Dedicato a tutti quelli che non hanno mai sentito parlare del WSET (Wine & Spirit Education Trust)

di Alessandro Morichetti

Io e il mio semplice diplomino AIS da sommelier guardiamo al mondo del vino oltre confine con molta curiosità. Cioè noi leggiamo i Master of Wine, per carità ci documentiamo a bestia, però di come sia la formazione sul vino in Inghilterra, USA o altrove abbiamo un’idea un poco vaga. Non che sia necessariamente migliore ma visto che il Grande Mercato è altrove e che i Grandi Divulgatori sono altrove, il dubbio sorge spontaneo.

Forse è per questo che ho trovato interessante questo post di un mio coetaneo tra i più bravi (e si sappia che lo ringiovanisco), Antonio Boco. Uno da cui mi farei consigliare un vino senza mezzo dubbio (e vi assicuro che sono un rompicoglioni mica male, sull’argomento). Insomma, scrive Antonio su Tipicamente nel post Mr. Garrett.

Un’intera settimana sui banchi. Era da un po’ che non mi succedeva e devo dire che, alla fine, è stato divertente.

Una specie di corso di aggiornamento/approfondimento sul vino mondiale: territori, denominazioni, varietà e stili letti con lo sguardo britannico del Wine & Spirit Education Trust, impersonato nelle movenze pinguinesche e dall’atteggiamento very english di Mr. Garrett.

Non voglio tediarvi con le mie ultime scoperte o gli assaggi fatti in questi 5 giorni, però una decina di considerazioni a caldo mi vengono spontanee:

– Se avessi cominciato il mio percorso nel vino con questo corso, non mi sarei mai e poi mai innamorato della materia, né tantomeno avrei deciso di provare lavorarci.

– Dire che l’approccio del WSET è nozionistico non rende l’idea. Certo la quantità di dati snocciolata è impressionante, ma ho qualche dubbio che un percorso del genere possa realmente svelare “the fascinations of the world of wines and spirits”.

– Detto questo, è stato realmente utile approfondire il modello inglese di conoscenza del vino, certamente più laico del nostro nella visione delle diverse regioni del globo, forse più adatto ad uno schema “internazionale” e dunque necessario a chi ha l’ambizione di parlare al mondo.

– Una volta compreso questo modello il mio consiglio è quello di provare a stravolgerlo

– Per questi tizi un vino DOC, di qualsiasi cantina e annata, non potrai mai essere, per definizione, più buono di un DOCG. Il suo corpo sarà al massimo Medium + e la qualità complessiva Very Good. E’ dunque impossibile che arrivi ad essere Outstanding. Per ceto, casta e legge divina.

– Non che non ne fossi consapevole, ma ora ho la certezza della mia scarsa conoscenza dei vini e dei territori del Nuovo Mondo.

– Ho anche la certezza che non me può fregare di meno.

– Il brutto dei luoghi comuni sui vini del Nuovo Mondo è che spesso sono veri. Molto semplicemente, se Bacco scendesse sulla terra impedirebbe di piantare la vigna in certi posti (ma anche il napalm Cappelloniano può andare bene).

– Parlare con lo stesso trasporto di un Hermitage e di uno Shiraz della Barossa Valley è immorale.

– A mai più rivederci Mr. Garrett.

 

Il WSET è uno degli istituti di formazione sul vino più autorevoli al mondo e il piglio politicamente scorretto di Antonio mi è piaciuto un casino perché di poemi politicamente corretti si muore. Non pago, però, ho pensato bene di chiedere ad un diplomato WSET cosa ne pensasse di questa analisi. E udite udite, senza insulti grillini o proclami tromboneschi, Gianpaolo Paglia (Poggioargentiera) ha condiviso su Tipicamente le sue impressioni a 360°. Siccome penso che la lettura possa essere interessante come lo è stata per me, credo valga la pena condividerla dall’inizio alla fine.

 

Caro Antonio, immagino che parli di Gareth Lawrence, giusto?
Io ho studiato un semestre, l’ultimo della scuola di Diploma un paio di anni fa, dove il principale insegnate e direttore dei corsi era Gareth (che credo stia andando in pensione in questi giorni). Eravamo più o meno una ventina, la maggior parte inglesi, e posso dirti che ce ne siamo fatte un po’ di risate alle spalle di Gareth (che io spesso chiamavo Indiana Gareth e immaginavo che vivesse, single, ancora con la mamma), che certo sembra quasi una caricatura del britannico ingessato, serioso, un po’ nerd. Ma tutti gli hanno sempre riconosciuto, a lui e alla scuola che rappresenta, un livello di serietà e rigore molto alto.

Tanto alto da fare del WSET la scuola di vino più importante nel mondo, almeno se si guarda i numeri: 27.500 studenti, insegnata in 55 paesi in 13 lingue (e da poco anche un po’ in Italia, in 4 o 5 posti se non sbaglio). Il WSET, a livello di diploma, non è un corso per semplici appassionati, ma un vero e proprio corso professionale per tutte le varie figure che operano nel settore: manager di ristoranti, di enoteche, buyers, giornalisti, e anche non pochi produttori, come me. Tanto è vero che il corso è equiparato per legge ad un anno universitario e gode di ampia risonanza come accreditamento professionale, in UK, ma anche e sopratutto in Asia, Cina in primis.

Gli esami per il Diploma sono difficili, a livello di medi esami universitari, e sono rigorosi, con quella pignoleria britannica che prevede che il corpo insegnante e il corpo esaminante siano nettamente separati (separazione delle carriere?), e controllati da un ente autonomo. Ti posso assicurare che si suda parecchio per arrivare al Diploma, dopo due anni di studi. Ma il beneficio maggiore è stato quello di aprirmi ad una visione “globale” del mondo del vino (e del suo business, perché quello è il tema), che prima, forse un po’ provinciale ahimé, non avevo. Certamente per chi ha già una sua cultura molto profonda dei vini del mondo – globale è un aggettivo che ritorna in continuo – l’approccio può rivelarsi eccessivamente scolastico, nozionistico. Magari non affascinano, ma è un po’ come imparare le tabelline (lo sto facendo coi figli ora), è noioso, ma senza quelle la matematica non la puoi fare.

Negli oltre duecento vini assaggiati alle lezioni molti certo facevano sorridere, ma non c’è dubbio che fossero rilevanti per il business del vino (quello è, ancora una volta, l’oggetto pragmatico e prosaico del corso), se sono vini venduti in centinaia di milioni di bottiglie (e del resto, molti tra loro erano italiani, visto che siano i primi esportatori in UK, non sempre di vini di gran blasone), però altri erano appassionanti, come i vini di Lopez de Heredia ad esempio, o parecchi premier cru borgognoni. A noi, gente un po’ smagata, fa certamente sorridere che loro prendano fin troppo sul serio le denominazioni di origine: un DOCG deve essere meglio di un DOC! Vaglielo a spiegare che da noi le cose vanno un po’ diversamente, che bisogna capire il contesto, che non è così tutto bianco e nero.

Che dire, io ho amato quel corso (e quello prima), tanto da studiare per tre anni. Ne ho amato la struttura, la serietà e il rigore. Ne ho amato il sudore che ci ho buttato sopra, le ore di studio ad imparare quei posti remoti del mondo dove provano a fare vino, a volte in modo spregiudicato a vederlo dalla nostra angolazione, ma spesso con grandissima dedizione e serietà, e spesso anche umiltà. Non so se sempre si possa dire lo stesso di noi, quando guardiamo i vini del nuovo mondo (salvo poi offenderci per come spesso ci guardano i francesi. Come dire, c’è sempre uno più puro che ti epura). Chissa se siamo gli unici ad avere un “terroir”, a volte me lo chiedo (a proposito, lo sapete di quale nazione sono i vini con il prezzo medio/L all’export piu’ alto al mondo? I vini della Nuova Zelanda).

Insomma, a me e’ piaciuto anche Gareth, allo stesso modo nel quale ti piace, dopo qualche anno, quel vecchio professore di liceo, quello che intonava male le cravatte e aveva la macchina color verde pisello. Era quello con il quale hai litigato di più, del quale hai spesso destato e deriso le idee, salvo poi a distanza di anni ricordarlo con un sorriso e con un senso di gratitudine per quello che ti ha lasciato. Ecco, ci tenevo a dare una testimonianza, spero che possa aver arricchito il tema.

In conclusione mi tocca ammettere che pure in Gianpaolo Paglia c’è una stilla di umanità quasi sorprendente. E questo è orribile, perdinci bacco.

[Fonte: Tipicamente]

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Alessandro Morichetti

Tra i fondatori di Intravino, enotecario su Doyouwine.com e ghost writer @ Les Caves de Pyrene. Nato sul mare a Civitanova Marche, vive ad Alba nelle Langhe: dai moscioli agli agnolotti, dal Verdicchio al Barbaresco passando per mortadella, Parmigiano e Lambruschi.

32 Commenti

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Risiko

circa 10 anni fa - Link

Con tutto il rispetto, ma non mi trovo per niente in accordo con lo spirito dell'articolo. Seppure possa sembrare o essere talvolta nozionistico, lo stile e rigore dello studio di questa materia soprattutto a livello di WSET Diploma è assolutamente da elogiare. Non mi sembra che la tipologia di approccio delle schede AIS siano meno nozionistiche, e purtroppo mi sembra di poter non dire altrettanto sul rigore nel giudicare gli esami, attribuire diplomi etc dalle diverse scuole e associazioni di sommeliers presenti in Italia. Ancora una volta temo che l'essere italiani - dal punto di vista vinicolo - ci voglia far assurgere a "icone uniche e irraggiungibili" del vino, snobbando in primis le migliaia di vini prodotti in altri paesi, soprattutto il c.d. "Nuovo Mondo" (denominazione che proprio non digerisco) che invece possono e devono essere conosciute, in particolare dai professionisti del vino. L'atteggiamento di (presunta) superiorità italica ha fatto si che ancora oggi ce la suoniamo e ce la cantiamo da soli, e con il nostro provincialismo non siamo riusciti ad esprimere una sola voce veramente autorevole e credibile a livello internazionale tra giornalisti e opinion leaders di settore (nessun MW, critico etc), e di questo il sistema vino italia di certo non ne trae giovamento in quanto a competitività sui mercati esteri. Ad oggi le uniche due voci del vino italiano veramente rispettate e apprezzate nel mondo sono di due produttori: Angelo Gaja e Piero Antinori, tutto il resto è purtroppo non pervenuto....

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Eva

circa 10 anni fa - Link

Concordo pienamente, per me i commenti di sig. Boco potrebbero finalmente essere la risposta alla domanda che mi pongo da tempo, come mai non esiste un Master of Wine italiano. Bravo il Sig. Paglia nel sottolineare l'umiltà che vige nel mondo di vino internazionale.

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gianpaolo

circa 10 anni fa - Link

Eva, posso provare a spiegare perche' non esistono (ancora) dei MW italiani. Primo, e puo' sembrare banale ma non lo e', perche' richiede una conoscenza della lingua inglese a livelli piuttosto alti. Il MW deve sapere esprimersi con autorita', in modo preciso e fluido. Questo e' uno dei requisiti dell'esame, che rischiede la scrittura di numerosi "essays", veramente non facili. E' vero che si puo' richiedere la traduzione nella lingua madre, ma non per la parte pratica, ovvero le note di degustazione, che richiedono comunque una conoscenza della lingua non superficiale. L'altro motivo e' che nei paesi produttori storicamente si fa poca attenzione ai vini prodotti in altri paesi, a parte i soliti. Il livello richiesto per il passaggio dell'esame e' invece "globale", e approfondito. Un altro motivo e' che, fino a pochissimi anni fa (due o tre), non esistevano collegamenti forti tra l'Istituto dei MW e l'Italia. Da poco, l'Istituto Grandi Marchi (che raggruppa una ventina di cantine con marchi importanti) e' diventato sostenitore dell'Istituto, favorendone la diffusione anche nel nostro paese, tanto e' vero che a Maggio a Firenze si terra il simposio dei MW, evento con cadenza quadriennale, di cruciale importanza per l'istituto. L'ultimo motivo, per chiudere, e' che si tratta di un esame veramente molto difficile, con un success rate di circa il 10% tra quelli che sono iscritti. E per essere iscritti ci vuole un esame (e anche, nei paesi dove c'e', il Diploma di WSET) che nelle uniche due edizioni italiane (2012 e 2013) ha avuto una percentuale di passaggio del 20%. Al momento attuale vi sono circa 7-8 italiani nel programma, se non sbaglio ancora tutti al primo anno (incluso il sottoscritto). Per chi volesse conoscere di piu' i MW consiglio vivamente di informarsi per il simposio di cui dicevo sopra e/o presso l'Istituto Grandi Marchi (Paola Rocca) che tengono una master class a Marzo in Valpolicella, dopo la quale si puo' fare l'esame di accesso al corso.

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Eva

circa 10 anni fa - Link

Grazie Gianpaolo, per le informazioni, conosco un po' il tema, la mia era pura ironia, riguardo al commento che dei vini del nuovo mondo "non c'è ne può fregare a meno". Spero anch'io che il collocare il simposio a Firenze aiuta a rendere più visibile e interessante l'Istituto e il corso stesso.

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Vera

circa 7 anni fa - Link

Complimenti Gianpaolo per questo percorso che spero ti porti a conseguire il titolo di MW. Lavoro nel mondo del vino da 25 anni, giro il mondo e anch'io mi sono sempre chiesta come mai non abbiamo ad oggi un MW. Certo, nel mondo ce ne sono pochi, l'esame è difficile e anche costoso ma dubito che la lingua sia uno scoglio insormontabile. Tutto il mondo ha partorito MW anche dove l'inglese non è la lingua madre. L'Italia è uno dei tre paesi più importanti al mondo per la produzione di vino e se vogliamo di "vino di qualità" ed è vergognoso che la stampa più autorevole ed i degustatori certificati più importanti non risiedano nella nostra nazione. Direi quindi che il problema è il nostro approccio sbagliato al mondo del vino, fatto di troppa superiorità e poca autocritica e molta arroganza. Io sono a favore dei corsi WSET, li sto frequentando con impegno e pur avendo esperienza in questo settore e aver studiato una materia che si chiama enologia alle scuole superiori, questi corsi mi stanno dando molto. Chiaro, poi è la curiosità di ognuno di noi che dovrebbe portarci ad approfondire ciò che nel mondo del vino è fortunatamente così vario ed in continua evoluzione....

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francesco vettori

circa 10 anni fa - Link

Bell' articolo, interessante e dialettico. Discuterei e approfondirei questo punto, sottolineanto da Gianpaolo: Ti offre una visione “globale” del mondo del vino e del suo business, perché quello è il tema". Per me se il fine, l'obiettivo del corso è il business del vino, la visione non è affatto globale, ma parziale, a buon diritto. Ma parziale, con un obiettivo ben preciso, condivisibile o meno. Semplificando, n'è già parlato altre volte, ormai è un refrain, la nostra, quella latina, greca, insomma mediterranea, è stata definita "una civiltà, una cultura del banchetto". Il vino ha storicamente un valore, cioè un uso e una funzione sociale molto diverse. Quel che mi lascia davvero interdetto è invece constatare che oggi molti dei pochi studiosi di storia del vino sono di cultura anglosassone. Ma anche in Italia ci difendiamo. Basta documentarsi un pò: sul sito dell'accademia del vino e della vite, per esempio, c'è un sacco di roba. Circa poi l'affermazione che "le uniche due voci del vino italiano veramente rispettate e apprezzate nel mondo sono di due produttori: Angelo Gaja e Piero Antinori, tutto il resto è purtroppo non pervenuto….", sono in completo disaccordo.

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gianpaolo

circa 10 anni fa - Link

Francesco, solo per capire meglio perche' qualcosa mi sfugge: in che senso l'obiettivo del corso di occuparsi del business lo rende parziale? Perche' non si occupa di vini che non sono in commercio? oppure perche' trascura altri aspetti che mi sfuggono? Grazie. Gianpaolo

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francesco vettori

circa 10 anni fa - Link

Ciao Gianpaolo, nel senso che il vino viene inteso come prodotto innanzitutto commerciale, da vendere, esportare, quindi anche da far conoscere in giro per il mondo. Non certo come una bevanda con un suo rituale d'uso, locale, tradizionale, anche popolare, etc.. Mi sbaglierò, ma per farti capire quel che intendo, secondo me gli inglesi il rapporto che noi abbiamo col vino loro lo hanno con la birra, con tutte le differenze che ne derivano.

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Hande Leimer

circa 10 anni fa - Link

Sono quasi 100% daccordo con Gianpaolo. Io ho prima fatto Wset e dopo ais, e trovo che per me e miei esigenzi era la perfetta combinazione. Da solo, non trovo nessuno dei due abbastanza.

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Salvo

circa 10 anni fa - Link

articolo veramente interessante!! io da diplomato AIS mi sto spostando in Australia un paio di mesi e ne approfitto per partecipare al terzo livello WSET, proprio per dare alla mia conoscenza quel tocco di internazionalizzazione che un pò manca e soprattutto perchè ho voglia di apprendere un sistema che a quanto pare fa scuola, visto che tutti i MW sono passati da lì....

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Stefano Cinelli Colombini

circa 10 anni fa - Link

Che palle prendere tutto in chiave di polemica contro il provincialismo italico! Non abbiamo MW italiani perché i MW sono addetti al commercio del vino proveniente da ogni parte del mondo, e in Italia quel commercio non c'è. Lo stesso discorso vale per WSET. E' vero che un'ampia cultura sul vino di tutto il mondo amplia la mente, ma vorrei ricordare che proprio gli anglosassoni ci hanno da sempre criticato per la nostra propensione alle ampie culture contrapposte al loro amore per la specializzazione; non potendo, per definizione, essere specialisti in tutto allora forse non è così provinciale essere specialisti in ciò che facciamo. PS naturalmente il mio totale disinteresse per il malbeck argentino o il pinot indiano coesiste con un estremo interesse verso ogni tecnologia di vigna, cantina o commerciale che chiunque nel mondo possa sviluppare.

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giomosel

circa 10 anni fa - Link

Contraddittorio piacevolissimo, complimenti. Vivo e lavoro (nel settore) a Londra e ho avuto la fortuna di frequentare qui entrambi i corsi. A parte il diverso approccio alla materia la mia esperienza e' che la differenza di professionalita' e serieta' e la qualita degli insegnanti e dei corsi e' notevole. Spero che l'AIS si organizzi meglio e scelga non solo bravi sommelier ma anche bravi insegnanti per i suoi corsi.

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Jovica Todorovic (Teo)

circa 10 anni fa - Link

Mi preme precisare che WSET non deve essere inteso come un'omologo dell'AIS. Io rido ogni volta che si parla dell'Inghilterra con sufficienza e approssimazione. Trovo questa contrapposizione sterile e stupida. Trovo l'articolo di Boco miope e non condivisibile. Stiamo sempre li a guardarci allo specchio e continuiamo a dire quanto siamo belli, quanto siamo bravi. Quanti illustri Opinion Leadere Italiani che godono di grande autorevolezza e attenzione all'estero conoscete? Chi pensate che venderà più vino in Asia gli inglesi o gli italiani. Chi pensate, mi riferisco esclusivamente al commercio in vino, sia più credibile agli occhi del mondo un Wine Merchant inglese oppure un omologo italiano. Se la risposta è dentro di te e non è la seconda ci sarà un motivo. Penso che se il WSET entrasse massicciamente in Italia ci sarebbe molto da guadagnare, nella qualità del servizio, degli scambi commerciali, dell'ABC. Fare tanti vini buoni, avere un patrimonio ampelografico vasto e sfaccettato non è condizione sufficiente per considerarsi i più ganzi del mondo. L'Italia del vino ha qualche problema e forse un minimo più di umiltà potrebbe non guastare. Vi prego non bollatemi per filo britannico, ho avuto modo di entrare prima in contatto con il commercio anglosassone e poi con quello italiano e vi assicuro che non ritengo di essere partito penalizzato a causa di questo anzi.

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Stefano Cinelli Colombini

circa 10 anni fa - Link

Hai ragione e l'umiltà è più che utile, ma la logica indica che uno strumento costoso va usato da chi ne può trarre un vantaggio reale; in altre parole, certo che (se me lo potessi permettere) vorrei un MW per fare il commerciale estero, e magari anche un enologo diplomato WSET, ma non ha senso che sia un MW io. Non che le nozioni che si imparano a quel tipo di corsi non siano utili e interessanti (errori marchiani tipo DOCG automaticamente superiore a DOC esclusi), ma non so se valga la pena di sottrarre all'azienda la presenza del titolare per tutto il tempo necessario. Detta alla toscana, in questo caso il tordo non vale la sassata. PS per Risiko. Ho assaggiato il mio primo Malbec purtroppo quarant'anni fa e so come si scrive, così come so che non c'è un rilevante pinot indiano. La mia era ovviamente una nota ironica voluta, mi spiace che non sia stata colta.

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bruno

circa 10 anni fa - Link

I problemi del sistema italia si riflettono su tutto il settore e a tutti i livelli dalla post produzione, dalla comunicazione alle politiche commerciali nazionali ed internazionali......purtroppo il vino che così caratterizza il nostro paese incarna nel suo mondo, anche simbolicamente, tutte le italiche lacune.

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Jovica Todorovic (Teo)

circa 10 anni fa - Link

leader prima che parta la gogna

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Risiko

circa 10 anni fa - Link

Sottoscrivo in toto quello che ha scritto Jovica. L'argomento è sempre lo stesso: non si criticano i produttori, che fanno bene ad occuparso in primis a fare vino e spesso lo fanno di grande qualità, ma la capacità del sistema vino italia di competere a livello mondiale grazie anche alla spinta e supporto di figure opinion leaders/giornalisti o chiamateli come volete che siano di riferimento internazionale. Inutile ripetere che in Italia è molto più facile fare il vino (buono) piuttosto che venderlo. Un bagno di umiltà per favore! Dire che ce ne freghiamo del Malbeck (??!! si scrive MALBEC by the way) argentino perché noi produciamo vino da vitigni autoctoni italiani può essere molto cool a dirsi, però poi quel Malbec va a conquistare i mercati internazionali e indovinate a scapito di chi? Magari del nostro Montepulciano di Abruzzo, di un buon Nero d'Avola e forse anche di un Chianti Classico. Beh, studiare e conoscere i nemici aiuta a vincere le battaglie, in questo caso commerciali.

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francesco vettori

circa 10 anni fa - Link

Ad ogni modo, a prescindere dal resto, qui non si parlava, almeno a partire dal titolo, di commercio, ma di educazione al vino. Non sono la stessa cosa, anzi.

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Giacomo

circa 10 anni fa - Link

Indipendentemente dal fine dei due diversissimi corsi, imparare due paroline di inglese non guasta a nessuno. E' imbarazzante ascoltarci parlare inglese all'estero in occasioni e fiere di rilievo! Io il WSET, chessò pure solo il primo livello, lo consiglerei a molti.

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Giuseppe Butera

circa 10 anni fa - Link

Accetto di buon grado il consiglio. Sappiamo anche come fa - perdonate la prosa - un appassionato VERO, quand'anche Sommelier Professionista e sicuramente in debito con il vino (che tanto gli ha dato, anche a livello "materiale") a pagarsi tale primo livello, o meglio ancora quei due o tre anni della struggente testimonianza di cui alla seconda voce dell'articolo senza essere O parte, diciamo, "beneficiata" dal sorriso del pur criticato enomondo italico (exempli gratia, peraltro già "sfiorato" prima di me: un produttore che possa permettersi semestri di frequenza e trienni di studio. Sia detto senza polemica, non ne conosco tantissimi) O uno dei tanti ciarlatani che, a vario titolo, in tale mondo, pur senz'essere né Master né maestri di nulla, prosperano alle spalle dei tanti onesti lavoratori recitando ruolini da protagonisti perennemente sovrastimati in qualsiasi isoletta o orticello si presenti loro? Ben lungi dall'inneggiare al modello Parker - per l'espunzione del quale mi candiderei personalmente all'utilizzo di un Gepard anti material - chiedo se qualcuno si sia mai posto il problema di quanti dei "commentatori" di casa nostra - e relativi "orticelli - possano vantare l'omologo in tale sistema. Allora varrebbe forse la pena, romanticismi ed antiromanticismi a parte, di non soffermarsi a valutare il colore di qualche "neo", ma di fare un esame dell'intera superficie corporea, e riconoscere - piaccia o meno - che l'Italia non ha MW perché ci sono già fin troppi "sub-MW"; e che, purtroppo, quando mai ne avremo, si tratterà assai probabilmente di qualcuno di costoro che, a furia di "parassitare" riccamente all'interno del più volte citato mondo italenoico, l'avrà finalmente spuntata; e, infine, sperando di vivere a sufficienza perché mi si possa venire a sbeffeggiare mostrandomi che ho sbagliato, l'insorgere del primo MW italiano NON sarà un momento di adeguamento dell'Italia a tale "stile MA, semmai, la volta in cui inizieremo a "piegare" anche questo ai nostri costumi! (e speriamo che intanto il commercio di bicchieri vada bene per l'ultimo sommelier migliore delle stragalassie siderali che uno dei tanti imbrogli sul vino ha prodotto, a mò di Cacasenno, in tempi anche abbastanza recenti)

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gianpaolo

circa 10 anni fa - Link

il corso WSET e' fatto proprio apposta per le persone che lavorano, come tutti i corsi professionali. Per cui esistono diverse date, e diversi formati (per es. a blocchi di 5 giorni per 3/4 volte a semestre, oppure serali, oppure online a distanza). Proprio per questo motivo molto spesso i partecipanti hanno il corso pagato dall'azienda dove lavorano, che ritiene la spesa (circa £ 2500 a semestre, cioe' all'anno) un investimento sulla professionalita' piuttosto che una spesa secca. Tra l'altro e' dimostrato che chi investe sulla professionalita' dei propri collaboratori alla fine ci guadagna. Per quanto riguarda il "futuro" MW italiano, se ci sara' e quando ci sara', stai pur tranquillo che quella qualifica se la dovra' essere guadagnata sul campo, scorciatoie non ve ne sono per nessuno.

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Durthu

circa 10 anni fa - Link

Ho fatto anche io il corso III Livello WSET e concordo con quanto scritto da Gianpaolo Paglia. Pero' devo dire che non mi ricordo preconcetti su DOC-DOCG. Anzi ricordo distintamente che durante una delle lezioni sul vino italiano fu detto che la distinzione fra IGT, DOC e DOCG doveva in genere essere presa con le molle (accompagnata da un poco lusinghiero commento sulla generica inutilita' di molte delle leggi italiane).

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AndyDandy

circa 10 anni fa - Link

Se io fossi un britannico appassionato di vino e che, in procinto di trasferirmi in Italia e desideroso di lavorare nell'ambito del vino, che corso potrei fare in Italia? Un corso che garantisca e certifichi il mio livello di conoscenza della materia, riconosciuto globalmente e che mi dia la possibilità di trovare rapidamente un buon lavoro?

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Luca

circa 10 anni fa - Link

La mia formazione e' WSET, ma in passato ho anche frequantato i corsi italiani piu' "famosi". Beh, la differenza di preparazione, didattica, serieta' e quant'altro della WSET non e' minimamente paragonabile alle piu' "illustri" scuole? italiane. Un altro pianeta.

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Uma

circa 10 anni fa - Link

Io vivo in Inghilterra, lavoro in un'enoteca e sto preparando il WSET livello 3 (avanzato). Tre considerazioni: 1. Il corso è interessante, approfondito e a 360° ma so di diverse persone che hanno passato il livello 3 dopo aver seguito la versione del corso condensato in una settimana (personalmente troverei IMPOSSIBILE assimilare tutto il materiale del corso in una settimana!), e altre che hanno ottenuto la valutazione "PASS WITH MERIT" vantandosi di non aver dedicato molto tempo a preparare il corso, anche perché per il "merit" basta il 65% delle risposte giuste. Non smetterò mai di ammirare le capacità mnemoniche di tutti loro. 2. Concordo pienamente con Antonio Boco quando dice che il WSET offre una prospettiva utile, necessaria in alcuni casi, ma che non aiuta affatto ad appassionarsi alla materia. Gli inglesi, che hanno un terribile complesso di inferiorità per non avere una storia enologica propria, si sono specializzati nella "critica" enologica, approfittando del fatto che da un critico, nel mondo del vino come in quello dell'arte o della musica, non ci si aspetta di saper "fare" ciò di cui parla! 3. L'ottica "internazionale" è una trovata che fa comodo ai paesi di lingua anglosassone per fare e vendere il loro vino "di qualità" (tutti i vini di qualità di questi paesi sono copie dei vini migliori del Vecchio Mondo), ma non c'è alcuna possibilità che lì sorga una vera e indipendente cultura vinicola, per un motivo molto semplice: a loro manca una cultura del cibo e la consapevolezza di quanto sia indissolubile da quella del vino. Lo dimostra il fatto che al WSET livello avanzato, al "wine and food matching" è dedicata un'appendice di 3 pagine su un libro di 200. 4. Chi se ne importa se non espandiamo troppo il mercato italiano dei vini in Asia? Tale successo commerciale non renderebbe i vini italiani migliori, piuttosto li esporrebbe al rischio di sovrapproduzione, più il fatto che inevitabilmente poi si cercherebbe di compiacere i gusti di quel mercato, basati su sushi e curry. In conclusione: un po' di conoscenza di ottica "globale" va bene, ma non è con quella che si sono inventati i vini, tantomeno quelli buoni.

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Patrizia

circa 10 anni fa - Link

Buongiotno a tutti, Sono capitata per caso in questo sito e ho letto con molto interesse l'articolo e relativi commenti. Volevo da voi esperti (chi ne abbia voglia di fornirmene) dei consigli. Sono sempre stata una grande appassionata di vino ma non sono una professionista o esperta e ho vissuto in UK per 20 anni. Ho fatto i miei studi universitari alla London School of Economics (master in economia) e ho lavorato per più di dieci anni nel settore di consulenza aziendale (tecnologia ed esternalizzazioni) per grandi aziende in tutto il mondo e in diversi settori industriali e funzioni (operations, commerciale, project management). Il mio inglese è direi a livello di madre lingua (con in più linguaggio tecnico ed accademico di molti settori). Per passione ho frequentato i livelli 2 e 3 del WSET a Londra (sede centrale del WSET) e adesso sto considerando di iscrivermi al diploma. Vorrei tanto cambiare carriera e lavorare nell'industria del vino nel settore commerciale in Italia ma rivolgendosi al mercato estero. Penso di avere tante come si dice in inglese 'transferable skills' che posso traslare ed utilizzare. A proposito, io vivo tra Londra e Cagliari e ho 47 anni. Cosa mi consigliate di fare e come muovermi? Ringrazio tantissimo anticipatamente. Patrizia

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gianpaolo

circa 10 anni fa - Link

Salve Patrizia, di sicuro la scelta di fare il Diploma (L4) le puo' dare delle conoscenze molto piu' approfondite. Tenga conto che e' un impegno di due anni, anche se le lezioni sono organizzate in blocchi. Quanto quel titolo le possa consentire di avere una marcia in piu' in Italia non saprei dirle, di sicuro e' molto piu' rivendibile in UK. Forse per trovare un lavoro in una realta' italiana e' piu' raccomandabile cercare di entrare con un ruolo commerciale in una azienda medio grande e farsi un paio di anni di esperienza.

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Patrizia

circa 10 anni fa - Link

Grazie per il consiglio Gianpaolo.

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Fabrizio pagliardi

circa 10 anni fa - Link

Posso dire che il provincialismo, o meglio avere una visione locale del mondo del vino e dei suoi prodotti lo considero un pregio?

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Mof

circa 10 anni fa - Link

Io ho fatto il diploma WSET (e pure l'AIS) e devo dire che 1) Garreth Lawrence ne sa molto di più di tutti i relatori ais che ho sentito io 2) Magari non sarà bravo a fare il cinema e a trasmettere passione, ma non è quello l'obiettivo del diploma (un po' come se uno va al conservatorio per suonare...va bene che ci sia la passione, ma al conservatorio occorrono innanzitutto metodo, tecnica, lavoro... se uno cerca altro vada alla scala e lì troverà emozioni...); 3) Il diploma AIS e WSET non sono paragonabili, nel senso che sono proprio 2 cose nettamente diverse con un target nettamente diverso; 4) Gli insegnanti WSET sono PROFESSIONISTI del vino che fanno SOLO QUELLO; 5) L'insegnante che fa Italia a livello diploma è bravissima e ne sa più di molti produttori o sommelier italiani...

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Roberta Costante

circa 5 anni fa - Link

Buonasera a tutti. Mi sono diplomata con Ais 3 anni fa e ho amato i corsi e le degustazioni, ma da subito non mi sono sentita pienamente soddisfatta. Forse dipende anche dalla delegazione poco entusiasmante, ma il piglio tutto italiano del " se vuoi fare qualcosa in questo settore devi passare da noi, da sola non andrai da nessuna parte" l'ho avvertito immediatamente. Risultato: dopo il diploma ho smesso di frequentare la delegazione e ideato un corso base scritto da me che propongo in vari ambiti. Studio spesso, viaggio e quando posso visito i produttori cercando di aumentare la mia conoscenza sul posto, con occhi sempre entuasiasti e carichi di curiosità. Tutto ciò per dire che secondo me, da quello che ho sentito e percepito, in Italia manca totalmente un approccio lavorativo in questo settore che solo all'estero si trova. Un po' in tutti gli ambiti a dire il vero, noto che più sai e hai voglia di fare e più trovi persone pronte a scoraggiarti pensando di proteggere il proprio orticello (vitato). A luglio darò l'esame Wset 3 livello, sto cercando il mio posto in questo settore e lo voglio fare dando il massimo e cercando di aprirmi ogni possibilità; certo conoscere bene la lingua porta vantaggi evidenti ma non puo' essere l' unico scoglio da superare. Io ci voglio credere, e Wset mi sta dando molto; sta infatti costruendo il mio nuovo " approccio mentale". Grazie a tutti ( e viva l' Italia).

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Lavinia

circa 5 anni fa - Link

Buonasera, Ho letto l'articolo e i relativi commenti per cercare di orientarmi tra i due tipi di approccio. Io vorrei frequentare un corso di "avvicinamento al vino" per imparare, ma solo a livello amatoriale ... Potreste consigliarmi con quale "scuola" è meglio iniziare? (wset liv. 1 o magari il corso dell'associazione romana sommelier?) Grazie a hi di voi mi aiuterà a fare chiarezza! 😊

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