I vini di Tenute Dettori e Kent’Annos raccontano una Sardegna appassionatamente autentica

di Andrea Gori

Immaginatevi un ragazzo dei nostri tempi con la voglia neanche troppo nascosta di cambiare vita e scenario. E con una carriera di broker davanti, magari non proprio come The Wolf of Wall Street ma insomma, abbastanza stimolante ed elettrizzante. Poi invece succede che tuo nonno, in qualche modo, veda in te il suo futuro e il futuro di una parte di Sardegna coltivata da tempo immemore, vicino al mare ma fuori dalla pazza folla, in collina ma senza perdere il contatto con lo specchio blu e la vista dell’Asinara. Nel mezzo metteteci la voglia di distinguersi e dimostrare al mondo che un’altra via per il vino sardo è possibile e auspicabile.

Il progetto di Alessandro Dettori prende vita nella seconda metà degli anni ’90 e da subito si focalizza su due aspetti principali: lo studio delle vocazioni dei vigneti e le possibilità dei vitigni autoctoni e la biodinamica. In realtà a chiunque capiti da queste parti questa pare quasi una via obbligata, sia per proteggere ed esaltare un terroir unico quanto a luce, esposizione ai venti e microclima, sia perché rappresenta il riscatto di una terra che ha il 70% di tutte le servitù militari italiane (tra le quali poligoni di tiro per armi con metalli pesanti).

Questa parte di Sardegna, poi, ha una storia, già vista altrove, di impianti industriali costruiti per i sardi e abbandonati al primo giro di vento: basta vedere la periferia di Porto Torres che si staglia sull’orizzonte (lontano) delle vigne. Oggi, finita da tempo l’egemonia della DC e dei suoi eredi diretti, la regione va consegnandosi nelle mani del Movimento Cinque Stelle dopo tante illusioni, rilanci e abbandoni da parte della politica. In mezzo a tante promesse non mantenute non si può non vedere nella scelta di Alessandro qualcosa di naturale e allo stesso tempo rivoluzionario, una forma di ripartenza dalla Sardegna stessa e dal suo potenziale inespresso, troppo spesso blandito dal di fuori ma mai del tutto valorizzato. Qualcosa che metta l’uomo e la natura al centro delle scelte, che sia un atto politico di quelli che si imparano tra gli scout, ovvero una scelta che cambia il destino di un luogo e delle persone.

Si parte dal vigneto: raccolta delle uve con rese minime, da piante anche centenarie ad alberello con densità bassa, sovescio con graminacee e altri azoto-fissatori per il terreno; preparati biodinamici come d’ordinanza per 18 dei 24 ettari attualmente a disposizione dell’azienda, che solo di recente ha acquistato altri 6 ettari, attualmente in conversione biologica. La vinificazione è per gravità, a cominciare dalla pressatura che non avviene – o almeno avviene solo in un secondo tempo quando il peso dei grappoli schiaccia quelli più in basso dando il via alla fermentazione in tini di cemento. Poi un passaggio in inox per alcuni vini, e di nuovo in altro cemento per i restanti. Cru e vigneti vengono vinificati separatamente e poi assemblati prima di tornare in botte: di nuovo di cemento come tradizione dell’isola, che ha cominciato ad usare (spesso male) il legno solo con l’arrivo dei piemontesi in un passato davvero recente.

Arrivare a Tenute Dettori, o meglio, al ristorante Kent’Annos, ha un che di speciale. E’ come arrivare alla tavola di famiglia che ti aspetta per il pranzo della domenica. Non c’è menu, c’è “solo” una successione incredibile e perfetta di piatti che in un paio di ore ti fanno assaggiare tutto quanto sogni della Sardegna di terra: la cordula di agnello, la torta gallurese, le polpette, il porceddu, l’agnello, i dolcetti sardi tiricche, i papassini e gli agrumi grandi, belli e incantevoli al profumo e all’assaggio. I vini precedono i piatti e sono un misto di annata nuove e chicche del recente passato aziendale, servite dal padre Paolo oppure lasciate al tavolo a libero servizio (il menu completo costa 35 euro con i due Renosu, con tutti i vini qui riportati 50€).

Renosu Bianco. (2013, ma l’annata non è in etichetta). Vermentino e Moscato: rustico ma soave, ha note tra il tropicale e lo zenzero, zagara e arancio. La bocca è tosta e sapida, un paio di bottiglie servite una accanto all’altra presentano però differenze notevoli. 85

Renosu Rosso. (2012, ma come per il bianco l’annata non è in etichetta). E’ il vino più semplice da capire, ma che si presenta multi level, con un grande frutto di marasca e fragola, poi tabacco, lamponi e pepe nero; impressiona per la capacità di bersi senza troppi pensieri e per adattarsi agli abbinamenti più disparati. 87

Dettori Bianco 2009 (in magnum). L’anno dopo la tremenda peronospora del 2008, viti stanche ma reattive hanno saputo dare un vino particolare, leggero come gusto con l’aiuto di una carbonica disciolta, ma tosto per alcol e acidità complessiva. 84

Dettori Bianco 2012. Al naso canditi e pompelmo, camemoro e pittosporo; in bocca presenta incenso, menta e resina. Forza e passione mediterranea, vino trascinante, anche se manca l’acuto perentorio. Incredibile sulla zuppa gallurese. 89

Chimbanta (monica in purezza) 2011. E’ una bomba di acidità e alcol (quasi 16%), un lambic rosso che sgrassa e punge con note di ciliegia, miele di castagno e senape. Non per tutti i palati, ma è un’esperienza di quelle che non dimentichi. 87

Tenores 2009. Anche qui il vino risente dell’annus horribilis precedente (2008) quindi carbonica e nervosismo, naso oscuro sottobosco, ginepro e resine, peperone, bocca massiccia e ostica (oltre 16 gradi alcolici) ma profonda, dark e speziata. 88

Dettori Rosso 2010. 17,5 gradi alcolici di potenza. Mirto e rafano, fragole in confettura, bocca dolce e ricca, appassionata e sorprendente per freschezza ed equilibrio, finale carico e sapido, lunghissimo. Abbinato al porceddu, ma anche agnello con le olive. 92

Dettori Moscadeddu 2011. E’ una sinestesia gialla e arancione: con mandarino, arancio sanguinella e del Gargano, fragola e miele d’acacia, pepe bianco; bocca gessosa con canditi e zafferano, lunghissimo e in grado di regalare momenti di pura poesia. 90

Dettori Chimbanta & Battoro 2007. Annata più unica che rara, da una vigna di Monica botritizzata a dare un vino ferroso, iodato, e con una vena di muffa nobile che esalta tannino e struttura. Da biscotti come la tiricca o formaggi stagionati. 87

Nonostante l’alcol e le intensità impressionanti di gusti e sapori, ci si alza da tavola sazi e appagati e si ha il tempo di fumarsi un sigaro sul terrazzo ricavato sulla nuova cantina, guardando lontano e calandosi nei panni di chi questi vini li assaggia lontano dalla loro terra ma sempre carichi del suo ricordo e del suo fascino: è davvero difficile trovare vini che nel bene e nel male rispecchino così bene una terra, un’idea di vino e che sappiano raccontare una storia così appassionante.

 

Andrea Gori

Quarta generazione della famiglia Gori – ristoratori in Firenze dal 1901 – è il primo a occuparsi seriamente di vino. Biologo, ricercatore e genetista, inizia gli studi da sommelier nel 2004. Gli serviranno 4 anni per diventare vice campione europeo. In pubblico nega, ma crede nella supremazia della Toscana sulle altre regioni del vino, pur avendo un debole per Borgogna e Champagne. Per tutti è “il sommelier informatico”.

2 Commenti

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spirito

circa 10 anni fa - Link

e l'Ottomarzo quello con Pascale in purezza???? sono curioso di assaggiarlo ma ancora non l'ho trovato in giro

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Giacomo

circa 10 anni fa - Link

Prova a dare un'occhiata qui http://www.wine-searcher.com/find/tenute+dettori+ottomarzo+romangia+sardinia+italy/1/italy/-/x

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