Fare il sommelier è un gioco da ragazzi. O un mestiere da segugio, fate voi

di Andrea Gori

Tutto quello che pensavate di conoscere sull’olfatto potrebbe essere falso. Se è vero che la nostra relazione d’amore con l’alcol potrebbe risalire ad oltre 10 mila anni fa, è davvero solo recentissima (ultimi anni del 1800 per essere precisi) la nostra passione per le descrizioni di aromi, profumi e sensazioni gustative nel bicchiere che si è poi evoluta nella “tirannia delle note di degustazione”, per dirla alla Asimov (Eric, NY Times).

Ma se in passato si pensava che per essere un grande sommelier ci volesse talento, una predisposizione naturale e una grande memoria, oggi scopriamo che in realtà è praticamente tutta una questione di allenamento cerebrale, qualcosa che già tanti sommelier hanno ripetuto decine di volte. Quindi la buona (o cattiva) notizia è che possiamo addestrare il nostro naso e soprattutto il nostro cervello a riconoscere ed elencare gli odori di un vino. Lo dicono chiaramente gli esperimenti di Jay Gottfried, neuroscienziato della Northwestern University: siamo “costruiti” con un deficit neuronale che ci impedisce di dare un nome ai profumi. Tutto dipende dal fatto che in tempi ancestrali non ce n’era bisogno, bastava solo essere capaci di localizzare una fragola o evitare di avvelenarsi con certe piante (e qui siamo messi bene visto che possiamo riconoscere quasi 3 miliardi di molecole profumate), ma dare un nome a un profumo è qualcosa di cui si è sentito il bisogno solo dal Medio Evo in poi con l’avvento della profumeria ancora prima del vino stesso.

Le spiegazioni scientifiche sono piuttosto complesse ma, lette da biologo, piuttosto interessanti e meritevoli di approfondimento (potete seguire i link presenti in questo articolo su WiredUSA e su Vinography). Ciò che in sostanza dimostra Gottfried è che le sensazioni odorose arrivano in maniera piuttosto diretta al nostro cervello (in particolare alla corteccia piriforme), molto più direttamente di altre sensazioni che giungono alla corteccia in maniera più mediata e accurata ma appunto in uno stato di bozza molto grezza che deve essere pesantemente elaborata. Ciò spiega come mai gli odori, molto più di una immagine (la Madeleine proustiana anyone?), sono in grado di rievocare un luogo, una persona o un ricordo impresso in maniera incredibile nella nostra memoria. Si spiega anche come spesso sentiamo di avere sulla punta delle lingua la definizione di un profumo ma non riusciamo a pronunciarlo. Salvo poi dire al sommelier o al degustatore “Ecco, lo stavo per dire!”.

In quel “lo stavo per dire” sta la differenza tra un cervello allenato che passa ore e ore a catalogare e stabilire connessioni neuronali tra profumi percepiti “in bozza” e il cervello di un comune bevitore che ordina un bicchiere di vino.

In conclusione ho per voi una buona e una cattiva notizia: la buona è che basta un po’ di allenamento per diventare un ottimo sommelier, la brutta è che le note di degustazione sono qui per restare.

Andrea Gori

Quarta generazione della famiglia Gori – ristoratori in Firenze dal 1901 – è il primo a occuparsi seriamente di vino. Biologo, ricercatore e genetista, inizia gli studi da sommelier nel 2004. Gli serviranno 4 anni per diventare vice campione europeo. In pubblico nega, ma crede nella supremazia della Toscana sulle altre regioni del vino, pur avendo un debole per Borgogna e Champagne. Per tutti è “il sommelier informatico”.

7 Commenti

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Davide Canina

circa 9 anni fa - Link

Interessante articolo ma non la conclusione. La parte olfattiva è legata alla degustazione e quindi con un pò di allenamento si può diventare ottimi degustatori. Mentre per diventare ottimi sommelier c'è molto altro e per fortuna. Oggi il saper comunicare prima di tutto e poi tante tante cose.

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Andrea Gori

circa 9 anni fa - Link

questa storia del sommelier comunicatore ha rovinato parecchie carriere...a cominciare dalla mia! In realtà bisogna capirsi su cosa si intende per sommelier: nel testo ho usato l'accezione tutta italiana di sommelier come "colui che sa descrivere un vino in termini di sensazioni olfattive"

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Paolo

circa 9 anni fa - Link

Possibile che si riferisca ad una professione di somellier 2.0, come è d'uso o di moda oggi? Talmente d'uso e di moda, che sarebbe bene imporre la professione 2.setteperiodico, ormai.

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Andrea Gori

circa 9 anni fa - Link

il sommmelier 2.setteperiodico deve possedere talmente tante competenze che se fa domanda lo prendono subito al CERN

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Paolo

circa 9 anni fa - Link

Veramente, gentile Andrea, io avevo in mente proprio l'opposto. Grosso modo, il somellier 2.setteperiodico è quello che al CERN ci lavorava, poi ha fatto due conti, e ha abbandonato il suo lavoro sul bosone di Higgs per la professione in oggetto. Con due serate di degustazione guidata e un articolo su rivista del settore, guadagna più che al CERN. A Natale, il somellier 2.settteperiodico ha salotto e camera da letto pieni fino al soffitto; quando era al CERN riceveva email con ASCII-art natalizie...

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Andrea Gori

circa 9 anni fa - Link

LOL!

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niccoló barberani

circa 9 anni fa - Link

Da enologo, e già prima sommelier, ho sempre affermato che la pratica e l'esperienza sono le fondamenta di questi mestieri. Ma la cosa che secondo me serve più di tutti, e che va aldilà di esperienza e predisposizione, è la sensibilità. Se si unisce esperienza e sensibilità si potrà ottenere un enologo o un sommelier provetto... Dopo queste poi servono altre mille qualità e competenze... ;)

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