Vinitaly 2010 | 50 anni di vini Chiarlo
di Giulia Graglia
Il primo giorno del Vinitaly ha riservato alla stampa un appuntamento di livello, una degustazione dedicata ai 7 vini preferiti da Michele Chiarlo negli ultimi 50 anni. Tutti suoi naturalmente. A guidarla Cesare Pillon, assaggiatore coinvolto, che ha psicoanalizzato Michele Chiarlo attraverso i suoi vini.
Fornaci Gavi di Tassarolo 2001. È strano iniziare con un bianco per un grande produttore piemontese, eppure la sorpresa è stata grande, soprattutto tornando sul bicchiere dopo i vari Barolo.
Il naso offre note iodate, di fossili marini e ostrica, sfumature di frutta e fiori bianchi e, più in lontananza, tartufo e liquirizia. La bocca è però la parte più affascinante, con un’acidità vivace e una bella sapidità; l’ingresso è ampio, ma non invadente e lo sviluppo sulla lingua è intenso, vissuto, con una persistenza che rasenta la testardaggine.
Barbera d’Asti Superiore Nizza La Court 2001. Il naso è classico, con le sue declinazioni di frutta matura, confettura di mora, tabacco e pepe. All’assaggio si percepisce subito il perfetto equilibrio fra l’acidità tipica della Barbera e una morbidezza invece inaspettata. È un vino che Chiarlo, astigiano di nascita, non poteva sbagliare.
Barbaresco Asili 1997. È stata la prima vera annata calda in Piemonte e Chiarlo ha avuto la giusta intuizione di vendemmiare in anticipo, così da preservare la freschezza e non lasciare troppo spazio a uve surmature. È un vino dal carattere puramente piemontese, che si affaccia in sordina e poi si conferma con sicurezza, lasciando trasparire tutto lo spessore dell’evoluzione, con un granato che vira verso l’arancio e note di sottobosco e spezie al naso. In bocca ha una bella masticabilità, che si lascia ricordare senza diventare stucchevole.
Barolo Cannubi 1999. Chiarlo comprò a metà degli anni ottanta questo terreno che nessuno voleva, per la sua pendenza al 50%. Eppure è una zona eletta e il vino ne è una testimonianza diretta, con una trasparenza cristallina e un naso che riporta note caratteristiche di rosa, viola appassita, ciliegia sotto spirito e humus. L’ingresso in bocca è pieno, con tannini eleganti e fitti; lo sviluppo sulla lingua è denso e la persistenza si prolunga per minuti, con ritorni di sottobosco e ciliegia.
Barolo Triumviratum 1996. È il secondo dei Barolo presentati ed è composto da uve provenienti dai tre Cru Cerequio, Cannubi e Brunate. L’olfatto riporta note di frutta macerata in alcol, cannella, noce moscata e salamoia, mentre in bocca risulta come il più classico dei Barolo, con uno sviluppo ampio e tondo, tannini eleganti e una chiusura netta, pulita, asciutta, con note di noce che si riaffacciano.
Barolo Cerequio 1990. Rispetto al precedente è meno trasparete e più aranciato, ma ha un’età che inizia ad essere notevole. Al naso frutta sotto spirito, spezie, liquirizia, sentori balsamici, tutti diretti e senza fronzoli. All’assaggio è la struttura importante che si fa notare, seguita da un alcol vigoroso, una sapidità viva e un tannino dolce. Arriva fino in fondo alla lingua senza indugi e si lascia ricordare per lunghi minuti.
Barolo 1958. Il pezzo forte della degustazione e non ha lasciato delusi. Prima di tutto il colore, sorprendente, per nulla spogliato; lo stesso il naso, non stanco, ma con sfumature acute, appuntite, fra sentori terziari. All’assaggio il tannino è quanto di più sottile si possa immaginare e la struttura è elegante, complessa, con la chiusura pulita e netta che ricorda un distillato.
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