Cucinare col vino. La grande bontà delle ciambelle romane

di Giulia Mancini

Ogni città ha il suo sapore, il suo gusto; sarà che Roma è la mia, sarà che la conosco bene ma per me la capitale ha più di un sapore. Diverse sfaccettature saporite per descrivere la mia città natale, più di un profumo, tanti piatti e altrettante ricette. Poi ci sono cose che al di là delle mura cittadine continuano a raccontare il territorio, sono emblemi di un’appartenenza, profonda e radicata, talvolta orgogliosa e spesso ostinata.

I nasoni che offrono alla mescita gratuita “l’acqua del sindaco” dal sapore lievemente metallico, l’odore della farina di semola rimacinata e bruciacchiata sotto alla pizza bianca, il retrogusto astringente della cioccolata nella coda alla vaccinara, l’odore dei platani di lungotevere quando piove, il roseto in fiore nel mese di maggio, la crema morbida e dolce dentro la pajata. Questo dentro le mura, là dove non ci sono quartieri ma solo rioni; fuori di tutto ciò si perde la traccia e la memoria.

Tanto dobbiamo alla campagna che lambisce la città, a cui abbiamo rubato verde e cielo. Dai Castelli romani, Roma ha attinto per decenni il vino da tavola, in taluni casi di straordinaria fattura, vigne che tutt’oggi rimpiangiamo di cui alcune bottiglie sono conservate nelle cantine più fortunate. Vino spessissimo annunciato da coppiette e porchetta, pollo coi peperoni e fettuccine al sugo finto; vino che affoga la frutta estiva, bagna il pane secco per la merenda dei bambini antichi.

La ricetta di oggi è una non ricetta, è una tradizione romana e laziale; non ha dosi esatte, non sono necessarie questa volta perché è una di quelle preparazione che si è sempre fatta così e volendone specificare i grammi perderebbe la sua semplicità e genuinità.

Ingredienti:
1 bicchiere di zucchero semolato
1 bicchiere di olio di semi di girasole (anche se la tradizione vorrebbe quello di oliva ev)
1 bicchiere di vino
1 bustina di lievito per dolci in polvere
farina q.b.

In una ciotola capiente versare il vino e l’olio, aggiungere il lievito e lo zucchero quindi iniziare a mescolare con una cucchiarella (cucchiaio di legno da cucina ma bisogna chiamarlo con il vero nome romano per la perfetta riuscita della ricetta!).

Aggiungere la farina, continuando a lavorare energicamente, fino a ottenere un composto morbido ma non cedevole, liscio e omogeneo ma non appiccicoso: una specie di das.

Bagnare abbondantemente un foglio di carta forno, strizzarlo e stenderlo su una placca per la successiva cottura. A parte in una ciotola mettere una piccola quantità di zucchero semolato; prelevare poco impasto alla volta e lavorandolo tra le mani formare prima un piccolo salsicciotto, renderlo fino quanto desideriamo, chiuderne le estremità per dare la forma di una ciambellani e passarla nello zucchero. Procedere così fino a terminare l’impasto; cuocere in forno caldo a 170°C fino a colorazione dorata intensa.

Staccare immediatamente le ciambelline dalla carta forno, appena uscite dal forno altrimenti lo zucchero cristallizza e diventa quasi impossibile toglierle senza rompere la carta e tenerne piccoli pezzi attaccati. Si conservano in un barattolo chiuso fino a 10 giorni, temono l’umidità.

Con questa dose si ottengono orientativamente 900 g di ciambelline; si può usare anche il vino rosso.

Sono perfette come accompagnamento alle pesche col vino, sono il fine pasto di un tipico pranzo romano purché le pesche vengano mangiate con lo stecchino. Per questa ricetta utilizzo vino laziale per esaltare la mia romanità: Satrycum di Casale del Giglio.

1 Commento

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mario

circa 10 anni fa - Link

Bravo le provo con il fragorosso a volte siete così teneri che passa la voglia di moderarvi. [F.]

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