Forse dovresti cambiare mestiere

di Alessandro Morichetti

Fossi in voi, non parlerei mai con uno come me. Troppo figlio di puttana. Ma mia madre è una santa donna, quindi il primo che acconsente lo querelo. Perché la regola vale ora come allora: il meglio delle conversazioni sul vino tra addetti ai lavori non finisce mai scritto. E io quel pranzo in una giornata piovosa a Monforte d’Alba me lo ricordo. C’era un critico di grido (nel senso che, se lo vedi, gridi!) e si discettava dei cru di Barolo davanti a un formaggio: disquisizione eccitante come leggersi un pippozzo di Angelo Gaja sull’andamento vendemmiale 2012 mentre tua moglie ti aspetta in camera dopo 2 bocce di Petrus a cena. Poi il discorso passò sul Dolcetto, su Dogliani, e il critico sentenziò perentorio: “Solo a Dogliani sanno fare dei veri Dolcetto, di grande importanza. Qui rimangono vinelli di scarso rilievo”. Il virgolettato è ampiamente tarocco ma il senso è chiaro: il dolcetto è uva che merita vini importanti e non capisco perché qui nelle Langhe di Barolo e Barbaresco ci si ostini a tirar fuori vini di basso livello.

Pausa per tirare il fiato.

Io sono un dolcettista. A pasto bevo dolcetto nel 70% dei casi. La barbera è acida e meno profumata, il nebbiolo più tannico e strutturato, i fratelli nobili Ba&Ba faticano a seguire il ritmo gustativo dei miei cavalli di battaglia: mozzarella, insalata, cotoletta e formaggi buoni quando va bene. Quindi dolcetto, il vino della tavola, di pochi pensieri e speculazioni odorifere. Odore buono, tannino giusto, frutta fresca. Io so come è fatto un ottimo dolcetto, che qui nella metropoli dove mi trovo a vivere (Barbaresco, Langhe, Italia, ndr) è l’uva della vita quotidiana. E io mi adeguo con piacere. Però c’è un però. L’uva dolcetto vale non tanto ma richiede attenzione, è delicata, e niente più di un dolcetto fatto male ad inizio batteria invita ad evitare i vini aziendali che seguono. Detto in altre parole, chi sbaglia il Dolcetto troverà in me un acerrimo nemico.

Ma il discorso, qui, non riguarda i miei gusti bensì tematiche di ordine antropologico-culturale. Perché battere le Langhe da x decenni senza aver colto il ruolo storico del dolcetto, la sua collocazione nell’immaginario collettivo e la sua funzione d’uso, è un tremendo insuccesso, un disastro interpretativo e una stortura critica. E di esempi così, probabilmente, ne potremmo fare a vagoni.

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Alessandro Morichetti

Tra i fondatori di Intravino, enotecario su Doyouwine.com e ghost writer @ Les Caves de Pyrene. Nato sul mare a Civitanova Marche, vive ad Alba nelle Langhe: dai moscioli agli agnolotti, dal Verdicchio al Barbaresco passando per mortadella, Parmigiano e Lambruschi.

10 Commenti

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Walter

circa 11 anni fa - Link

La mia visione riguardo il Dolcetto è molto caotica. C'è una parte di me che si trova in accordo col tuo pensiero e sposa la linea del "non dimentichiamoci che il Dolcetto è una componente storica dell'enologia Piemontese". Ma c'è un'altra parte di me che è decisamente più critica e obiettiva. Se sei un produttore nel 2013 ti devi scontrare col fatto evidente che il Dolcetto è un vino difficile da collocare in un mercato come quello attuale per un miliardo di motivi che credo tu sappia perfettamente.Da qui nasce la mia opinione (che in realtà ho da alcuni anni) e cioè che il Dolcetto da qui ai prossimi 15 anni verrà gradualmente "esonerato" dalla maggior parte dei produttori.

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Alessandro Morichetti

circa 11 anni fa - Link

La mia previsione è invece assolutamente contraria. Il Dolcetto fatto bene è un vino con pochi eguali per la bevuta disimpegnata quotidiana, e lo dico col massimo rispetto per la bevuta da 8-12 euro, più sacra e significativa di ogni altra. Il Dolcetto "uva e solfiti" che ho in mente sarebbe un vino quotidiano di punta ovunque e prendo a prestito le parole della più bella apologia del dolcetto trovata in rete con un aiuto dalla regia:

Il nuovo stile dei Dolcetto, equilibrato, capace di evitare i due estremi della sovraestrazione e della diluizione, merita attenzioni ben maggiori da parte del buon bevitore. Lo diciamo innanzitutto a noi stessi: stiamo meno in Borgogna e più a casa nostra, ci troveremo bene lo stesso.
Parole di Fabio Rizzari nel condivisibilissimo post Il Dolcetto Stil Novo su Vino:. Correva l'anno 2010 ma tesi ancora attualissime.

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Pietro Stara

circa 11 anni fa - Link

Da dolcettista a dolcettista. Come posso iniziare un confronto con un dolcettista di Barbaresco?: vengo da Farigliano, mio nonno era di lì. Ma non basta: vigneto Maestra, quello di Giacolino Gillardi, era un tempo di mio nonno. Infatti il nome di ‘maestra’ indica una mia prozia, insegnante elementare ed amante del dolcetto (a cui dedica una bella poesia). Ho sempre bevuto quello di Dogliani perché, siccome adottavamo il Km zero senza saperlo, si tracannava quello prodotto in casa e basta. Quelli d’Alba e di Diano erano troppo distanti e poco conosciuti per essere soltanto smerciati: si trattava di un’indebita invasione di campo. Poi è cambiato un po’ tutto, dolcetto compreso: dalla mie parti di Langa il dolcetto non è un vino, ma è il vino, così come per molte altre parti di Langa è il vino di tutti i giorni, ma non è il vino. Detto questo è vero che esistono delle differenze, soprattutto nel modo di concepirlo: ma niente di male. Per alcuni appunto è sempre stato l’unico vino possibile, l’unico consentito e l’unico prodotto. Per altri ancora era il vino che non poteva essere pensato, nemmeno parzialmente, nella forma imponente e superiore dei vini nobili della zona: i nebbioli nelle loro varie declinazioni. Ma non è finita qui. Anche dalla mie parti non la pensano tutti allo stesso modo: Gillardi la vede, ad esempio, in maniera molto diversa da Bocca. A loro due dedico due lunghe interviste nel mio libro, “Il discorso del vino”. Il dolcetto, oramai, sono tanti, soprattutto nel modo di pensarli, e quindi di farli. Rimane il fatto che non si può immaginare la Langa senza dolcetto.

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Alessandro Bocchetti

circa 11 anni fa - Link

Mi sfugge... Il tema è il dolcetto? Il critico e la sua stoltaggine? Perché se no il discorso cambia molto... Nel primo caso bisognerebbe ragionare sulla scomparsa dei vini gastronomici, nobili ed importanti nella cultura italiana, ma persi quando la enocrazia ha smesso di pensarci perte di un comparto artigianale ed agricola e si è immaginata industriale e fica! Nel secondo caso: fuori i nomi, perché parlare a nuora perché suocera intenda è snervante :D Ciao A

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Alberto Cantarello

circa 11 anni fa - Link

Purtroppo condivido ogni virgola. E dico purtroppo perché sono un “dolcettista” anche io. Vorrei condividere alcune riflessioni: non sono assolutamente verità, ma pensieri che mi saltano in testa e che mi va di condividere: 1. Il dolcetto da noi è da sempre il vino da tutti i giorni: non deve essere “degustato”, ma bevuto. Sono scontri tra filosofie, ma tendenzialmente più un vino si degusta, meno si beve… per fare vini che piacciano ai mercati, oggi bisogna farli per le degustazioni, non per bere… forse per questo si investe poco sul dolcetto… 2. il langarolo se ne frega di cosa pensano gli altri: ama a dismisura il dolcetto, lo beve tutti i giorni e lo cambierà solo se qualcuno gli dimostrerà che, cambiandolo, ne venderà di più o guadagnerà di più! … 3. quelli della generazione di mio padre andavano nelle cantine a comprare il dolcetto, e gli regalavano un po’ di barolo che avanzava sempre: tempi e mode cambiano e noi a ballargli il valzer dietro Il Piemonte ha una biodiversità pazzesca, ma anche una indolente pigrizia a non voler mai cambiare nulla se non è già stato provato prima da qualcuno. Sono convinto che molto cambierebbe se domani arrivasse qualcuno disposto a investire, piantasse il dolcetto (e il discorso vale identico anche per barbera, ruché, nascetta, freisa, timorasso…) nelle posizione più vocate (e non negli “scarti di vigna”), sperimentasse vinificazioni specifiche per esaltare la tipicità del prodotto, facesse di questi vini la sua produzione di punta. Spero proprio di esserci ancora per vedere quel giorno........ :-) p.s.: preciso che per me esistono comunque produttori che fanno dolcetti da urlo già adesso, a prezzi stracompetitivi: ma sono purtroppo, a livello di quantità prodotta, una parte minoritaria…

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maurizio gily

circa 11 anni fa - Link

Il problema principale del Dolcetto è la dispersione: tra un numero elevato di offerenti, tutti piccoli (i grandi lo fanno ma con poca convinzione), tra un numero ridicolmente elevato di denominazioni, e tra una gamma troppo diversificata di tipologie. Contrariamente a quanto pensano in molti il problema del nome dolcetto secondo me non esiste. Anzi, spiegare che si chiama dolcetto ma non è dolce è un'ottima leva per la comunicazione. Semmai il problema non è il dolce ma l'amaro. Una sensazione non molto ben accetta, sulla quale occorre lavorare in campagna e cantina. Oppure farlo conoscere ai consumatori di birre molto luppolate ...

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MonOncleDeGeorgie

circa 11 anni fa - Link

e Ovada???????????????????????

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Roberto

circa 11 anni fa - Link

Certi Ovada Superiori danno molta soddisfazione, ad esempio il Capsula Nera, il Gamondino o il Bricco del Bagatto. Per fortuna non esistono solo Dogliani, Alba e Diano ;-)

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Gian Piero Staffa

circa 11 anni fa - Link

Io non credo che il Dolcetto scomparira' entro quindici anni o comunque, diciamo che Produttori e Consorzi hanno di fronte una enorme opportunita': Nel mondo cresce la domanda di vino bianco e di vini rossi leggeri e di piu' facile beva rispetto ai 'nobili' barolo e barbaresco. Oggi, nel mondo, una bottiglia ogni cinque stappate, se parliamo di bollicine, e' Prosecco. Qualcuno con l'immagine ha lavorato bene. Quindi il punto, non e' Dogliani contro Alba ma una rete, schieramento, comunicazione comune che si concentri sul comunicare 'bere dolcetto' piuttosto che 'bevi Dogliani' o 'bevi Alba' Un livello adeguato di comunicazione che non e' sopportabile da un singolo Produttore/Consorzio ma che puo' solo essere espressione di una azione condivisa nell'interesse dell'intera denominazione. Per chiudere: Vale di piu' un articolo come quello di Morichetti scritto con il cuore e che 'parla' di un vino piuttosto che 10 Guide che sparano sentenze a suon di punteggi senza neanche descrivere il vino. Io stasera ho stappato dolcetto, e non lo facevo da dieci anni.

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Luis

circa 11 anni fa - Link

Il giorno che il Dolcetto scomparirà spero di essere già morto da un pezzo!

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