Catalogna, i vini in anfora tra illusione e realtà

di Davide Tenconi

Josko Gravner è lontano chilometri, molti chilometri. Nonostante questo alcuni giovani produttori catalani negli ultimi anni hanno iniziato a introdurre le anfore nelle rispettive cantine.

Non siamo in Friuli e non ci sono le Alpi alle nostre spalle. Non fa freddo, anzi, la terra emana calore in ogni zolla. Il Mediterraneo è lì, lo si vede distintamente dai vigneti prima di entrare nel comune di Tarragona, ex colonia romana “fedele” a Cesare, con uno splendido complesso archeologico, dichiarato Patrimonio dell’Umanità nel 2000. E, soprattutto, non c’è la ribolla ma lo xarello, vitigno molto conosciuto nella zona del Penedes (uno dei tre, insieme a macabeu e parellada, alla base dei Cava). Una varietà d’uva bianca dall’acino compatto, rotondo, dalla buccia forte e resistente. Si coltiva quasi a ridosso delle spiagge fino ai 400 metri di altitudine. È sensibile alle gelate ma da queste parti il rischio è simile a una nevicata in pieno agosto, quindi nullo. Si vendemmia generalmente a metà settembre, dà aromi primari freschi e con un buon grado di acidità. Il suo nome deriva dall’italiano “chiarello”, tradotto anche in pansa (nella zona di Valencia) e palop (a Mallorca).

Il Gravner catalano si chiama Eduard Pié Palomar, ha meno di trent’anni ed è proprietario della piccola cantina Sicus. Vive in solitario tra le vigne con il suo cane nel paesino di Bonastre, ha un padre coltivatore di pomodori con il quale si scontra ogni sette minuti esatti, è alla ricerca del vino perfetto (ma esiste?) e da cinque anni usa le anfore per la macerazione delle uve.

Per lui il viticoltore è un umile direttore d’orchestra. Pratica biologico e biodinamico (ma guai a dirlo, preferisce la dicitura “rispettoso della vita della natura”), coltiva solo vitigni autoctoni del Massiccio di Bonastre – oltre al già citato xarello anche vermell, monastrell, sumoll e malvasia de sitges – e crede nell’anfora come forma di rispetto. Ha una gamma molto ampia per la dimensione del suo territorio: dieci prodotti di cui otto in vendita tra i 10 e i 20 euro e due sopra i 40 euro a bottiglia. Tra questi il “Sicus Sons”, xarello in purezza, vendemmiato ad inizio ottobre e lasciato in ampie anfore scavate dentro il terreno fino al maggio dell’anno successivo. Un vino diretto, con un ottima presenza minerale, quella maggiormente ricercata da Eduard, e con un retrogusto ampio. Sicuramente è una buona base di partenza ma può e deve migliorare.

Il quesito però è semplice, e non è solo rivolto alla cantina di Eduard. Lo xarello è un vitigno adatto ad essere vinificato in anfora oppure si tratta solo di una moda utile a trainare le vendite?

Recentemente ho provato anche “Àmfores” (che fantasia il nome!) della Bodega Loxarel, quinta generazione di viticoltori della famiglia Mitjans. Quaranta ettari di terreni coltivati nella DO Penedes, sia con vitigni autoctoni che con gli immancabili pinot nero e chardonnay. “Àmfores” (alla quarta vendemmia) è fermentato in… anfore da 720 litri, lasciato a riposo nelle stesse per altri 5 mesi. Un bianco fresco e minerale, forse caratterizzato da un’eccessiva presenza di frutta matura in bocca.

La fantasia abbonda anche per la scelta del nome di Parés Balta, storica bodega con più di 220 anni di anzianità. La terza generazione della famiglia Cusiné, con a capo Joan y Josep Cusiné Carol, ha deciso di chiamare il proprio xarello in purezza vendemmiato in anfora… “Amphora” (e non è uno scherzo). Fermentazione alcolica totalmente sviluppata dentro l’argilla, vino molto chiaro, quasi grigio. Rustico, con un tocco di mandorla che all’inizio stupisce. Elaborato a quasi 400 metri, alla sua terza uscita, non è il piatto forte della casa ma potrebbe trovare un certo spazio di mercato.

Ecco, il mercato. Facendo un piccolo sondaggio tra i catalani quando si parla di “vino elaborato in anfora” si può essere certi che in pochi correranno a comprarlo. Molto semplicemente non attira. Per semplificare si potrebbe dire che fino agli anni ’80 si beveva solo rosso, cui è seguita la travolgente moda del Cava. Il bianco rappresenta da sempre una piccola nicchia (se elaborato in argilla ancor di più). Ad oggi sono tre i produttori che cercano di aprirsi un varco ma la strada, sia a causa del vitigno che della gente, è ancora molto lunga. Come detto, Gravner è lontano, molto lontano.

4 Commenti

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vinogodi

circa 9 anni fa - Link

..ah bè , certo. In Italia che "fanno" anfora, su indicazione del caposcuola Josko, sono una schiera infinita, a differenza che in Catalogna o Spagna ... così come chi ne compra i prelibati nettari...

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valerio rosati

circa 9 anni fa - Link

E' sempre interessante sapere cosa succede al di là degli italici confini. Però che male c'è a chiamare "Amphora" un vino maturato in siffatti contenitori? Anzi, lo trovo anche un modo per far capire subito al consumatore di che cosa effettivamente si tratta, oltre ad attrarre immediatamente i patiti del "famolo strano" enoico, ma, anche qui, non vedo che male ci sia... Se non sbaglio, poi, anche il "divino" Gravner scrive in etichetta e a chiare lettere "Anfora" sui suoi vini.

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Cristiana Lauro

circa 9 anni fa - Link

No Valerio, in realtà non lo scrive più. A una recente sua anteprima mi pare di aver capito che non senta più l'esigenza di comunicarlo. Addirittura che si chieda: che bisogno avevo di scriverlo prima?

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Alessandro Morichetti

circa 9 anni fa - Link

Confermo. La dicitura "Anfora" è rimasta in listino ma è scomparsa dall'etichetta, che sembra ancor più back to the roots.

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