Che cos’è il vino industriale. Tentativi di definizione a partire dai numeri

Che cos’è il vino industriale. Tentativi di definizione a partire dai numeri

di Fiorenzo Sartore

Tra i commenti di Intravino giorni fa è riapparsa la domanda su cosa sia il vino industriale. La famosa frase di Veronelli citata qui in effetti catalizza da sempre l’annosa questione: “Il peggior vino contadino è migliore del miglior vino d’industria”. È quindi inevitabile che chiunque legga quell’affermazione sia portato, quasi subito, a cercare di definire con confini plausibili questa entità.

La definizione di vino industriale è una specie di sport nel quale ci siamo cimentati un po’ tutti. Siccome qui abbiamo la consueta attenzione al nostro ombelico posso segnalarvi quanto scrissi su L’Unità (quando era viva): “un produttore industriale si riconosce (rispetto ad un artigiano) con uno sguardo. Quanto tempo richieda questa presa di visione, poi, è un altro discorso. Durante tale osservazione io uso alcuni parametri”. Segue poi l’elencazione di questi parametri, ma non è importante, adesso. Oggi proverei ad introdurre una variabile un po’ meno naif.

Dal momento che un modo per uscire dall’angolo delle impressioni personali è usare i dati numerici, potrei appunto fornire dei numeri sui quali basare la definizione. E quando nel gaio enomondo si parla di numeri è totalmente necessario fare capo a Marco Baccaglio, che gestisce uno dei miei enoblog preferiti – quindi se siete tra quei due o tre che non lo conoscono, segnatevelo.

Marco riporta “La classifica dei marchi industriali del vino” e come vedete, è il titolo ad accendere la mia lampadina tipo Archimede a Paperopoli. Il post di Marco per la verità si pone nei confronti del concetto di vino industriale con i termini splendidamente distaccati di chi analizza numeri, ed infatti quel titolo non contiene un giudizio: riporta un dato. I dati in questione servono, peraltro, ad un tipo di analisi che non ha a che fare con la qualità del vino, ma con la finanza:

«Il punto importante di oggi non è tanto la classifica, quanto una considerazione generale che esce guardando i numeri in aggregato e lavorandoli: i signori che fanno Power100 stanno valutando delle prospettive di crescita meno positive per TUTTI i primi 100 marchi. I vini sono passati da essere “con prospettive migliori della media” a “prospettive peggiori della media”, mentre gli Champagne si mantengono su un livello prospettico di crescita superiore alla media»

Quindi, una volta ottenuta una lista di industriali (e sul piano dei numeri dovremmo essere tutti d’accordo che quelli lo sono) possiamo dire che sono le dimensioni produttive a definire un’azienda vinicola “industriale”. Qui però finisce la confortevole pace consociativa consentita dai numeri, ed inizia l’area nebulosa e sfumata dei giudizi di valore. Perché la definizione che ci appassiona di più, immediatamente dopo, sarebbe appunto quella sulla qualità del vino industriale. È buono o no?

Ovviamente non esiste una risposta in termini di “sì o no”, e potrei aggiungere che non serve al discorso sulla definizione. Tuttavia è un dato: nel nostro giro la parola industriale legata al vino non suona come un complimento. Per come la vedo io, la produzione industriale si è assestata ormai su un piano di fredda perfezione. L’artigianato invece si caratterizza per interpretazioni del tema-vino meno rigide, e a volte (e questo appare paradossale) con apparenti imperfezioni, se confrontato con il vino industriale.

L’attenzione che moltissimi di noi hanno per i secondi, e il distacco con il quale spesso guardiamo i primi, è in definitiva una continuazione del pensiero veronelliano. Qui Pietro Stara introduce un’integrazione interpretativa della famosa frase:

«Non perché, come erroneamente è stato tradotto sino a noi, vi è una lettura semplicistica e bucolica di un mondo come quello contadino, superbamente anarchico, che concilia animalità e grande umanità, né perché vi è una presunzione anti-scientifica di tipo mistico-ancestrale […] Nego con ciò la validità dell’intervento ‘enotecnico’? Affatto; dico solo che deve essere condizionato».

Quindi, se vogliamo sospendere il giudizio di merito e restare su parametri quantitativi, non resta che rifarsi ad altri elementi numerici. Numeri di bottiglie, ettari vitati: tutto purché piccolo. Il di più, è dell’industria.

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Fiorenzo Sartore

Vinaio. Pressoché da sempre nell'enomondo, offline e online.

11 Commenti

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marziano

circa 9 anni fa - Link

per me anche le coop e le cantine sociali sono industria. "Non si pensi che in Emilia abbia vinto Renzi: ha vinto Poletti. Non è stato un voto di opinione ma di apparato e di scambio. I cinquecentomila voti di Bonaccini, poco più del dieci per cento in una regione con quattro milioni e mezzo di abitanti (sarebbe questa la democrazia), vengono dagli insegnanti statali, dagli impiegati comunali, dai pensionati e dagli stipendiati delle cooperative, che votando un assessore professionista hanno votato a favore delle loro rendite e contro qualsiasi cosa profumi anche solo vagamente di libera impresa e libero lavoro. Cinquecentomila voti comunisti. Chi pensa che il comunismo sia caduto col Muro, venticinque anni fa a Berlino, non abita in Emilia e non beve Lambrusco. Io, che lì abito e lì bevo, non ho mai visto un cadavere che cresce e che mangia. Il comunismo, che significa proprietà collettiva dei mezzi di produzione, è localmente vivissimo: ogni anno in Emilia una cantina cooperativa fagocita una cantina privata. Ogni volta è un lutto. Ogni volta una famiglia viene sfrattata da un politburo. Ogni volta contadini e imprenditori vengono sostituiti da funzionari con la faccia, gli abiti e la concezione della qualità caratteristici dell’attuale ministro del Lavoro e delle politiche sociali. Ogni volta un Lambrusco si inabissa. Non si pensi che in Emilia abbia vinto Renzi: hanno vinto Poletti, il comunismo e il Lambrusco cattivo". (C. Langone, il foglio, 25 novembre 2014)

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Pietro

circa 9 anni fa - Link

Credo invece che tu abbia bevuto un po' troppo lambrusco. La famiglia che si arricchisce va bene, la cooperativa che redistribuisce il reddito a tutta la filiera no, a prescindere? Boh!

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Franco

circa 9 anni fa - Link

Quindi, in sintesi, quando un produttore artigiano avrà successo commerciale, cosa non dovrà fare per essere definito industriale? Per meglio dire, quando saprà fare vini senza difetti, perché i difetti sono figli di problemi, spesso di incapacità o mancanza di risorse e non di tipicità, avrà passato il fiume? Sarà quindi diventato un industriale e di conseguenza non più degno di un apprezzamento da parte della "intelighenzia" vinicola moderna? Quale è la soglia entro cui sei ancora figo è quella oltre cui sei uno speculatore del vino? ......

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Francesco Garzon

circa 9 anni fa - Link

Nulla da eccepire. Questa querelle tra vino industriale e vino naturale, ma anche tra definizione di vino industriale e vino naturale, pervade spesso i blog, addirittura per alcuni l'una o l'altra cosa sono delle trincee in cui nascondersi e combattere l'altro (il nemico). Quando magari molto probabilmente ognuno dei due ha dentro di sé i nemici. Probabilmente dare delle definizioni, condivise, per identificarsi può aiutare. Effettivamente anche i numeri possono permettere di identificare un produttore di vini "industriali"... fatti con coscienza e un produttore di vini "naturali".... carenti di tutto. Ma anche il viceversa. ...post semplice (chiaro), intenso, pensato, ... bello. Come sempre.

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Lorenzo Arduini

circa 9 anni fa - Link

Io non penso che sia misurabile in questi termini di bottiglie prodotte ed ettari vitati. In alcune zone del mondo 4 ettari sono troppi e 50 sono pochi. La quantità di bottiglie prodotte, tra l'altro, non lo annovererei tra gli indicatori, poichè esistono produttori che hanno più tenute in più zone. Quindi possono anche comportarsi nel singolo territorio come dei semplici artigiani, anche se il numero di bottiglie è il totale. La verità è che la qualità del vino si dovrebbe misurare in termini unicamente qualitativi, non solo per quello che si trova nella bottiglia, ma anche nei valori che il produttore comunica. In questo, cari miei, non c'è un unità di misura. Ci sono produttori in italia che hanno svariate centinaia di ettari e producono milioni di bottiglie, ma operano nei loro territori come farebbe un piccolo produttore, con la forza e la passione dell'artigiano. La differenza reale non è tra il vino industriale ed il vino _scrivete_qualcosa_, ma tra contadino ed imprenditore. E, credetemi, il vino di qualità, alla fine, lo fanno solo gli imprenditori, anche se fanno 500 bottiglie l'anno su 5 ettari di vigneto.

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Emanuele Cattani

circa 9 anni fa - Link

Sono d'accordo con te. In Italia poi esistono tantissime realtà importanti organizzate nel modo che hai citato, alcune delle quali gestiscono tenute in cui si producono vini tra i più blasonati al mondo, oltre che d'indiscussa qualità. Etichettare queste bottiglie come "industriali", perchè parte di un Gruppo dai grandi volumi, sarebbe un paradosso. Discorso simile andrebbe poi fatto per quelle Cantine Sociali che hanno un rapporto diretto, sano e collaborativo con i conferitori, cantine che nonostante i numeri da paura hanno saputo indirizzare le produzioni sulla qualità e la valorizzazione del territorio. Il post comunque, offre spunti di riflessione importanti. E a mio avviso conferma come questa questione resti "al limite" e molto più complessa di quanto non sembri.

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biotipo

circa 9 anni fa - Link

bravo marziano, hai fatto bene a copincollarci il commento davvero illuminante di uno scrittore notoriamente a-politico e neutrale come langone. sentivo proprio la mancanza di qualcuno che facesse la liaison tra mondo del vino e politica... certe affermazioni sul lambrusco che "si inabissa" e diventa "cattivo", poi, sono del tutto apodittiche e non supportate da fatti concreti

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Francesco Garzon

circa 9 anni fa - Link

Trovo che le ultime argomentazioni esposte hanno effettivamente ragion d'essere (anche se detto ma me può valer poco o niente). Pero se prendiamo dei riferimenti letterati, ad esemipo la "guida" ai vini naturali di Bietti i vini naturali in genere (sicuramente più per un discorso di modalità di produzione che non di volumi) si riducono a poche decine e le aziende grosse che hanno in mano picole realtà naturali si contano sulle dita di una mano.

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Armando

circa 9 anni fa - Link

Riguardo ai numeri, ricordo che Dom Perignon e' prodotto in alcune annate con tirature da oltre 5 milioni di bottiglie. Ricordo che molte cantine cooperative si sognano tali numeri. Fate le vostre valutazioni, ma il numero delle bottiglie non credo che indichi Se si parli di vini industriali o meno.

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Federico

circa 9 anni fa - Link

Cos'è un generico prodotto industriale? Direi che è un prodotto che esce da un processo di produzione standardizzato, pensato e messo in piedi per ottenere maggior produzione possibile con il minor impiego di risorse, nel minor tempo possibile. L'industria esiste per avere prodotti tutti uguali a bassi costi e con una produzione centralizzata. Va di pari passo al concetto di alte produzioni, per poter diminuire i costi vivi e spalmarli su grandi numeri, ottenendo così un prezzo di vendita sempre più competitivo. Le produzioni essendo ad alti numeri ovviamente devono essere senza difetti, altrimenti il danno economico derivato sarebbe proporzionale. Differisce dal prodotto artigianale che è un prodotto non standardizzato, figlio della mano del singolo artigiano sì, ma anche del momento (nel bene e nel male). Non tutti i prodotti (anche se dello stesso tipo) di quell'artigiano sono sempre uguali. Non fa uso di una macchinizzazione elevata e anche i quantiitativi di produzione sono limitati. Portando questo (condivisibile o no vedete voi) all'interno del mondo del vino, ci sono gli estremi che forse sono abbastanza chiari a tutti, ma dove i due concetti si avvicinano, iniziano le zone grigie. A ognuno la sua linea di demarcazione, ma penso sia utile non pensare che il mondo del vino faccia sempre e comunque storia a parte.

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alvaro pavan

circa 9 anni fa - Link

Personalmente credo che la linea di demarcazione tra le due entità di prodotto - industriale/artigianale - sia data dal processo di omogeneizzazione cui inevitabilmente deve sottostare il primo. In teoria i numeri non dicono tutto, ma lasciano capire molto. Cordialmente, Alvaro Pavan

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