'articolo originale http://www.pnas.org/content/early/2013/11/20/1317377110.full.pdf+html noterete che il giornalista si allarga a sproposito e fa dire ai ricercatori cose che non hanno scritto

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francesco vettori

circa 10 anni fa - Link

Perfetto. C'è infatti una solidissima tradizione che fa derivare il termine "territorio" - che non coincide concettualmente con "terroir" ma da cui quest'ultimo certamente deriva - NON da "terra" ma da "terror". Cioè l'autorità politica, legislativa, culturale che il signore di turno esercita su una data zona sotto il suo controllo. Il significato del "territorio" è sociale, non naturale. E non è affatto ineffabile, anzi deriva dalla forza delle armi, della legge, del controllo sociale. Circa il resto dell'articolo, per il sottoscritto, non ha capo ne coda, con una chiusa degna del resto. Confonde parole e concetti: rappresentazione, paesaggio, panorama, veduta, punto di vista. Snocciola con nochalance concetti diversi senza spiegare, anzi argomentare, nulla. Per chi ama le definizioni, nient'affatto sfuggenti, anzi fin pedisseque, consiglio la lettura di "I terroir. Definizioni, caratterizzazione e protezione" di Vaudour Emmanuelle. A terroir, personalmente, ho sempre preferito il termine, e il concetto, di "Genius Loci". Ben più ambiguo, profondo, antico.

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maurizio gily

circa 10 anni fa - Link

Stefano stavolta non ti capisco. Antiperonosporici, antioidici, antibotritici sono appunto anticrittogamici, compresi rame e zolfo. Che siano banditi o molto limitati non mi risulta. Sono d'accordo però che se un'influenza della microflora sul terroir esiste, è solo una delle molte variabili e di certo non la principale.

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Pietro Stara

circa 10 anni fa - Link

@francesco vettori. Buona sera, sono dispiaciuto che non abbia capito il senso dell'articolo. Provo a spiegarmi meglio. Riporto una notizia che ha trovato evidenza sul NYT relativa ad una ricerca che parla della funzione di batteri, microbi e funghi nella definizione del gusto di un vino. La ricerca in questione è assai discutibile, perché ha come obbiettivo primario (di tipo politico) quello di piegare a sé una certa idea di terroir (nozione comunque problematica). Non è, per forza di cose, un articolo di approfondimento, cosa che faccio (anche su Vaudour), ad esempio, nel mio blog, Oppure nel libro che ho scritto. Aggiungo anche che è l'articolista del NYT ad usare l'espressione: at least in part. ciò a significare l'evidente incertezza in cui è avvolta la ricerca in questione la rimando ad un altro articolo di un po' di tempo fa. http://vinoestoria.wordpress.com/2012/03/30/terroir-la-difficolta-di-una-definizione/ il mio libro con relativo indice: http://vinoestoria.wordpress.com/2013/05/28/contro-il-logorio-della-vita-moderna-e-uscito-il-mio-libro/ sperando di essermi chiarito, la saluto

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Stefano Cinelli Colombini

circa 10 anni fa - Link

È semplice, antiperonosporici, antioidici e compagnia bella hanno vari effetti sull'uva, ma ne hanno ben pochi sul sapore del vino. Dopo la gelata dell'85 ho abbandonato quattro ettari e, con molta sorpresa, ho raccolto una quantità quasi normale di uva; aveva avuto alcun trattamento, ma il gusto era identico al resto dell'azienda. Lo stesso mi è capitato quest'anno con 350 quintali raccolti in una vigna abbandonata, il proprietario mi ha venduto l'uva che era indistinguibile dal mio sangiovese di vigne vicine. E potrei citate altri casi. È la zona e l'uomo in cantina con la sua esperienza (decenni o secoli di affinamento di cosa fare a quell'uva di quel posto mica sono inutili) che fanno la differenza, tutto il resto influisce molto meno. Il guaio è che molti qualche "aiutino" lo trovano, e poi diventa difficile sapere di cosa stiamo parlando quando si discute di terroir perché, magari, quel certo vino "simbolo" proprio tutta farina di quel sacco non lo è.

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