Arte e Champagne, un gioco di incastri. Assaggiando Cuvée du Roy René 1976 di Collard

di Alice in Wonderland

Kandinskij ad un certo punto della sua vita e della sua opera definisce, ispirandosi al mondo musicale, tre tipi di creazioni artistiche: le impressioni, le improvvisazioni, le composizioni. Le impressioni sono quelle opere in cui resta ancora visibile e tangibile l’impronta della natura esteriore, le improvvisazioni quelle generate dalla profondità interiore e spesso sotto la guida dell’inconscio mentre alla creazione delle composizioni partecipa anche la coscienza individuale. Perché non prendere in prestito, con promessa di restituzione, queste idee, per il tempo di una bottiglia, col suo “prima” ed il suo “dopo”, giocando liberamente, e senza alcuna pretesa, a verificare se possano trovare corrispondenza anche in chi fruisce e non solo in chi crea?

Cuvée du Roy René 1976, Collard. È il mio millesimo. E già questo predispone il (mio) assaggio a un certo tipo di accoglimento.

Il vino è splendido, un uovo d’oro contenente continue sorprese. Dal primo all’ultimo sorso è come entrare in un palazzo, antico e di nobiltà non ostentata, eppure indiscutibile, e visitarne le sale, aprendo una porta dopo l’altra e riconoscendo tanti ambienti diversi l’uno dall’altro senza avere l’impressione di passare per un museo. Questa è una casa viva e vissuta e sui divani di velluto è consentito accomodarsi.

Le condizioni di questo assaggio: tempo cronologico a sufficienza, tempo atmosferico invitante e sorridente, un’ottima compagnia. Condizioni esterne allo Champagne, queste, ma senza dubbio influenti. Migliorative, foriere di buona disposizione, eventualmente consolatorie, per la peggiore delle ipotesi. Eppure non c’è stato bisogno di condizionare o di migliorare nulla e, tanto meno, di consolare: lo Champagne è in condizioni perfette, e non solo quelle fisiche. Dall’ingresso in medicheria alla sala di bellezza con vinoterapia in tini pieni di bucce di mele renette e pere Abate, poi la stanza del riposo con sete e velluti e poi ancora la dispensa, con frutta secca e oleosa, zenzero e tamarindo, liquirizia e tante erbe secche, il timo, la maggiorana. Il fumoir, con foglie di tabacco dolce e cenere.

Il salone delle feste, vivo, elettrico: nervoso filo dell’alta tensione quella freschezza sorprendente. Luminosità da serata di gala con mille lampade accese. È lungo, persiste, ritorna. Appagante come vedere un film in versione originale, senza tagli strategici né product placement. Elegante ma mai ingessato, un bel trentottenne dai modi un po’ all’antica. Chissà da ragazzo com’era.

Il gioco dell’incastro tra la kandinskjana impressione, (orme esterne del mondo della natura qui tangibili, visibili, non solo percepibili o intuibili), e l’improvvisazione (immagini varie e colorate e non necessariamente proustianamente intese ) è stato un successo. Le composizioni, infine: a legare tutto questo semplicemente la pulita ed umile consapevolezza di aver avuto la fortuna di godere con tutti i sensi, ed al contempo con la mente, dell’emozione che un gioco sa dare solo quando è anche un po’ serio. (E poi, il sollievo: in fondo qualche ragazzo del ’76 invecchia bene!)

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Alice in Wonderland

Nascere a Jesi è nascere a un bivio: fioretto o verdicchio? Sport è salute, per questo, con sacrifici e fatica, coltiva da anni le discipline dello stappo carpiato e del sollevamento magnum. Indecisa fra Borgogna e Champagne, dovesse portare una sola bottiglia sull’isola deserta azzarderebbe un blend. Nel tempo libero colleziona multe, legge sudamericani e fa volontariato in una comunità di recupero per astemi-vegani. Infrange quotidianamente l’articolo del codice penale sulla modica quantità: di carbonara.

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