Aperitivi & Co. Experience | Siamo ancora arbitri del gusto mondiale ma tendiamo a dimenticarcelo

Aperitivi & Co. Experience | Siamo ancora arbitri del gusto mondiale ma tendiamo a dimenticarcelo

di Thomas Pennazzi

Domenica 13 e lunedì 14 marzo si è svolta presso i Lambretto Studios di Milano Aperitivi&Co. Experience, la terza edizione sul mondo degli aperitivi. Questo rito, che più milanese non si può, in anni recenti è diventato sinonimo dell’italian lifestyle nel mondo, e sta avendo immenso successo e diffusione, paragonabile solo a quello della pizza. Ormai da Londra passando per Frisco, fino a Tokio, concedersi un aperitivo all’italiana fa assaporare ai forestieri il gusto della mitica dolce vita.

L’evento segue un format ormai collaudato, grazie al team di Bartender.it, brillante ideatore di tutta una serie di giornate dedicate durante l’anno al mondo dell’alcool. Com’è immaginabile, il pubblico è accorso numeroso, fatto di appassionati della mixologia, di bartenders, e del mondo del commercio correlato: sono state contate oltre 3000 presenze, molte di cui qualificate. Prevalenza di giovani, con una quota inaspettata del gentil sesso, normalmente poco avvezzo a queste manifestazioni da frequentatori di bar.

Se l’arte del cocktail è eminentemente anglosassone, dobbiamo però ricordare quanto i nostri barman a Londra, come in ogni altro angolo del mondo, riscuotano sempre unanime consenso per il loro estro, per l’elevato gusto, e per il senso di ospitalità che li contraddistinguono esercitando il loro mestiere. Tra tutti possiamo ricordare Salvatore “The Maestro” Calabrese (Salvatore’s), Luca Cinalli (Oriole), Alessandro Palazzi (Dukes), luminosi astri del bartending londinese.

La rassegna è servita a focalizzare l’attenzione sulla liquoristica, una grande arte applicata, negletta purtroppo dalla gastronomia militante, ma ricca di gemme universali: praticamente tutti i maggiori liquori in commercio affondano le loro radici in una ricetta partorita da qualche italiano. Siamo ancora arbitri del gusto mondiale, così nell’arte culinaria come nella moda, ma tendiamo a dimenticarcelo. Ben vengano gli eventi che danno visibilità a questo mondo.

Tra seminari, banchi di degustazione, incontri tematici, preparazioni estemporanee di abili baristi, l’evento ha fornito dimostrazione, se mai ce ne fosse stato bisogno, che l’arte di vivere nostrana non è seconda a nessuna nemmeno nel bicchiere. Il bar concepito all’italiana è un luogo sociale che miscela cultura, svago ed internazionalità, ma con lo sguardo rivolto alla nostra solida tradizione: stanno infatti tornando di gran moda i bitter, gli amari, i cordiali, gli elixir, i vermut, i numerosi liquori, e finalmente si riscopre la grappa nel bere miscelato. Piccoli produttori tradizionali, nuovi dinamici player, multinazionali dai cataloghi enciclopedici, tutti si sono buttati su questo mondo che grida italianità, e che sta diventando sempre più trendy.

Interessante il seminario tenuto da Fulvio Piccinino sulla grappa, spiegata al popolo del bar: gesto santo e benedetto far aprire gli occhi sul nostro grande distillato, ricco di possibilità miscelatorie, e non più spirito torcibudella per soli alpini.

Tra gli assaggi ho cercato di mantenermi sul bere forte, che preferisco alla polibibita di futurista memoria: di sfuggita mi piace però onorare la figura di Fortunato Depero, designer negli anni ’30 della celebre bottiglietta del Campari Soda, oltre a tanta grafica d’arte.

La grappa Nardini nelle sue espressioni più alte, 60° Riserva e Riserva 15 anni, è un bere che fa dimenticare la famigerata etichetta bianca; sicuramente oggi si lavora meglio e con più qualità di un tempo. I due assaggi non stupiscono con effetti speciali, ma offrono una bevuta ben oltre il dignitoso. Complimenti.

Un volo in Perù, alla corte di re Pisco: le due marche in assaggio, parte della scuderia Velier, Portón e Tabernero, fanno comprendere bene l’espressività di questo distillato di vino. Le varietà aromatiche, ed in particolare le Mosto Verde, godono di una bevibilità infinita, a rischio di coma etilico. Nonostante la fama del master distiller di Portón, Johnny Schuler, ho preferito l’altra marca. Continuo a pensare che nel nostro Sud potremmo fare acquaviti perfino migliori. Il distillato sta riscuotendo enorme successo nei cocktail: lo si vede già oltreoceano.

Rivedere l’Alpestre, dimenticato distillato dalle origini conventuali, mi ha fatto tornare ragazzo alle prese con questa forte etichetta digestiva da montanari, figlia dell’artemisia. La gradazione un tempo altissima è stata addomesticata, ma la dominante aromatica del complesso blend è rispettata.

In giro tra i banchi si nota tanto vermut: la miscelazione è il suo destino; marche antiche come la cuneese Bordiga, ditte nuove, l’immarcescibile Martini (che non si chiama più vermouth), il grosso parla italiano e ricomincia a farsi gran strada nel mondo. Un tempo non troppo lontano era il bere dei nostri nonni al bar, «un Punt e Mes!» era una richiesta frequente al banco verso le 11 di mattina.

Altrettanto felice futuro stanno avendo i nostri amari: da quelli più commerciali, tipo Ramazzotti ed Averna, fino alle specialità regionali, queste bevande sono in spolvero quanto i vermut. Molto fine il Braulio Riserva Speciale millesimata assaggiato. Più appagante e denso il loro Riserva. Menzione speciale per la China Clementi, di lunga tradizione, preparata da un mio appassionato collega toscano: bicchiere amaro il giusto e mai stucchevole, versatile sia da solo che nei cocktail, e ancora ricco di proprietà benefiche.

Pensando alla miscelazione, i brandy giovani (c’era un corretto cognac Peyrot VSOP, 10-12 anni fresco e fruttato) e forse meglio i Calvados hanno il loro perché: simpatico un “Calvà” du Pays d’Auge Chateau du Breuil 8 Ans, ancora molto adatto a sposarsi con altre bibite.

Qua e là la rassegna offriva anche molti prodotti pensati per il barista: sciroppi, bitters, essenze, succhi di frutta, toniche, ginger ale e soda (Fever Tree è un marchio in ascesa tra i mixer), e le famose ciliegie Fabbri; ma sono cose che vanno oltre il mio interesse.

Nel complesso l’evento è stato molto articolato e ben centrato sul tema. Bravi lo staff ed i relatori, e curiosa la location post-industriale in riva al Lambro, che ha ospitato tutti i partecipanti con discreto agio.

[Foto principale: Oggi.it]

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Thomas Pennazzi

Nato tra i granoturchi della Padania, gli scorre un po’ di birra nelle vene; pertanto fatica a ragionare di vino, che divide nelle due elementari categorie di potabile e non. In compenso si è dedicato fin da giovane al suo spirito (il cognac), e per qualche anno ne ha scritto in rete sotto pseudonimo.

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