Parliamo di Praepositus e longevità del sylvaner nella Val d’Isarco

Parliamo di Praepositus e longevità del sylvaner nella Val d’Isarco

di Jacopo Manni

La scena è un interno giorno a pranzo da Pierluigi a Roma.
Pierluigi è un ristorante che dice poco ai non romani. Non stellato né con grande hype, è un classico che in quanto classico non finsce mai di dire quel che ha da dire.
L’azione del giorno se la prende tutta il sylvaner mentre la regia è di Werner Waldboth – direttore vendite dell’Abbazia di Novacella – che ha organizzato questo pranzo per indagare versatilità e longevità di questo vitigno. Il menu tutto a base pesce di mare è un curioso ossimoro con questo vitigno alpino che sta prendendo la scena nella Val d’Isarco.

Foto Ochsenreiter

La Val d’Isarco

La Valle è una striscia sottile lunga 80 km, con 440 ettari vitati, che va dalla sorgente del fiume Isarco al Brennero fino alla sua foce nell’Adige a Bolzano. Con ad est le Dolomiti e ad a ovest le Alpi Sarentine, siamo nella zona vitata più a nord d’Italia. Nonostante l’ambiente alpino e le alture, qui sono presenti tratti tipicamente mediterranei che influiscono nella vegetazione e nelle colture, dove infatti predominano il castagno e la vite. Poche precipitazioni e forte insolazione, combinate con le ampie escursioni termiche, ne fanno un territorio bianchista d’elezione, anche perché qui le uve si coltivano tra i 400 e gli 850 metri su terreni di origine morenica, sabbiosi e sassosi, composti da ardesia, gneis e granito.

Bressanone, il cuore della zona, ha subìto fino alla prima guerra mondiale l’influenza dell’Impero Germanico prima e di quello Austro-Ungarico poi, venendone chiaramente plasmata e influenzata nella cultura, nella lingua e ovviamente anche nel vigneto, con la presenza preponderante di vitigni di chiara espressione germanica. Fino ai primi del ‘900 però si coltivavano in valle principalmente varietà a bacca rossa le quali, soffrendo il clima freddo, riuscivano a produrre vini di non particolare interesse. Fu la fillossera che diede l’opportunità di cambiare il vigneto, con consulenti agronomi che arrivarono da Wurzburg e che capirono il potenziale bianchista della Val d’Isarco portando con loro il vitigno principale della Franconia: il sylvaner.

Negli ultimi 30 anni si è passati alla quasi totalità produttiva di vini bianchi che oggi rappresentano l’86% del vigneto. Per quel che riguarda i vitigni presenti in valle, dal 1961 al 2014 la produzione di müller thurgau è salita dal 4% al 19% mentre quella di gewürztraminer dallo 0,2% del 1961 all’odierno 15%. Il kerner, invece, nel 1961 non era ancora coltivato, quando oggi invece costituisce il 17% del vigneto. Mentre il sylvaner oggi rappresenta il 16% del vigneto.

La creazione di un territorio

È noto ormai come il modello cooperativistico altoatesino sia un orologio perfetto e un esempio per tutti. Abbazia di Novacella ne è un ottimo esempio. Qualche anno fa alcuni giovani vignaioli si sono messi a vinificare e imbottigliare, con il risultato non di distruggere la cultura cooperativista e questo modello di business ma di creare un territorio dove prima quasi non c’era. Adesso la Val d’Isarco non è più solo Abbazia di Novacella e Cantina Valle Isarco, i due colossi della valle ai quali tutti conferivano le uve fino a poco fa. Negli ultimi 10 anni sono nate tante piccole realtà di giovani vignaioli che nel 2015 si sono costituiti in una associazione di produttori, la EisacktalWein, che conta oggi 20 soci.

Proprio Werner Waldboth ci racconta contento e non offeso o piccato che è anche grazie a questi nuovi produttori che i vini della Val d’Isarco si stanno facendo conoscere e riconoscere. Una cosa fuori dal comune in un’Italia dove faide, invidie e invettive sono radicate e secolari e l’atomizzazione iper frammentata e individualista è male comune e di conseguenza mezzo gaudio. Qui in Val d’Isarco c’è però qualcosa di profondamente diverso. Non solo non troverete nessun produttore che parla male del suo vicino ma anzi non troverete nessun produttore che non ne parli bene.
Sta tutto qui, forse, il segreto dei vini altoatesini.

foto vigneto quota 2

Il sylvaner

Il sylvaner  deriva da un incrocio casuale fra il traminer e l’ÖsterreichischWeiß, un vitigno antico simile al veltliner, proveniente dall’area viennese. Fonti certe ci dicono come nel Seicento il sylvaner sia stato importato dall’Austria in Germania, e infatti nel 1659 il suo nome compare per la prima volta in un documento compilato in Franconia, tutt’ora considerata la zona di produzione principale di questo vino.

In Alto Adige il vitigno giunse nel 1880, quando si impiantarono i primi vigneti in Val d’Isarco su raccomandazione di Edmund Mach, allora direttore dell’Istituto sperimentale di San Michele all’Adige. Il sylvaner ha trovato nella Val d’Isarco la sua Mecca, sfruttando la combinazione favolosa creata dai pendii vertiginosi ma soleggiati creati dalla lenta erosione del fiume Isarco, le alture dei vigneti tra i 650 e i 750 metri dei vigneti e la presenza di terreni ricchi di depositi morenici. Produttori e degustatori si sono man mano resi conto del perfect match tra il sylvaner e l’ambiente unico di questa valle, che riesce ad esaltare la spinta dinamica, sapida e vibrante di questi vini di luce e di freschezze mentolate e balsamiche. Ma non molti avevano ben compreso il potenziale di affinamento di questo vino.

La verticale di Alto Adige Valle Isarco Sylvaner Preapositus di Abbazia di Novacella

In assaggio, la selezione aziendale PreapositusAbbazia di Novacella dedica all’allevamento del sylvaner 7,75 ettari: di questi, solo 1,75 sono sono riservati alle uve che daranno origine a questa linea. Tutte le uve scelte per i vini di questa linea provengono da vigneti con una bella esposizione ma soprattutto dalle viti più vecchie che vengono valorizzate con rese bassissime.
Le uve vengono vendemmiate verso la prima metà di ottobre, dopo la fermentazione le uve maturano per circa 10 mesi per il 60% in contenitori di acciaio, per il 30% in botti di acacia da 30 ettolitri e per la restante parte in barrique di rovere francese. Poi ulteriore affinamento di due mesi in bottiglia.

Perlae Insolitus Metodo Classico Extra Brut
L’assaggio è iniziato con uno spumante da sylvaner, il Perlae 2019. 24 mesi sui lieviti con dosaggio minimale di 1,4 g/l, sboccato il 31 ottobre e in commercio da metà dicembre. Uno dei pochissimi metodo classico prodotti da sylvaner in Italia, esperimento che l’azienda ha deciso di mettere in commercio dopo molte prove. Un vino sfizioso, con bell’allungo acido, molto dritto in bocca e sicuramente divertente da provare. Ovviamente deve ancora trovare la sua dimensione, Werner ci parlava infatti di tenerlo forse fino ai 36 mesi sui lieviti nelle prossime annate.

Alto Adige Valle Isarco Sylvaner Stiftsgarten 2019
Un vino prodotto in appena 1.000 bottiglie dalle vigne più vecchie di sylvaner proprio nel giardino sul retro dell’Abbazia, 2.000 mq di vigneto piantato nel 1972. 2/3 del vino fa legno in barrique francesi e il resto acciaio. Il legno si fa sentire tantissimo e rende il sorso carico e pieno, ha bisogno di un bel riposo in bottiglia per diventare grande.

Alto Adige Valle Isarco Sylvaner Preapositus 2021
Qui si viaggia ovviamente su freschezze mentolate decisamente nordiche e affilate, ma lieviti e legno devono ancora prendere la strada maestra della compostezza e dell’equilibrio.

Alto Adige Valle Isarco Sylvaner Preapositus 2016
I richiami mentolati e balsamici iniziano ad integrarsi con uno spettro olfattivo che si riempie di sensazioni iodate delicate ma puntute. Splendida al naso la danza tra salvia e cenere. In bocca iniziano a sentirsi una forza e una energia che all’assaggio lo marcano chiaramente come un vino di luce e di alture.

Alto Adige Valle Isarco Sylvaner Preapositus 2013
When the going gets tough, the tough get going. Qui siamo in quei momenti dove i campioni entrano in campo e chi non è all’altezza resta fuori dai giochi. Questi livelli ti capire che si fa sul serio. Vino veramente top. Mallo, castagno, noci e foglie autunnali e fungine. La 2013 è stata una grande annata in Valle, con vendemmie tardive perfette per maturazione e complessità. Un vino clamoroso anche in bocca, dove entra affilato e chirurgico e si distende elegante e sinuoso come Paolina Bonaparte sul lettino del Canova.

Alto Adige Valle Isarco Sylvaner Preapositus 2006
Qui si è osato, e meno male. Alzi la mano chi credeva che un Sylvaner potesse reggere 16 stagioni che neanche Friends o Don Matteo. Un vino ancora in ascesa, piccante speziato di anice e zenzero, canditi e caramello salato. In bocca è succoso e croccante, con un allungo finale salato e citrino infinito. Un vino con una tale forza progressiva che ancora è tattile e vivo. Sembra attaccarsi al palato e non lasciarti più, con un finale di lemon zest e alloro che lascia la bocca pulita, piena e appagata. Che bomba.

Dal mio personalissimo punto di vista di frequentatore occasionale di questo vitigno la sorpresa è stata enorme.
Il sylvaner si è dimostrato un vitigno bianco da vini capaci di una evoluzione progressiva molto interessante, con fragranza e freschezza quasi intatte, una acidità che accompagna il sorso anche dopo parecchi anni in bottiglia e una dinamica vibrante che lo rende un vino veramente grintoso e brioso.

PS: in batteria c’erano anche un esperimento – orange wine da sylvaner (Hora) abbastanza interessante – e un delizioso moscato rosa con delicate note di the, rose e pinoli bello fresco, acido e sapido.

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Jacopo Manni

Nasce a Roma ma si incastella a Frascati dove cresce a porchetta e vino sfuso. L’educazione adolescenziale scorre via in malo modo, unica nota di merito è aver visto dal vivo gli ultimi concerti romani dei Ramones e dei Nirvana. Viaggiatore seriale e campeggiatore folle, scrive un libro di ricette da campeggio e altri libri di cucina che lo portano all’apice della carriera da Licia Colo’. Laureato in storia medievale nel portafoglio ha il santino di Alessandro Barbero. Diploma Ais e Master Alma-Ais, millantando di conoscere il vino riesce ad entrare ad Intravino dalla porta sul retro.

3 Commenti

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laccendiamo?

circa 1 anno fa - Link

Se ti offrono il pranzo in un ristorante del genere, dove si mangia molto bene e normalmente si spende uno stonfo, qualunque vino, anche il più scrauso, di colpo appare buonissimo. Pertanto aggettivi mirabolanti come ''una bomba'', ''clamoroso'' e via dicendo, mi fanno semplicemente sorridere. L'epoca dei creduloni sta terminando, per fortuna...

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Jacopo Manni

circa 1 anno fa - Link

e accendiamola va! Il tuo ragionamento non fa una piega. Il tempo dei creduloni è finito e ne siamo più che contenti, addirittura abbiamo l'ardire di pensare di esserne stati, almeno in minima parte, gli artefici. Credo che Intravino di tutto può essere tacciato tranne che di marchette e varie ed eventuali. E lo dimostrano anni e articoli di storia di questo blog. Ma il tuo ragionamento fila, te l'ho già detto, anche per questo articolo ovviamente, e ti assicuro che un pezzo come questo qui esce solo dopo lunghe riflessioni interne della necessità e della modalità di far uscire un post come questo. Siamo stati a lungo a discutere, se pubblicare, come pubblicare. Quello che ho imparato qui dentro è che prima di pubblicare qualsiasi articolo che loda un vino è chiedersi (e qui cito Morichetti): "Ti piace? Quanto? Perché? Ti fa riflettere? Lo compreresti? Lo berresti con gli amici delle superiori o con un consesso di nerd o anche da solo?" Ecco ti assicuro che anche se mi hanno offerto un pranzo in un posto abbastanza caro queste domande me lo sono fatte eccome. E anche se l'uso di aggettivazioni per te mirabolanti ti fanno sorridere puoi stare certo che scriviamo di un vino solo lo crediamo necessario. Ti scrivo tutto questo ovviamente non per difendere il mio onore e operato, perchè ad offesa tendo a non rispondere, e me ne frega il giusto ma che Intravino possa essere tacciato di un modus operandi che non appartiene minimamente alla storia di questo blog e di chi lo ha fondato e lo porta avanti mi sembra più che doveroso e anzi necessario.

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Dema

circa 1 anno fa - Link

Beh...forse non hai assaggiato abbastanza Sylvaner, di quanti, modestamente parlando,ne abbia assaggiato io.Non solo italiani ma anche di terra Germanica, ti posso assicurare che alcuni regalano veramente grandissime soddisfazioni. Articolo invece molto interessante...

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