Angiolino Maule e Giampiero Bea, due parole sul movimento dei vini naturali

Angiolino Maule e Giampiero Bea, due parole sul movimento dei vini naturali

di Jacopo Cossater

A partire da domenica mattina e fino a lunedì sera il mondo del vino naturale si darà appuntamento a Londra per la quarta edizione di RAW, The Artisan Wine Fair, per quella che è -per numero e per rilevanza delle cantine presenti- una manifestazione dal sapore particolarmente definitivo (la valigia è quasi pronta, io sono in fibrillazione). In attesa di pubblicare un lungo report dalla capitale inglese abbiamo tirato fuori dagli archivi digitali di Intravino due brevi interviste registrate in occasione dell’ultima edizione rispettivamente di Villa Favorita, la rassegna organizzata da Vinnatur vicino Vicenza, e di Viniveri, quella organizzata a Cerea dall’omonima associazione. Ecco quindi un po’ di riflessioni targate Angiolino Maule e Giampiero Bea (i due presidenti) sulle rispettive iniziative e più in generale sullo stato di forma del movimento, in Italia.

Angiolino Maule: “Anche questa edizione sta andando molto bene, il mondo dei vini naturali è cambiato tantissimo in questi anni. Pensa che sono stato recentemente in Sicilia e c’erano un centinaio di sommelier ad ascoltarmi interessati, roba che anni fa non mi avrebbero neanche fatto entrare o magari mi avrebbero fatto solo domande negative. Per quello che riguarda Vinnatur sono molto contento di quella trentina di vignaioli che sono qui quest’anno per la prima volta. Sono forze nuove, una ventata d’aria fresca. Come funziona? In genere coi nuovi associati facciamo così: iniziamo con una degustazione per cercare di capire come hanno lavorato in cantina, soprattutto se ci sono degli elementi aggiunti, dalla gomma arabica ai tannini. Da lì poi facciamo l’analisi chimica dei campioni, alla ricerca di eventuali pesticidi.

Il fatto è che vogliamo coinvolgere sempre di più, non vogliamo punire, vogliamo aiutare a migliorare. Per esempio c’è un nostro associato che per una parte della produzione abbiamo scoperto usare lieviti selezionati. Qui molti vorrebbero cacciarlo e io dico no, cerchiamo di fargli capire che senza è meglio, che sono vini più buoni, più giusti.”

Giampiero Bea: “Sta andando bene. C’è sempre sempre maggiore interesse, lo spostamento delle giornate poi non ci ha penalizzato e girando tra i banchi vedo sempre più addetti ai lavori, italiani e esteri. Guarda, oggi è cambiato molto, è l’opposto di 12 anni fa: allora c’era difficoltà nello spiegare cosa facevamo e perché lo facevamo. Ci chiedevano cosa andavamo a fare fuori Vinitaly. Oggi invece c’è la fila per venire a esporre qui. Ecco che allora dobbiamo essere doppiamente attenti, cercando di selezionare chi lavora al meglio e lasciando fuori invece chi se ne vuole approfittare.

Come funziona? Noi richiediamo due diverse autocertificazioni, una su tutta l’azienda agricola e una sulle pratiche di cantina. A quel punto chiediamo la fornitura dei campioni per procedere all’assaggio. Un momento fondamentale, è importante vedere che si riesce ad arrivare a una grande qualità nel bicchiere. Se quindi andiamo con la degustazione a cercare eccessivi tecnicismi al tempo stesso facciamo grande attenzione alla qualità finale del vino. Pensa che quest’anno abbiamo ricevuto 76 nuove richieste di adesione alla manifestazione e che di queste ne abbiamo accettate solo 4.

Questo è un tema centrale, perché poi capitano situazioni paradossali, dove un’azienda basta abbia partecipato a un paio di eventi dedicati per definirsi come naturale. Come organizzatori di eventi come questo abbiamo una grande responsabilità anche nei confronti dei consumatori.”

LE ANALISI E LE ATTIVITÀ DELLE ASSOCIAZIONI

A. Maule: “In questi anni abbiamo fatto molto, siamo cresciuti tantissimo. Le analisi sui pesticidi che abbiamo portato avanti con i nostri associati dal 2009 hanno dato ottimi risultati ma adesso abbiamo deciso di cambiare approccio. Con l’analisi dei pesticidi contenuti all’interno dei vini ci sentivamo un po’ degli “sceriffi” che andavano a punire i cattivi e a premiare i buoni. È per questo che abbiamo deciso di provare a fare un passo in avanti: in questo momento ci sono 15 aziende di Vinnatur che stanno facendo un percorso di monitoraggio dell’attività biologica dei loro suoli. Una cosa bellissima. È lì, nella terra, che dobbiamo andare a vedere cosa succede al fine di produrre il miglior vino possibile.

Queste 15 realtà, distribuite in modo omogeneo per aree geografiche, diverse tra di loro per tipologie di terreni, fanno parte di un progetto pilota per riuscire a stabilire uno standard. Riuscire cioè a capire quali saranno i valori su cui basarsi per capire tutto quello che succede in quell’ecosistema complesso che è un vigneto. Un’idea che è nata quando ci siamo accorti che ormai il biologico è stato sdoganato al grande pubblico. Come farà infatti nel futuro il consumatore a distinguere tra il biologico “vero” e quello “commerciale”? Ci sono un biologo, un patologo, un botanico e un entomologo che stanno lavorando insieme, che uniscono le proprie conoscenze per dirci quali sono le caratteristiche che deve avere un terreno “sano”, un luogo in cui produrre vini di qualità (almeno per come li intendiamo noi).

Una cosa straordinaria, grandi professionalità al servizio dell’agricoltura. La scienza e la coscienza.”

G. Bea: “Sono molto contento. Si è appena conclusa, con la vendemmia del 2014, un’importante ricerca condotta in collaborazione con l’Università degli Studi di Modena che ha come fine ultimo l’eliminazione del verderame in campagna. Si tratta però di una questione che renderemo pubblica solo nei prossimi mesi, al momento per una complessa questione relativa al deposito dei brevetti non ne posso infatti parlare quanto vorrei.

Uno dei lavori più importanti che a mio avviso stiamo portando avanti riguarda i tanti rapporti che cerchiamo di tessere durante l’anno. Relazioni nate per portare la questione dei vini di territorio più autentici nelle sedi più importanti. Al momento stiamo lavorando con l’Unesco e con altre importanti istituzioni nazionali. Non solo, cerchiamo al tempo stesso di lavorare per migliorare i rapporti tra le tante associazioni di vini naturali -francesi, spagnole, austriache, etc.- allo scopo di operare insieme per portare la nostre voci e le nostre esigenze sia in sede nazionale che (soprattutto) europea.”

L’ETICHETTA TRASPARENTE, QUESTIONE TANTO SEMPLICE QUANTO COMPLESSA

G. Bea: “L’etichetta trasparente, tema a cui abbiamo dedicato questa edizione di Viniveri, vuole andare incontro al desiderio del consumatore di sapere cosa sta mangiando, cosa sta bevendo. Da dove viene una cosa, come è stata prodotta. Un’etichetta trasparente modello dovrebbe essere simile a una carta d’identità: i vitigni per esempio, per tutti, dai Vini da tavola fino ai vini a Indicazione Geografica Protetta. Sopratutto crediamo che la cosa più importante sia poter scrivere in etichetta ciò che vogliamo. Non vogliamo obbligare nessuno a fare ciò che non vuole, vogliamo però essere liberi di poter però scrivere ciò che noi reputiamo essere essenziale.

Le mie etichette vanno da sempre per esempio in questa direzione, contengono informazioni importanti: dalle indicazioni sull’andamento stagionale fino a ogni tipo di lavorazione effettuata in vigna e in cantina. Tuttavia parlando con diverse persone della “repressione frodi” mi sono reso conto che per ogni ufficio ci può essere un’interpretazione differente dei regolamenti, e questo non va bene. Quello che noi chiediamo, e tutto questo rumore intorno all’etichetta trasparente va in questa direzione, è almeno la possibilità di avere delle interpretazioni univoche su tutto il territorio nazionale.

Poi ci sono anche situazioni molto diverse che andrebbero quantomeno riviste, penso per esempio a Stefano Bellotti (Cascina degli Ulivi) e al fatto che per aver piantato un albero da frutto in mezzo a un vigneto pare abbia perso l’iscrizione alla DOC di quel particolare appezzamento. Una cosa assurda, lui andava solo cercando una maggiore biodiversità…”

A. Maule: “Quella relativa all’etichetta trasparente è una battaglia giusta, il problema è che -come movimento- siamo ancora troppo piccoli per contrastare le grandi lobby che controllano il legislatore. È complicato, tra l’altro prendi un vino convenzionale: per mettere pratiche enologiche e ingredienti in etichetta andrebbe allegato un libricino a ogni bottiglia. Non la vedo come una strada immediatamente percorribile. E poi non mi piace combattere battaglie che so già in partenza di non poter vincere. Mi piace essere abituato al contrario, a combatterle e a vincerle.

Però l’idea è sacrosanta, io nel 2005 ero andato alla “repressione frodi” per capire se potevo mettere in retroetichetta la quantità esatta dei solfiti presenti nel vino, gli zuccheri residui, l’estratto o l’acidità fissa e volatile. Mi avevano detto di sì e da allora devo dire che si è creata molta sensibilità, almeno tra i miei clienti, su questo tema. Riuscire quindi a mettersi d’accordo ed essere “trasparenti” da questo punto di vista sarebbe un grande passo avanti. Ci vuole molto coraggio però, che lì poi devi essere sincero per forza.”

Jacopo Cossater

Docente di marketing del vino e di giornalismo enogastronomico, è specializzato nel racconto del vino e appassionato delle sue ripercussioni sociali. Tra gli altri, ha realizzato i podcast Vino sul Divano e La Retroetichetta, collabora con l'inserto Cibo del quotidiano Domani e ha cofondato il magazine cartaceo Verticale. Qui su Intravino dal 2009.

2 Commenti

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silvano

circa 9 anni fa - Link

Alan York qualche anno fa mi disse che in California c'erano 2 tipi di produttori "naturali" : quelli che usavano il Roud-up e quelli che non lo usavano, direi che anche in Italia possiamo dire altrettanto. SB

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Hierro

circa 9 anni fa - Link

Post interessante, un grazie a JC

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