Con quella faccia un po’ così che abbiamo noi, che abbiamo visto Genova Beer Festival

Con quella faccia un po’ così che abbiamo noi, che abbiamo visto Genova Beer Festival

di Fiorenzo Sartore

La prima classe costa mille lire, la seconda cento, la terza dolore e spavento. Mentre pago il complicato biglietto di ingresso del Genova Beer Festival ripenso a De Gregori e penso a quant’è complessa la dinamica finanziaria della rassegna: sei euro di ingresso, più un euro per ogni assaggio da 10 cl, con un sistema a gettoni acquistabile all’ingresso assieme al biglietto oppure all’interno dove c’è lo spaccio-gettoni. Con dieci euro ottengo il resto di quattro gettoni di plastica arancione. Gli sbafatori non sono ammessi – ragazzi, siamo a Genova. Pure la Baresani approverebbe. Va be’, si entra nella villona magnifica.

Qui una volta c’era l’industria e la siderurgia nel ponente genovese, c’era la quinta nazione più industrializzata del mondo, ora resta Villa Bombrini costruita nel ‘700 e adesso adibita dalla municipalità ad eventi et similia, tra un centro commerciale costruito in un posto che si chiama Fiumara e tutti si chiedono come mai quando piove si alluviona, e un depuratore che probabilmente per jella non funziona bene e diffonde effluvi che vi esorto a immaginare. In mezzo alle macerie la villona del bel tempo andato sorge cospicua e difforme, e ti fa pensare che chissà, magari la grandeur un giorno tornerà, un giorno torneremo ad essere Superba. Nel frattempo ci salva l’associazione culturale Papille Clandestine che allestisce qui una rassegna di birrifici artigianali.

Gli assaggi ultra piacevoli sono stati numerosissimi per cui farò una sintesi, peraltro io assaggio birre con la deformazione tecnica dell’enoqualcosa che non aiuta molto, cioè in definitiva tendo ad associare i miei gusti generici al piacere birrario. Per esempio preferisco le dolcezze alle durezze, per dirne una. Gli stili birrari poi qui sono spesso definiti con l’uso del ma: “è una porter, ma noi l’abbiamo interpretata così e cosà”. Oppure “è una belgian ale ma noi abbiamo etc etc”. Figuriamoci, qualunque cosa dica mai un birrofilo, per me ha ragione sempre.

Prima di tutti passo da Maltus Faber* che ha una profumatissima e seducente Blonde Hop, agrumata e luminosa. Soprattutto ha la mia amata Birra di Natale, col babbonatale in etichetta ma soprattutto con un certo equilibrio nelle esorbitanze speziate che potrebbero appesantire queste release. Buon Natale e Felice Anno Nuovo.

Nel trend chilometro zero passo ad un altro produttore local, Birrificio di Busalla, e ovviamente ricasco nel trappolone dei profumi preferendo la Pale Ale Extra Hop. Però mostro segni di resipiscenza perché per la verità sono in dubbio, forse preferisco la German Pils decisamente più snella e meno posaiola. Menzione alla Castagnasca, aromatizzata alla castagna senza spiacevoli note residue da castagnaccio (quindi bravi).

Kamun (alessandrino ma anche genovese, con locale nel centro storico) ha tra le altre cose una birra che mi spiazza un po’, la Dulcis Silva che va be’ la frutta, va be’ la dolcezza, ma qui siamo proprio alla personalizzazione: infusa di frutti di bosco, colore rosato. Temo sia il genere “o piace o non piace”. Ci medito su e penso che mi piace. Ne parlo con amici birrofili e mi cazziano. E’ una vita così.

I lucchesi del Birrificio del Forte mi acchiappano con la Cento Volte Forte, bianca persistente e freschissima. Altrettanto mi piace La Mancina complessa e lunga con morbidezze diffuse.

Begli assaggi pure con Croce di Malto (tra l’altro: non esiste un nome banale di birrificio, sono tutti fighi). Temporis riesce ad essere assieme piaciona e agrumata. Soprattutto mi piace Magnus (“stile abbazia belga”, dice) grandiosamente speziata, con caffè e tostature, e dalla bevibilità leggiadra.

Rullo di tamburi per Birrificio Italiano: Tipopils è una sicurezza, per me è la quintessenza della birra che berrei notte e giorno, estate e inverno, sulla terra e sulla luna. Insomma forse s’è capito che è la mia preferita.

Altro vincitore a mani basse è Canediguerra. Quasi tutte le birre che assaggio da loro meriterebbero una citazione, mi limito solo a indicare American Ipa, intensissima al naso, quasi infinita. Ma già la prima assaggiata, Brown Porter (tostata e caffettosa) annunciava l’encomiabile stile aziendale.

Bruton aveva due cose rilevanti: una strong golden ale (Stoner, credo, ma ho saltato l’appunto) dai profumi intensi e salda in bocca, con un miele amaro integrato bene con l’elemento citrino. E Lilith, stile american pale ale con una piacevole nota fruttata/tostata che gli conferiva una certa austerità importante.

Si torna a casa stanchi ma felici. La kermesse aveva pure una appropriata sezione food all’altezza dell’evento epocale, basti pensare che il pesto era quello di Roberto Panizza. Per non dire dei laboratori, degustazioni e iniziative collegate, che colpevolmente tralascio. Tanto per darvi un po’ di numeri, gli organizzatori sembrano zuzzurelloni ma poi diffondono comunicati stampa manco fossero persone serie: “Oltre 3.500 persone per la prima edizione del Genova Beer Festival. Più di 20.000 gli assaggi di birra proposti, con una scelta di 90 spine a disposizione. Letteralmente presi d’assalto gli stand gastronomici, che hanno servito quasi 6.000 porzioni di cibo”.

Insomma se pensate “che peccato me la sono persa”, aspettate l’anno prossimo.

*Disclaimer per un mondo migliore: Maltus Faber è il birrificio che commercio a bottega quindi insomma, sapete già che fare.

avatar

Fiorenzo Sartore

Vinaio. Pressoché da sempre nell'enomondo, offline e online.

1 Commento

avatar

Nelle Nuvole

circa 8 anni fa - Link

Mi è piaciuto talmente tanto il tuo secondo paragrafo, ed in generale tutto il testo, che ti perdono persino l'utilizzo della parola "kermesse".

Rispondi

Commenta

Sii gentile, che ci piaci così. La tua mail non verrà pubblicata, fidati. Nei campi segnati con l'asterisco, però, qualcosa ce la devi scrivere. Grazie.