Birraio dell’anno e un altro po’ di cose viste a Firenze

Birraio dell’anno e un altro po’ di cose viste a Firenze

di Jacopo Cossater

Che Birraio dell’Anno 2015 sia Fabio Brocca del Birrificio Lambrate di Milano probabilmente ormai lo sapete. Lo stesso vale per Matteo Pomposini e Cecilia Scisciani di MC77, tra gli emergenti, bella realtà marchigiana del maceratese.

Un premio (c’è anche il sito) che è ormai giunto alla sua settima edizione e il cui intento, a leggere il regolamento, “è quello di valutare il lavoro complessivo e non la qualità di una singola birra, premiando così la bravura tecnica, la filosofia produttiva e, in definitiva, la capacità di emozionare di un birraio”. Insomma il suo percorso produttivo nei 12 mesi precedenti secondo una giuria di esperti nominata da Fermento Birra, rivista promotrice del riconoscimento. Il premio è però anche un bel pretesto per fare il punto e per riunire sotto lo stesso tetto una bella fetta di quella che è considerato come il meglio della produzione artigianale italiana. Ottima occasione di visibilità per il vincitore, certo, al tempo stesso la cosa che mi è sembrata più bella ha a che fare con la festa in sé, la celebrazione insomma di tutti i birrifici presenti.

Io per esempio sabato scorso mi sono messo in macchina in tarda mattinata con l’intenzione di trascorrere un bel pomeriggio di assaggi, birre su cui ritornare (su tutte: Loverbeer) e birre da scoprire (su tutte: Hopskin, non li avevo mai sentiti nominare). Perché Birraio dell’anno è anche un bel festival organizzato dentro il teatro Obihall di Firenze e condito da un centinaio o più di birre alla spina con la solita formula, quella dei gettoni. Due (da un euro) per mezzo bicchiere, di più per il bicchiere pieno. Tra l’altro qui è dove il sottoscritto dovrebbe riportare alcuni dei suoi assaggi preferiti: difficilissimo visto non solo il limitato numero di bicchieri riempiti (la scusa ufficiale è quella della guida) ma anche vista la poca familiarità con alcuni degli stili assaggiati. Per quello che vale posso solo dire di essermi segnato sul taccuino alcune birre, ottimi spunti per tornare nei prossimi mesi sulla produzione dei rispettivi birrifici. La BB10 del sardo Barley, stando alla guida ufficiale una “Imperial Stout con mosto d’uva”. La sempre esplosiva My Antonia di Birra del Borgo, Imperial Pilsner con pochi eguali in Italia per intensità. La Tipopils di Birrificio Italiano, non la bevevo da molti mesi e l’ho ritrovata come sempre buonissima. La SPLENDIDA Dama Bruna di Loverbeer, omaggio alle Oud Bruin fiamminghe, birra con una profondità e una grazia che insomma, ad averne.

E poi il bell’approfondimento organizzato da Stefano Ricci sulle West Coast IPA in Italia. Una via di mezzo tra un seminario e una degustazione in presenza dei rispettivi birrai per fare luce su uno degli stili di maggior crescita e successo. Birre, lo suggerisce anche il nome, spinte da un uso particolarmente disinvolto di luppoli americani (cascade e citra quelli che ho imparato a conoscere meglio ma anche molti altri), anche in dry hopping. Birre insomma belle cariche, giustamente amare quando non amarissime, non di rado caratterizzate da profili che richiamano toni mielati o addirittura caramellati che ben contrastano le sensazioni più amare in un risultato di sicura ricchezza gustativa. Stupefacente per intensità, straordinariamente bevibile nonostante il calore (quasi 8 i gradi alcolici dichiarati), la Machete di Birrificio del Ducato. Gran finezza nonostante la tridimensionalità del corpo per la Hopfelia di Foglie d’Erba, forse la mia preferita della batteria, birra che tra gli ingredienti vanta anche la resina di pino e che avrei bevuto probabilmente per ore senza mai stancarmi. Di sicuro equilibrio la Spaceman Grapefruit di Brewfist, in questo caso “cotta” con bucce di pompelmo rosa in un risultato tutt’altro che aggressivo, pieno ed elegante al tempo stesso. Infine la Cal di Vento Forte, altro bell’esempio di come in Italia si riesca spesso a prendere il meglio da uno stile interpretandolo con personalità.

Un pizzico di polemica, per chiudere. Va bene che il clima è quello della festa e che i birrai presenti hanno forse tutt’altro a cui pensare ma spiegare le proprie birre agli avventori dovrebbe essere sempre un piacere e non una spiacevole seccatura. Troppi quelli che alle domande più ingenue cercano di tagliare il più corto possibile per passare ai gettoni successivi. Ma guardiamo avanti: la prossima tappa è segnata, l’importante appuntamento biennale organizzato da Cantillon –Quintessence– prevede tra gli ospiti un birrificio spagnolo, Masia-Agullons, e uno italiano, Birra del Borgo. Una cosa molto bella per tutto il movimento, direi.

[foto in apertura: Birraio dell’anno]

Jacopo Cossater

Docente di marketing del vino e di giornalismo enogastronomico, è specializzato nel racconto del vino e appassionato delle sue ripercussioni sociali. Tra gli altri, ha realizzato i podcast Vino sul Divano e La Retroetichetta, collabora con l'inserto Cibo del quotidiano Domani e ha cofondato il magazine cartaceo Verticale. Qui su Intravino dal 2009.

4 Commenti

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Stefano Cinelli Colombini

circa 8 anni fa - Link

Essere Intravino o essere Intrabirra, questo è il dilemma! Se sia più nobile etc etc...

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Thomas Pennazzi

circa 8 anni fa - Link

Dilemma amletico, effettivamente: uva o malto ? «Portategli il discorso su argomenti, che richiedano acume e sottigliezza, vi saprà sciogliere il nodo gordiano di tutto, come la sua giarrettiera» [W.S. - Enrico V - atto primo] Anche ad alta gradazione la dualità si ripropone tal quale: brandy o whisky? Soluzione salomonica: entrambi. Soluzione alessandrina: acqua!

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Stefano Cinelli Colombini

circa 8 anni fa - Link

Soluzione Mascagnica; Viva il vino spumeggiante Nel bicchiere scintillante Come il riso dell'amante Mite infonde il giubilo! Viva il vino c'he sincero Che ci allieta ogni pensiero E che annega l'umor nero E tarazum, tarazum...

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Komu

circa 8 anni fa - Link

Complimenti per l'articolo

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