Che cos’è oggi lo Champagne. Un racconto zippato dagli anni Settanta ai giorni nostri

Che cos’è oggi lo Champagne. Un racconto zippato dagli anni Settanta ai giorni nostri

di Fabrizio Pagliardi

Riconoscendo e rispettando le diversità, non si può negare che il punto di riferimento, nella qualità e nel metodo, per chiunque produca vini con una seconda fermentazione in bottiglia siano la Champagne e i suoi prodotti, in particolare i vini delle grandi maison storiche. Vini che fino agli anni Settanta tendevano, per ragioni commerciali, a negare il territorio della Champagne se non inteso nel suo insieme, pur conoscendone tutte le differenze espositive, climatiche e compositive. L’applicazione del metodo era volta a definire e perpetuare lo stile aziendale.

Anche la ricerca dello Champagne del piccolo vigneron non era guidata da una preferenza di origine territoriale specifica ma era ancora riferita alla Champagne nel suo insieme e alla fama commerciale della denominazione; il consumatore cercava produttori che, con una buona qualità ed un prezzo vantaggioso, potessero essere un interessante alternativa ai grandi nomi.

Gli stessi piccoli non cercavano di realizzare un prodotto territoriale più di quanto lo facesse una grande maison: imbottigliare per loro era, e spesso è tuttora, un lavoro secondario. Il primo rimaneva sempre vendere le uve. I prodotti cercavano molto l’imitazione dello stile maison e poco l’espressione del comune di appartenenza, che spesso è ancora oggi solo una sede legale della cantina: la territorialità dei loro prodotti era una conseguenza delle dimensioni dell’azienda e della localizzazione ravvicinata delle vigne. Non era una scelta ponderata.

Sintomi del cambiamento sono stati la prima annata del Clos du Mesnil di Krug, 1979, la prima uscita del Cramant di Mumm nel 1982 e l’acquisto di Salon da parte di Laurent Perrier nel 1982; momenti che segnano l’interesse delle grandi maison per un altro Champagne, con un diverso progetto commerciale e una nuova visione del terroir che va oltre la promozione del territorio unico champenoise.

Farsi piccoli per fare un prodotto da piccoli inizia a essere una scelta commerciale interessante. Unico precedente era stato il Clos de Goisses in produzione dal 1952 e in commercio con una sua etichetta con le sboccature dal 1956 in poi, ma Philipponnat non era affatto una grande maison in quegli anni. Le realtà enologiche che si sono sviluppate al di fuori della Champagne hanno guardato necessariamente a quella esperienza storica; lo “Champagne” dell’Oltrepò Pavese aveva nome e metodo frutto di un accordo con i francesi e nasce nel 1870 come vera e propria copia dei prodotti delle già grandi Maison di Reims ed Epernay.

Anche se Giulio Ferrari darà vita al suo sogno già nei primi anni del secolo scorso, il vero sviluppo della spumantistica trentina è stato negli anni Sessanta; e anche se i primi Franciacorta rifermentati vanno cercati negli anni Cinquanta dello stesso secolo, il metodo classico si sarebbe imposto in zona due decenni dopo. Quindi, a parte l’Oltrepò Pavese, il metodo è arrivato e si è diffuso in Italia in un momento di espansione commerciale delle grandi maison prima della crisi degli anni Settanta, quando nella patria d’origine del vino spumante le differenze territoriali erano viste solo come una risorsa per la creazione e il mantenimento di uno stile aziendale consolidato all’aumentare dei volumi. Colori da mescolare per ottenere il tono desiderato: il tono Moet, il tono Mumm, e quindi il tono Ferrari, il tono Berlucchi.

Anche dal punto di vista strettamente commerciale, la spumantistica italiana si è a lungo seduta e concentrata sul metodo senza cercare un’immagine disgiunta da quella dei cugini d’oltralpe; da tutto ciò non potevano nascere che vini frutto più del metodo che del luogo di origine, quindi una riconoscibilità attenuata dalla spumantizzazione, che non si può negare metta un velo tra il degustatore e le caratteristiche proprie di vino, vitigni e territorio.

Ma il velo può essere rotto con prodotti fortemente caratterizzati; in Francia le cose stanno cambiando, i vignerons migliori non vogliono più essere un’alternativa economica alle maison, ma produttori di un vino più radicato territorialmente: hanno la forza delle loro tradizioni familiari e solo in parte prendono oggi come punto di riferimento le maison e i loro prodotti. Iniziano invece a guardare ai vini di altri vignerons che hanno lavorato per esaltare i propri punti di forza: il luogo d’origine, la qualità dell’uva, la posizione della vigna.

Ancora dieci anni fa, nelle cantine in Champagne, era frequente incontrare anziani disposti a comunicare poco del loro vino allo scopo di preservare i segreti dello stile aziendale, per loro unica caratteristica importante dei loro vini, e la visita si riduceva a un giro della cantina e all’assaggio dei vini. Oggi andare da un giovane vigneron in Champagne significa uscire sapendo tutto delle vigne, di come sono condotte, di come sono esposte, delle caratteristiche del suolo, di come viene realizzato il vino; la visita passa necessariamente per le vigne e poi per la cantina, dove si assaggiano i vari vini base con le loro diverse caratteristiche vinificati separatamente, parcella per parcella. Si percepisce il cambiamento del punto di vista.

L’attenzione si è spostata verso le vigne: tutto ciò che si sa del territorio (che è da sempre essenziale per creare le cuvée) è stato anche il punto di partenza per fare prodotti che rispecchiassero una zona, un comune o una vigna d’eccezione. In realtà, anche quando si parla di Champagne, la territorialità è facilmente leggibile solo nei vini provenienti da zone fortemente caratterizzate come la Cote de Blanc, l’Aube, la parte sud est della montagna di Reims, il versante occidentale della Valle della Marna, o da comuni con caratteristiche forti, come la mineralità dello chardonnay di Le Mesnil e di Montgueux o la maturità e il corpo del pinot nero di Ay.

Negli ultimi anni c’è stato un ulteriore passo con la creazione di diversi piccoli gruppi. Il primo a nostra memoria e il più importante è stato Terres et vins de Champagne, cioè 22 produttori guidati dai quattro forse più giovani del gruppo: Alexander Chartogne Taillet, Raffael Bereche, Benôit Tarlant e Jean-Baptiste Geffroy. Provenienti da diversi comuni della Champagne, si vogliono promuovere insieme mostrando le rispettive diversità. Nelle degustazioni che organizzano l’accento è sul territorio: in quella annuale di primavera ognuno si presenta con i vin clair dell’ultima annata da far assaggiare e i corrispondenti Champagne in commercio, tutti pronti spiegare prodotti che spesso sono monovigna, mono varietà e senza dosaggio.

Stando tra loro si respira un’aria positiva, autentica, di confronto. C’è scambio di informazioni, c’è anno per anno una progressione, voglia di comunicare. Questi produttori hanno trovato un linguaggio comune nei loro Champagne, e va oltre l’essere naturali, biologici, biodinamici o convenzionali: è il linguaggio del proprio territorio. Sembra paradossale, ma per capirsi e farsi capire ognuno parla una lingua diversa, tutte con questa radice comune forte e ramificata.

Anche in Italia qualcosa si sta muovendo dal basso, noi aspettiamo e stiamo alla finestra fiduciosi. Per adesso siamo d’accordo con chi dice che il metodo copre il territorio.

Fabrizio Pagliardi è oste, co-autore di “Le migliori 99 Maison di Champagne”, piccolo importatore ma soprattutto grandissimo conoscitore delle bollicine più famose del mondo. [A. M.]

8 Commenti

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Andrea Petrini

circa 10 anni fa - Link

Complimenti Fabrizio!!

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Cristiana Lauro

circa 10 anni fa - Link

Bellissima lettura. complimenti Fabrizio

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Angelo Miceli

circa 10 anni fa - Link

Complimenti, articolo splendido per contenuti e competenza!

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Emanuele

circa 10 anni fa - Link

Negli ultimi tempi la mia voglia di commentare è nulla, quella di scrivere è prossima allo zero, quella di studiare e di legger bene e bello è tanta. Faccio a fatica ma felicemente un'eccezione alla prima delle tre voglie citate e scrivo, contro quel nulla di scuro sfondo, due parole a lettere chiare, chiare proprio come il senso, l'utilità, la conferma del postulato di Chauvet ("...Il faut déguster beaucoup pour être capable de dire quelque chose à propos du vin...") che permeano l'intervento di Fabrizio: la prima è "grazie", la seconda è "bis".

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michelangelo

circa 10 anni fa - Link

Meraviglioso articolo, grazie! Volevo chiedere a Fabrizio Pagliardi se può approfondire la parte finale del pezzo dove dice: "Anche in Italia qualcosa si sta muovendo dal basso, noi aspettiamo e stiamo alla finestra fiduciosi"...

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Fabrizio Pagliardi

circa 10 anni fa - Link

Penso che sarà oggetto del prossimo... Ma metto le mani avanti: "SONO LENTO"

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michelangelo

circa 10 anni fa - Link

Grazie, aspetto.

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Daniel Romano

circa 7 anni fa - Link

Grandissimo articolo. Complimenti Fabrizio.

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