Campania Stories ovvero storie di vignaioli campani, letteralmente. Parte prima: Luigi Tecce

Campania Stories ovvero storie di vignaioli campani, letteralmente. Parte prima: Luigi Tecce

di Giovanni Corazzol

Un racconto in cinque capitoli o meno enfaticamente cinque visite ad aziende che hanno partecipato a Campania Stories 2015, per distacco la più immersiva, impegnativa e soddisfacente esperienza di degustazione e approfondimento a cui mi sia stata offerta la possibilità di partecipare. I protagonisti di questa storia: Luigi Tecce, Gerardo Contrada, Giuseppe Caggiano, Ercole Zarrella, Ciro Picariello.

Capitolo 1: Luigi Tecce
Volto scavato, eduardiano, occhi lucidi e febbrili, dimostra più anni di quelli che ha. Ci guida subito in cantina, recita in fretta il ruolo del vignaiolo, trattiene le divagazioni, quelle che sfuggono le interrompe, le accenna, le interrompe di nuovo, le riordina, infine le riprende. Entriamo nel tinello, il soffitto è basso, la tavola è preparata; in un piatto del baccalà in insalata, poi dello stracotto di carne e dei broccoli. “Il dolce non l’ho fatto, potevate portarlo voi da Napoli”, sorride, ma non poi tanto.

Compaiono dei formaggi, ci apre sopra uno dei suoi sogni irrequieti: un bianco passito, per metà moscato e per metà fiano, greco di tufo, coda di volpe. Ha fatto una rifermentazione in bottiglia, un po’ di carbonica che roteando il bicchiere si dilegua. Quel che resta è tannino, buccia di mandorle, il piacere sorpreso di un sorso insospettato, di un viaggio in oriente, nel mercato egizio di Istanbul, nel negozio della frutta essiccata, nel barattolo delle albicocche. È uno scherzo questo, un gioco, un esperimento, un piacere estemporaneo, da godere qui, ora e poi basta.

Ne ha fatto un altro di sogno irripetibile: un bianco “non pensato” dice, fatto per metà con le uve di greco di tufo di cui il cugino non sapeva che fare, per l’altra metà con una “vignetta” di coda di volpe del cognato. Annata 2006, vendemmia tardiva, macerato 15 giorni sulle bucce, un anno in barrique usate, due anni in damigiana per la stabilizzazione; dal 2009 è in bottiglia. È vino ossidativo che tiene il frutto in evidenza. È sale e miele, zenzero e oceano, iodio, alghe e luce. È uno scherzo anche questo, ne restano una ventina di bottiglie, uso personale, non pensateci, mai accadesse di salire in Contrada Trinità a Paternopoli non cercatelo o vi spiacerà saperlo eccezione, vi spiacerà il volto di Tecce forzato ad una divagazione da interrompere, riordinare, riprendere. “Ti piacerebbe fare bianchi?” – “Sì, mi piacerebbe tantissimo! Ma come faccio? Me ne pento, ma non ho piantato uve a bacca bianca e ci vuole tempo, troppo tempo. Ora è tardi, e poi a chi lascio? Non ho famiglia mia, non ho figli. La tradizione chiede che non ci siano salti generazionali. Salti una generazione e la tradizione diventa rievocazione. Nun se po’ ffà. E poi già fare questi due mi assorbe la vita”.

Questi due sono il Poliphemo e il Satyricon. Taurasi il primo, Irpinia Campi Taurasini il secondo. Nel tinello berremo il 2010 di Poliphemo ed il 2003 etichettato come Irpinia Aglianico; in degustazione a Campania Stories troveremo il Satyricon 2012 ed il Poliphemo 2011.

La 2003 è la prima annata ufficiale di Tecce. Bell’annata per entrare nella mischia, il paradigma dell’annata caldissima, ma il vino non è cotto e neppure immarmellato; l’apporto del legno piccolo – all’epoca vennero usate barrique nuovissime – pur percepibile, non è di disturbo, è anzi del tutto integrato e non svilisce il frutto che emerge nitidamente, senza mediazioni. Nel confronto tra Poliphemo 2010 e 2011 – al netto del fatto che il 2011 lo si può considerare poco più che una prova di botte – emergono evidenti le caratteristiche diametralmente opposte delle due annate: assai piovosa la 2010 con una estate di San Martino calda; invece molto calda, con un agosto caldissimo la 2011. Oggi il 2010 è vino di classe superiore, un’espressione di aglianico di grande finezza per cui è vietato scomodare il bolso refrain di nebbiolo del sud. È invece canto di spezie, sapidità e carne. Il 2011 oggi esplode di energia difficile da imbrigliare, roba da rodeo, con tannino texano e note catramose che, come sempre, non rendono giustizia ad un vino con evidenti segnali di grandezza. Il Satyricon 2012 invece esprime al naso grande complessità, con sentori salmastri e odori provenzali; in bocca è piccante, speziato, succoso, acerbo, più approcciabile del ciclope dall’occhio sanguinolente disegnato in etichetta dall’amico Vinicio Capossela.

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Giovanni Corazzol

Membro del Partito del progresso moderato nei limiti della legge sostiene da tempo che il radicalismo è dannoso e che il sano progresso si può raggiungere solo nell'obbedienza.

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