Maurice Philippart e gli Champagne buoni dopo 30 e più anni

di Fabio Cagnetti

La cosiddetta “rivoluzione dei Récoltant” in Champagne ha sortito numerosi effetti, per lo più virtuosi. Il più evidente è la presenza di numerosi nuovi nomi – che fino all’altro ieri conferivano uva alle grandi Maison – in mezzo ai quali cercare il nuovo fuoriclasse delle bollicine (ieri Selosse, oggi Leclapart, e domani?); la diretta conseguenza è stato un generale abbassamento dei prezzi, dovuto a una sana concorrenza. Ma è interessante anche esaminare altri fenomeni, come la maggiore consapevolezza dei propri mezzi che porta a prodotti di finissima fattura, generalmente considerati sola prerogativa delle Grandes Marques.

Fra questi vi sono certamente gli Champagne di lunghissimo affinamento sui lieviti, il più celebre dei quali è il Dom Perignon Oenotheque. Tipologia generalmente costosissima, capace di coniugare freschezza e complessità in modo ineguagliabile, in ogni caso destinata ai più fini amatori, come è evidente da dettagli come il dosaggio del suddetto Oenotheque, intorno a 4-5 grammi di zucchero per litro contro i 10 circa della cuvée “normale” (anche se Richard Geoffroy, chef de cave a Moet & Chandon, ha dichiarato che il successo della formula lo ha spinto a ridurre il dosaggio del Dom Perignon “annata” tra i 6 e i 7 grammi per litro).

Maurice Philippart è un piccolo produttore di grande tradizione (Nicaise Philippart coltivava le vigne di famiglia già nel 1827) a Chigny Les Roses, villaggio nel cuore della Montagna di Reims classificato Premier Cru, ma con buona reputazione all’interno della categoria; è un comune dove forse manca il grandissimo manico, ma c’è un discreto sottobosco di produttori molto abili. In Italia, dobbiamo scoperta e importazione al bravissimo Davide Zingaro (VinoDiVino), che ha ospitato in terra varesotta una clamorosa verticale di millesimati di Philippart fino al 1973, sboccati tre mesi e mezzo prima della degustazione, con dosaggio di 1 g/l. L’uvaggio è 25% chardonnay e pinot noir per il restante 75%. Facciamo precedere le note da un commento generale sull’annata, a ribadire che lo Champagne è imprevedibile e non sarà mai oggetto di una scienza esatta.

1995: ottima annata che ha dato uve particolarmente sane, da cui si sono ricavati Champagne fini, equilibrati e con evidenti capacità di invecchiamento. Un millesimo su cui si può andare abbastanza sul sicuro, non solo per quanto concerne le cuvée prestige ma anche per i millesimati di qualsiasi bravo produttore.
Maurice Philippart Carte d’Or R.D. 1995: l’ossidazione è molto evidente, ad inficiare un profilo altrimenti esuberante di frutta candita e camomilla in infusione unite a mineralità salmastra. E’ piuttosto ossidato anche in bocca, dove risulta grasso e ampio, intenso e sapido, di grande struttura e piuttosto persistente. Con il tempo crescono le note ossidative, la pasticceria e il rum. Siamo piuttosto perplessi dal profilo palesemente ossidativo di una bottiglia da cui ci aspettavamo maggiore freschezza, e che altrimenti avrebbe offerto evidenti spunti di interesse. 83

1994: non se ne parla mai, ma in realtà si tratta di un millesimo di qualità media e non atroce. Il punto è che le rese sono state molto ridotte causa piogge al momento sbagliato, e le uve che hanno passato un’attenta, necessaria selezione quasi mai sono state sufficienti a giustificare la produzione di cuvée millesimate.
Maurice Philippart Carte d’Or R.D. 1994: non dosato. Piuttosto ossidato e poco espressivo, prevalgono note erbacee non proprio finissime (asparago) accompagnate da una discreta mineralità. Al palato è evidentemente disarmonico, con un’acidità scissa e soverchiante che non riesce a portarsi dietro il resto del corpo. Corto. Ci piacciono i vini acidi, ma a tutto c’è un limite, e continuiamo ad essere perplessi dall’ossidazione. 80

1993: Annata non così differente dalla 1994, ma con qualità e rese un po’ superiori. A cercar bene qualche buono Champagne si trova, anche se non costituisce certo una vendemmia da tramandare ai posteri: in generale, il poker 1991-2-3-4 è scarsamente considerato, con le dovute eccezioni.
Maurice Philippart Carte d’Or R.D. 1993: Anche questo è un po’ ossidato. Al naso troviamo un profilo non molto distante da quello del 1995, più sottile ma un po’ più definito, lieviti, crema pasticcera, mineralità salmastra e fiori bianchi in infusione. In bocca continua ad esserci dell’ossidazione, ma è più fresco del 1995, comunque piuttosto dritto e tutt’altro che scomposto; discreta la persistenza. 85

1990: Pomo della discordia. Grandissima annata, acidità alta e zuccheri alti in vendemmia, dichiarazioni pompose e larga produzione di millesimati di tutte le fasce già piuttosto approcciabili e di straordinaria potenza e struttura. Vent’anni dopo la vendemmia, continuano ad esserci Champagne del 1990 grandi, armonici e in evoluzione, ma altre cuvée provenienti da quest’annata calda iniziano a declinare mostrando segni di stanchezza e/o di ossidazione. Insomma, millesimo eccezionale, sì, ma occhio.
Maurice Philippart Carte d’Or R.D. 1990: L’ossidazione c’è, ma c’è anche tanta complessità: spezie e iodio, acqua di ostriche e calcare, frutta candita e fiori macerati. Di grande intensità al palato, davvero sapido, grasso e opulento, forse troppo, specchio della sua annata. Molto persistente. 84

1988: Una delle mie annate preferite in assoluto. In realtà le rese non furono molto elevate, e fu necessaria un’accurata selezione delle uve. Ma non pochi chef de cave ne hanno ricavato Champagne memorabili, di straordinaria precisione aromatica, dinamici, potenti ma freschi, classici non istantanei che sono solo migliorati con gli anni. Annata del secolo? Non mi faccio intrappolare in queste disquisizioni, ma difficile citarne di superiori.
Maurice Philippart Carte d’Or R.D. 1988: grande finezza ed espressività, belle note agrumate finemente intrecciate con una mineralità calcarea purissima e di precisione chirurgica. In bocca è fresco e dritto, ma non pecca certo di corpo e tenendolo nel palato esplode in una potenza e un’ampiezza che inizialmente l’acidità ci aveva fatto sottovalutare, prima di chiudere lungo e fresco. Iniziamo a ragionare. 89

1987: Non un’annata da millesimati, per farla breve. Generalmente si decretò che le uve portate in cantina non fossero di qualità sufficiente, anche se le quantità prodotte furono più alte di annate come la 1988.
Maurice Philippart Carte d’Or R.D. 1987: tornano le note ossidative assieme agli agrumi, a suggestioni salmastre e a una netta impronta calcarea. Al palato manca dell’ampiezza e dell’equilibrio del 1988, ma lo troviamo in splendida forma, perfettamente in piedi, dritto e fresco; nella lunga chiusura troviamo una scia agrumata di buona pulizia, e ci chiediamo se abbia addirittura margini di ulteriore evoluzione positiva. 87

1986: Vendemmia a macchia di leopardo, generalmente considerata di media qualità, ma sussistono formidabili eccezioni. Per dirne due, Krug Clos du Mesnil 1986 ha davanti almeno tre decenni di evoluzione positiva davanti, e Dom Ruinart Rosè 1986 è forse il più grande rosé che abbia mai assaggiato. In generale è un millesimo di cui vale la pena assaggiare bottiglie ben conservate, perché le sorprese sono dietro l’angolo.
Maurice Philippart Carte d’Or R.D. 1986: E’ ossidato e piuttosto ostico, ci accoglie con un profilo di malto d’orzo, lievito di birra e frutta secca. La mineralità è iodata e sfocia nel metallico. Anche in bocca l’ossidazione è pesante, ma non ne copre la struttura e dobbiamo riconoscergli una grande personalità e una persistenza da rimarcare. Mi ha lasciato perplesso, ma ricordiamoci che là fuori ci sono i feticisti dell’ossidativo, che davanti a bottiglie come questa non possono che commuoversi. 84

1982: E’ famoso a Bordeaux, ma anche in Champagne non è affatto male. Annata classicissima, equilibrio tra potenza e finezza, che è stata in grado di generare capolavori, peraltro spesso longevi. Un grande 1982 mette davvero d’accordo tutti, e là fuori ce n’è un tot, reperibilità e prezzi permettendo.
Maurice Philippart Carte d’Or R.D. 1982: il naso è profondissimo, e per nulla ossidato. Ci facciamo strada fra le nocciole e i fichi secchi, troviamo una laguna di salsedine e scogli bagnati in fondo alla quale si apre uno scrigno di bignè alla crema. In bocca è intenso e fresco, così sapido da risultare a tratti pungente, e la persistenza non delude. Bella prova. 91

1978: Non è il 78 di Langa, né quello borgognone, né tantomeno quello del Rodano. Ma in quest’annata piccola e di Champagne generalmente diluiti si può trovare qualche sorpresa; tra le grandi maison, Perrier-Jouet e Ruinart hanno lavorato assai bene. Mi parlano poi benissimo del Dom Perignon Rosé Oenotheque 1978: qualcuno che ne ha una bottiglia vuole forse farmi ridimensionare il Dom Ruinart 1986?
Maurice Philippart Carte d’Or R.D. 1978: il primo impatto è quello con uno Champagne estremamente minerale, calcareo e gessoso, accompagnato da note fortissime di pizza bianca e rosmarino. Ma sotto i descrittori del minerale e del panoso troviamo di più, erba tagliata, aghi di pino e radici di liquirizia. In bocca dominano le durezze: l’acidità è in primo piano e ne mina un po’ la compostezza, restituendoci comunque una bottiglia in cui l’età di Cristo Re si accompagna a grande mobilità, spinta verticale e carattere. Stupisce per freschezza e sapidità, anche se l’equilibrio abita altrove. Ma che bel ’78. 91

1973: Annata reputata non più che media, ma di grande acidità. Acidità di cui in molti casi si sta staccando il dividendo in questo periodo, e che ha consentito evoluzioni in piena zona nozze coi fichi secchi. Sottovalutata, se si trovano bottiglie perfettamente conservate può scattare la grande sorpresa.
Maurice Philippart Carte d’Or R.D. 1973: La prima bottiglia secondo me è tappata, sa più che altro di zuppa di funghi e sughero anche se in bocca l’acidità si fa sentire. La seconda bottiglia esplode con una cascata di pesca bianca e banana, accompagnata da una mineralità intensa ed espressiva che ne corregge un tiro altrimenti un po’ troppo sbarazzino. Ma stiamo parlando di un ’73? In bocca è vivace e fresco, più dritto del suo naso opulento cui comunque corrisponde in modo apprezzabile, chiude pulito e tutto sull’acidità lasciandoci piuttosto basiti. Il botto finale. 93

[Immagine dei tappi: Delcampe]

16 Commenti

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attoadivenire

circa 13 anni fa - Link

Anche in Italia esiste un uomo che fa bolle da lunghiaffinamenti sui lieviti...Si chiama Casa Caterina del grande Aurelio...ultimamente ho assaggaito il Pinot Noir 1990 emozionante!!

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Jury Borgianni

circa 13 anni fa - Link

E perché il suo '89 Sauvage? http://grappolorosso.blogspot.com/2010/12/casa-caterina-89-sauvage.html letteralmente fantastico, grande Aurelio.

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Francesco Annibali

circa 13 anni fa - Link

Leclapart fuoriclasse?

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zakk

circa 13 anni fa - Link

Aurelio Del Bono un fuoriclasse? Se ci fosse più dignità in Franciacorta ricomincerebbero a piantar granoturco.

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Franco Ziliani

circa 13 anni fa - Link

vedo che lo zakk che interviene in altro blog per sparare a zero, senza argomentazioni degne di questo nome, sulla Franciacorta fa la stessa cosa anche qui. Sarebbe interessante sapere chi sia questo signore e cosa vuole

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Marco De Tomasi

circa 13 anni fa - Link

Notato anch'io quando ho tirato in ballo Arici, Camossi e anche Aurelio del Bono (mi ha passato solo Faccoli). E' un po' che seguo Casa Caterina. I suoi sono vini estremi e possiamo dire che fino ad un paio di anni fa forse c'erano delle spigolosità di troppo (anche se a me piacevono ugualmente). Non così a mio avviso l'ultima produzione: il Pinot Nero 1990 e il Meunier 1994 sono assolutamente emozionanti. A patto che si usi la chiave di lettura corretta. Senza tirar fuori i soliti noti (Bellavista, Ca' del Bosco, ecc.- che offrono comunque le loro garanzie) la Franciacorta è ricca di tante piccole cantine interessanti con un livello qualitativo in continua crescita.

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Zakk

circa 13 anni fa - Link

Io sono un normale bevitore di vino, appassionato quanto basta per sentirsi invogliato a dire il proprio parere su un forum libero o su un blog libero. Visto che Ziliani vuol sapere quello che voglio lo scrivo subito: vorrei avere il diritto di avere opinioni personali diverse da chicchessia e vorrei poterle esprimere anche se risultano essere fuori dal coro ( dipende poi cosa si intende per coro, perché a sentir quello che mi dice tanta gente direi che sto proprio nel mezzo del coro). Spero che Marco De Tomasi non si sia sentito offeso se gli ho "passato" soltanto faccoli. Io di certo non mi stupirei se lo stesso non mi "passasse" alcune cose che a me invece convincono. Su casa Caterina posso "vantare" numerosi assaggi, alcuni strepitosi come un saten 95, ma la cosa che piu' mi perplime e' l'incostanza qualitativa dei vini di Del Bono. E' un peccato inconfessabile questa mia opinione? Perche' di opinione si tratta. Resto molto impressionato da chi ha, invece, certezze granitiche che vuole siano tali anche per gli altri. Sulle garanzie di Ca' del Bosco non posso che concordare, so benissimo cosa aspettarmi.

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Marco De Tomasi

circa 13 anni fa - Link

In altra discussione ho già concordato con Zakk che in fondo si tratta di una questione di gusti. Però una affermazione pesante come "Se ci fosse più dignità in Franciacorta ricomincerebbero a piantar granoturco", andrebbe argomentata, dato che giocoforza coinvolge tutto e tutti. Ma a quanto pare già Lei non concorda con tale affermazione, visto l'ultimo post.

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Zakk

circa 13 anni fa - Link

Sicuro?

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Marco De Tomasi

circa 13 anni fa - Link

Già il fatto che Faccoli passa il suo esame, significa che non tutto è da buttare e non tutti devono darsi alla coltivazione del mais, o no ?

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Fabrizio pagliardi

circa 13 anni fa - Link

La capacita' di tenuta di uno champagne si giudica dalla sboccatura in poi prima e' affinamento. Un produttore che riesce a spingere la permanenza sui lieviti per trenta anni e' probabilmente un ottimo produttore, ma non necessariamente un produttore di champagne che possono invecchiare. Per altro kauffmann lo chef de cave di bollinger ci ha spiegato che per la loro esperienza lasciare uno champagne sui lieviti in affinamento ha senso fino ad una ventina di anni, oltre smette di affinare e diventa soltanto un metodo di conservazione per le vecchie annate.

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Francesco Amodeo

circa 13 anni fa - Link

Grande Fabio! Sono d'accordo su tutto quello che hai scritto, anche se con la 1986 sarei stato un pochino più generoso. La prima bottiglia del '73 ERA tappata. Casa Caterina non mi piace e, secondo me, il paragone non c'entra un fico secco.

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Filippo

circa 13 anni fa - Link

Casa Caterina erano quei Franciacorta agèe assaggiati ad Agazzano ?

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Francesco Amodeo

circa 13 anni fa - Link

Esatto. In quell'occasione avevamo assaggiato la cuvèe 2004, il brut 1999 e la riserva 1997. Il giudizio l'ho già espresso sopra...

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Filippo

circa 13 anni fa - Link

Si, me li ricordo molto bene. Concordo con il tuo giudizio. Di Philippart mi era piaciuto il Cachet Rouge portato da Davide ad una cena di presentazione dei suoi Champagne l'anno scorso.

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Riccardo Campinoti

circa 13 anni fa - Link

Ispirato da cotanto articolo sabato stasera ho stappato la 93.Grande bottiglia... Di nuovo complimenti a Davide per portare in Italia grandi champagne al giusto prezzo

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