Chianti Classico come la Borgogna, scopriamo i village de noantri

di Andrea Gori

La classificazione della Borgogna viticola non è solo un modello cui ispirarsi ma potrebbe essere una vera e propria roadmap su cui lavorare già dalle prossime anteprime, e forse è l’unica strada per garantire sostenibilità economica a tutto il comparto del Chianti Classico. Questa è la conclusione che ci sentiamo di dare, pur con tutte le precauzioni del caso, per un territorio così grande e sfaccettato che per una sera ha riunito i suoi esponenti più in vista (si sprecavano i grappoli, bicchieri, corone e soli tra i vini presenti in sala) a dibattere sulla valorizzazione delle differenti aree del Chianti Classico. Assente non del tutto giustificato il Consorzio, che pure aveva patrocinato l’iniziativa di Davide Bonucci.

La zonazione del Chianti Classico è interessante per far luce sulle caratteristiche dei vari terroir nei quali può essere suddiviso, dal punto di vista geologico e gustativo, il territorio del Gallo Nero. Da sempre qualcosa di sfuggente agli occhi dei consumatori meno attenti, che si limitano a leggere “Chianti” e pensare “vino toscano”.  Pertanto è necessaria una prima introduzione ad opera di Maurizio Castelli, enologo erede di Giulio Gambelli per sensibilità, praticità, amore e dedizione per il sangiovese.

Nel video Maurizio aiuta a districarci tra alberese, galestro, macigno et similia in un territorio variabilissimo perché giovane per formazione ma erede di dorsali antichissime. Qualche nota anche sul clima e la schermatura solare, che fino a quarant’anni fa dava problemi di maturazione con vini che arrivavano a stento a 12 gradi alcolici, e oggi ha portato quasi all’inversione delle gerarchie in campo, con fondovalle umidi che rendono meglio di solatii impervi. Di certo non una zonazione che può fondarsi solo su altimetria e latitudine, ma su alcuni dati macro geologici: per fare un esempio, vini eleganti ma più sottili nascono dove scarseggiano argilla e limo (Monti del Chianti), e hanno invece più struttura dove ci sono argille sodiche (a sud). Ma la suddivisione comunale può essere anche una trappola: ad esempio Villa Arceno con il suo macigno di arenaria e San Felice con macigno e alberese sono ambedue a Castelnuovo Berardenga, e danno vini molto diversi; lo stesso a Radda dove alberese e galestro spuntano fuori in maniera erratica e fanno suonare i vini in maniera differente. Spazio, a questo punto, ai vari territori con i propri “portavoce”.

San Casciano con Niccoló Montecchi (Villa Cigliano) presenta una delle zone di confine, una specie di sotto area a cavallo tra due vallate dei fiumi Pesa e Greve. Due zone diverse ma comuni perché i vigneti solo a terrazza sulla valle, in un paesaggio dolce e soave, una zona di frontiera diversa dal resto del Classico. Potenziale argilloso che tiene bene la pioggia, e le annate siccitose non sono problema.

Greve in Chianti viene presentata da Sebastiano Capponi, e ci fa notare che anche solo a Greve nascono vini diversi a seconda del lato di posizionamento dei vigneti: due lati ben differenziati anche per la loro storia molto diversa all’indomani dell’abolizione della mezzadria. In generale sono vini riassumibili in una bellissima definizione come “vini gentili poco fiorentini, vini aperti da subito e invecchiano con grazia“.

Panzano in Chianti è introdotta dal proprietario di Casaloste, Giovanni d’Orzi, che ci tiene a citare Tachis quando disse che terroir non è suolo ma anche e soprattutto uomini che cambiano il territorio. Panzano è fatto da uomini che da vent’anni producono vino e solo di qualità. C’è un’associazione di viticoltori che lavorano insieme, grandi e piccoli: gli anni di esperienze in comune hanno portato il sangiovese verso la qualità. I terreni sono su argille con galestro molto evidente. A sud c’è la conca d’oro, da sempre famosa, un poco in crisi con l’aumento delle temperature. Serve uno studio sulla viticoltura, e tanto anche sull’uomo.

Paolo Socci da Lamole presenta una zona tornata prepotentemente alla ribalta negli ultimi 5 anni. E’ la zona più alta, quel “vin buon di Lamole” stimato da sempre perché appunto molto in alto: vini  sempre profumati, freschi, e con poche malattie. Come paesaggio qui il bosco è molto meno presente e anche molto meno ricco di fauna pericolosa per vigneti, c’è macigno ed è importante perché altrimenti le terrazze non reggono.

Val d’Elsa Barberino e Poggibonsi sono presentati da Laura Bianchi di Monsanto. Barberino si trova sul versante centro occidentale della Docg, il 5% del totale dei vigneti, e insiste sulla Val d’Elsa, posto bellissimo con vigneti che guardano San Gimignano e la costa, e infatti il clima ha aria calda dal mare che influisce sulla maturazione, terreni soprattutto galestrosi ma anche alberese e altre argille. Si tratta di solo 15 aziende o poco più, ma tutte vicine e molto attente alla qualità.

Gaiole in Chianti viene introdotto da uno dei mostri sacri della denominazione, Roberto Stucchi di Badia a Coltibuono. Ci parla di un territorio suggestivo e ricco di monumenti ma soprattutto variegato e intenso: dal tufo di San Giusto a Rentennano e Monti in Chianti con affaccio addirittura su Valdarno e il suo sale, fino alle arenarie dei Monti del Chianti. Forse Gaiole dovrebbe avere almeno tre sotto zone, ma in certi vigneti si ha un frattale completo con 3-4 tipi di suolo.

Radda in Chianti, la zona più premiata degli ultimi anni, viene introdotta da Michele Braganti di Monteraponi. Radda è uno dei 3 comuni interamente nel Classico, uno dei più vecchi, risiedeva qui il podestà del Chianti con autonomia data da Firenze a questa zona vasta e indipendente. Si parla di 23 produttori su un comune grande ma quasi tutto coperto da boschi. Radda è un “cucuzzolo di alberese, duro come la testa dei raddesi“. Michele decise nel 2003 di puntare sul Classico e guardando indietro fu certo un atto coraggioso e lungimirante, ma affatto scontato. Il parallelo con la Borgogna insegna che là sono tutti borgognoni e nessuno dice di essere il migliore, un’azienda da 10 ettari fa 25 etichette, lassù è normale. Non li raggiungeremo ma li possiamo seguire. A Radda si producono vini duri e scontrosi che si concedono nel tempo, ma hanno un fascino che può sfiorare il modello Borgogna. In ogni caso non c’è tempo da perdere, ne abbiamo già perso parecchio.

Castellina in Chianti viene introdotta da Tommaso Marrocchesi Marzi, di Bibbiano, azienda storica gambelliana: un territorio con almeno due versanti molto diversi con alberese che determina e divide la zona, in genere può essere definito un Chianti Classico di montagna con punte di vigneti fino ai 600 mt. Come caratteristiche dei vini possiamo dire freschezza, immediatezza e piacevolezza di beva, molto minerali a nord mentre l’argilla pliocenica a sud dà più complessità e dolcezza. Quindi due caratteristiche ben diverse. Zoniamo tutto ma ricordiamoci che non dobbiamo fare guerra tra noi, non serve a nessuno come il palio delle contrade morte.

Castelnuovo Berardenga viene raccontata da Giovanni Poggiali di Felsina, che fa vedere come la propria azienda sia all’estremo lembo del Classico, quasi nelle Crete Senesi, e che lo scenario geologico è forse il più variegato; venendo dalla Romagna è impressionante notare le grandi differenze di suoli e comportamenti del sangiovese. Qui c’è macigno o crete o altro ancora: per il mercato oggi occorre condurre una comunicazione “alta” ma poi perseguire obbiettivi specifici di zonazione, messi in pratica velocemente.

Terminata la carrellata dei territori c’è stato anche un interessante dibattito sull’urgenza dei village e sul fatto che resta, soprattutto per i piccoli, la carta più praticabile per ribadire l’importanza del lavoro sul territorio e sulla qualità intrinseca, che è data dal lavorare uve proprie per un vino integralmente prodotto con uve raccolte a mano nei vigneti di proprietà insistenti su una zona unica, a fronte di imbottigliatori che raccolgono uva (e carta) in giro per il Chianti Classico e imbottigliano vini anonimi e di qualità spesso discutibile, certamente con prezzi che non premiano il lavoro che c’è dietro.

Da un lato i village e dall’altro, pare, la Gran Selezione, pomo della discordia che viene vista come premio per chi lavora in maniera più generalista e per i grandi mercati, non per gli appassionati del territorio; in effetti quel disciplinare non tutela abbastanza l’artigianalità del vino né il fatto che venga ottenuto da uve provenienti da un singolo vigneto o una singola zona: insomma tanto marketing e poco territorio.

C’è anche una lettura più democristiana, che vedrebbe nella Gran Selezione una buona strada percorribile dai grandi in maniera più semplice e dai piccoli con qualche difficoltà, uno squilibrio che si ribalterebbe nel caso dell’introduzione delle menzioni comunali o di “village” dove invece la stessa presenza del nome del village in etichetta di per sé basterebbe, come in Borgogna, ad elevare il vino ad un livello superiore rispetto al Chianti Classico senza menzione, un pensiero ben espresso da Vittorio Fiore nel suo intervento.

Considerando che ci sono aziende che già lavorano da anni sull’esaltazione del proprio territorio, e che già in tanti ristoranti hanno suddiviso i vini Chianti Classico per comune e non per produttore, direi che il pubblico è già pronto, i produttori forse un po’ meno. Aspettando i prossimi passi, abbiamo già deciso da che parte stiamo.

Andrea Gori

Quarta generazione della famiglia Gori – ristoratori in Firenze dal 1901 – è il primo a occuparsi seriamente di vino. Biologo, ricercatore e genetista, inizia gli studi da sommelier nel 2004. Gli serviranno 4 anni per diventare vice campione europeo. In pubblico nega, ma crede nella supremazia della Toscana sulle altre regioni del vino, pur avendo un debole per Borgogna e Champagne. Per tutti è “il sommelier informatico”.

18 Commenti

avatar

Paolo Rossi

circa 10 anni fa - Link

Bellissimo lavoro di sintesi. Grazie Andrea!

Rispondi
avatar

Emanuele

circa 10 anni fa - Link

Quoto. Con un gradimento supplementare per il valore aggiunto dei video.

Rispondi
avatar

durthu

circa 10 anni fa - Link

Una delle carte vincenti della Borgogna e' il riconoscimento, integrato nella appellation, di certe aree come aventi potenzialita' maggiori rispetto ad altre. Onestamente, dubito che una mossa del genere sia ripetibile anche in Italia: scatenerebbe guerre infinite a colpi di ricorsi e amicizie ben posizionate. Che poi anche i francesi hanno avuto le loro beghe a far passare la nuova classificazione dei produttori del Saint Emilion: i tempi sono cambiati anche per loro, pare ^_^

Rispondi
avatar

Emanuele

circa 10 anni fa - Link

Stay tuned...

Rispondi
avatar

Andrea Gori

circa 10 anni fa - Link

la cosa bella è che nel caso del Chianti Classico la zonazione potrebbe giovare a tutti, indipendentemente dallo "status" dei village. Non c'è bisogno di gerarchizzare, lo farà il mercato che premierà automaticamente, se saranno di livello, i vini provenienti da particolari cru o village piuttosto che altri. O così speriamo!

Rispondi
avatar

Emanuele

circa 10 anni fa - Link

Trovo molto giusta la conclusione sul vantaggio condiviso. Proprio in Burgundia Felix si è registrato tutto fuorché la fuga di produttori e consumatori dalla denominazione regionale. Ho qualche dubbio, invece, sulla mano invisibile del mercato, sulle dinamiche della domanda e dell'offerta, sui meccanismi di determinazione dei prezzi e, di riflesso, della gerarchia delle zone. E delle aziende: cito queste ultime perché la delega al mercato pare richiamare il modello bordolese, più che quello borgognone. Io guardo con maggior favore al secondo, pur con una robusta dose di dubbi circa la fattibilità in Italia: la mancanza di visione, di iniziativa politica e di determinati fattori culturali osta già alla discussione, figuriamoci quindi all'introduzione, di un siffatto modello.

Rispondi
avatar

Baser

circa 10 anni fa - Link

Grazie Andrea Gori, e grazie Intravino!

Rispondi
avatar

Leonardo Fi

circa 10 anni fa - Link

Ben venga la zonazione del Chianti Classico. Di certo male non può fare, soprattutto se l'idea è quella di riconoscere le caratteristiche geologiche e microclimatiche dei vari territori. Se si vuole invece andare nella direzione di una gerarchia dei cru sullo stile borgognone ritengo che il processo sia gravemente fallato in partenza. Ossia non vedo come si possa applicare ad un territorio che esprime un vino ottenuto tramite blend di uve diverse, che hanno caratteristiche diverse anche se provengono da terreni con caratteristiche omogenee. Una classificazione dei cru ha senso per i monovitigni, un po' meno per quanto riguarda i blend. A Bordeaux infatti non si utilizza una classificazione di questo tipo, ma si classificano i vini provenienti da una tenuta. Mi pare più un'operazione di marketing. Mi immagino già lo spaesato cliente che si studia tutta la zonazione e va ad acquistare fieramente un bel premier cru di Radda aspettandosi le caratteristiche tipiche del Sangiovese della zona e invece nel vino ci trova tutt'altro, con la percentuale minima di Cabernet che stravolge il tutto. Non la vedo per niente una strada percorribile nè sensata. Stendiamo poi un velo pietoso sulla "Gran Selezione".

Rispondi
avatar

Andrea Gori

circa 10 anni fa - Link

in effetti l'effetto di merlot e cabernet o della barrique fino ad oggi ha contribuito a diluire il terroir ma secondo me in prospettiva un produttore che mette cabernet o altro aromatico non è lo stesso produttore che scrive "Radda" o "Gaiole" in etichetta. Anche qui, credo che il mercato è sufficientemente in grado di distinguere un vino davvero "village" da uno che lo è solo sulla carta. Ma hai ragione sulla fallacia della partenza ovvero che una zonazione borgognona ha un assunto di partenza, il 100% monovarietale, che nel Chianti Classico non troviamo quasi mai.

Rispondi
avatar

Cristiano Castagno

circa 10 anni fa - Link

Davvero bravo Andrea, molto stimolante l'argomento. Certo a volersi addentrare un pochino ci si accorgerebbe che le questioni da affrontare non sarebbero certo di poco conto a partire da quello meramente legislativo che diciamo eufemisticamente non è affatto semplice, anzi tali sarebbero le complicazioni da scoraggiare anche i più ottimisti, comunque è bene cominciare a parlarne di zonazione nel Chianti Classico.

Rispondi
avatar

alessandro bocchetti

circa 10 anni fa - Link

abbiamo sostituito gli archetti, con le piantine... mi immagino già il prossimo Albanese che invece girar bicchieri srotola piantine. :D ciao A

Rispondi
avatar

Stefano Cinelli Colombini

circa 10 anni fa - Link

Visto dalla collina che sta a sud trovo bellissimo l'impegno di tante persone brave, capaci e amanti del territorio. Chissà se questa idea della zonazione avrà successo, personalmente sono scettico anche se spero di sbagliarmi, però la voglia di reagire è lo spirito giusto e a forza di provare una soluzione verrà fuori.

Rispondi
avatar

MG

circa 10 anni fa - Link

Sarebbe proprio una modifica positiva, male male non farebbe di certo. Di sicuro andrebbe a distinguere ancora di piu' i CC dai Chianti generici. Un esaltazione dei Sangiovese 100% sarebbe auspicabile ma molti produttori non sarebbero d'accordo, cosi come per l'uso del legno grande.

Rispondi
avatar

Andrea Gori

circa 10 anni fa - Link

ricordiamoci sempre però che il 100% sangiovese è di raro possibile! quindi si può fare chianti classico tradizionale anche usando colorino canaiolo pugnitello malvasia nera...

Rispondi
avatar

MG

circa 10 anni fa - Link

Certo certo, diciamo restando sul tradizionale se non 100% sangiovese.

Rispondi
avatar

Angelaf

circa 10 anni fa - Link

Davvero un argomento interessante speriamo che si vada in avanti!

Rispondi
avatar

Anna Maria Baldini

circa 10 anni fa - Link

http://tuscany-toscana.blogspot.ch/2013/04/the-new-top-level-chianti-classico-wine.html

Rispondi

Commenta

Rispondi a Cristiano Castagno or Cancella Risposta

Sii gentile, che ci piaci così. La tua mail non verrà pubblicata, fidati. Nei campi segnati con l'asterisco, però, qualcosa ce la devi scrivere. Grazie.